Federico Pizzarotti, attivista della prima ora, è entrato nella storia del Movimento 5 stelle come uno dei primi sindaci a conquistare un comune di grandezza rilevante, Parma, dove è stato eletto nel 2012, salvo poi trovarsi in rotta con i vertici fino a subire l’espulsione, mai convalidata, che poi si è trasformata in un addio al M5s. 

Cosa prevede per il Movimento alle prossime amministrative?

Il trend è evidente già da tempo, si presentano sempre meno alle amministrative. A Torino e Roma perderanno, dopo aver vinto i comuni più importanti non stanno dimostrando capacità di continuità, ma lo stesso è accaduto in parlamento dopo il risultato del 2018. Non c’è capacità di mantenere i risultati ottenuti. Ora in più sono lacerati internamente, coi duri e puri contro i governisti a tutti i costi, dopo che hanno compiuto nel triplice cambio di alleati un’operazione da prima repubblica, se non peggiore. Oggi il movimento non ha un progetto, non ha ideali, si regge sull’affezione degli elettori. 

Che cos’è cambiato negli anni? Non è paradossale la situazione attuale del Movimento, che pure era nato da un’aggregazione di iniziative locali, ma ora non ha più un filo diretto coi territori?

Non c’è più niente, sarei curioso di sapere quanti gruppi di attivisti ci sono in Italia: all’inizio del M5s c’erano più attivisti che elettori, nel 2009-2010, poi c’è stato un momento in cui c’erano tanti attivisti e tantissimi elettori, oggi ci sono degli elettori e non ci sono attivisti, basta vedere quante attività sul territorio riescono a fare. Prima era più facile, riuscivano a catalizzare i delusi di qualsiasi cosa, destra, sinistra… Oggi tanti dicono «vi siete alleati con la destra, non mi piacete più perché io ero di centrosinistra» e viceversa, quindi chi rimane sono persone che provano a cavalcare in qualche modo il cavallo finché trotta. Nel mio territorio, noi eravamo un gruppo molto radicato, oggi non ci sono più gruppi locali. Dopo essersi annientati tra di loro, gli unici che parlano oggi secondo me attendono la loro occasione nelle elezioni parlamentari o regionali, cioè hanno un interesse personale, non è più quello di realizzare dei programmi o degli obiettivi. Questo ha lacerato più di tutto un Movimento che aveva degli ideali che erano “uno vale l’altro”, che era comunque un messaggio sbagliato ma era comunque il messaggio che chiunque potesse fare politica. Oggi è che chi è rimasto è quello che vuole solo avere un incarico. In dieci anni è una parabola davvero molto triste.

C’è un’esperienza vincente nelle amministrazioni locali Cinque stelle?

Secondo me no. A parte comuni minuscoli, gli esempi più significativi o non hanno vinto il secondo mandato o non si sono ricandidati o non hanno comunque dato continuità a dimostrazione del fatto che l’andare al governo, la realtà più cruda – anche se noi avevamo detto dal primo giorno che l’essere contro tutti è una cosa, l’andare poi al governo è un’altra –, la prova dei fatti ha decretato a livello locale la fine dei Cinque stelle, vedremo a livello nazionale

Gli attivisti che rimangono in che valori si identificano oggi?

Si tratta dell’essere fan, come a livello calcistico: cos’è che dopo esserti affezionato a una squadra di calcio ti fa rimanere tifoso anche quando va in serie C? Tu dovresti dire, vabbè, ma cambia squadra! Invece rimani lì perché non vuoi tradire un senso di appartenenza, ti vuoi sentire partecipe di qualcosa, non vuoi ammettere d’aver sbagliato, secondo me sono tanti motivi molto personali. Questo è il profilo dell’elettore, mentre per l’attivista in minima parte è la stessa cosa, quindi gente che a oltranza ha cambiato opinione dieci volte e non se ne rende neanche conto, ma è gente che vuole avere un incarico e spera che ci possa essere un’elezione, non a livello comunale, dove c’è da fare fatica in prima persona. A livello regionale, nazionale ed europeo invece è molto più una situazione da «voto il simbolo», quindi nessun impegno, basta andare lì e se sei in una buona posizione si entra. Come l’ultimo dei forzisti che hai criticato fino all’altro giorno. 

Il Movimento da sempre è molto debole nelle elezioni locali. Perché nessuno ha individuato e affrontato il problema?

Perché non era interessante affrontarlo. Ma vale anche per gli altri partiti, a livello locale ci sono sempre problemi di spaccature interne. Il territorio da sempre è un problema perché è capillare. Il grande partito ha necessità voglia interesse di affrontarlo per tentare di ottenere una coesione territoriale. Il M5s, che all’inizio era un partito solo del territorio e faceva delle epurazioni, aveva nei disordini territoriali la sua forza, vedeva regnare nella confusione il capobastone. Questo sistema ha fatto comodo ma gli si è anche rivoltato contro. Fico, responsabile territoriale nel nostro caso, ma anche in altri, non ha mai affrontato un problema, non ne ha mai risolto uno. Prima di lui, Di Maio, primo incaricato degli enti territoriali e delle amministrative, ha fatto una chat, ma in tutti questi anni hanno organizzato solo un incontro a Roma tra amministratori, in antagonismo a me che lo chiedevo da subito. Tutti e due, che hanno avuto nel frattempo altre cariche, non hanno mai affrontato né risolto un problema e gli effetti si hanno oggi. La disaffezione è un processo molto lento, ci sono dei personaggi che sono usciti e hanno lasciato una traccia, ma ci sono decine di migliaia di attivisti che semplicemente hanno smesso di fare politica. 

C’è un conflitto tra eletti locali ed eletti a Roma?

Tenendo presente che gli amministratori locali non ci sono quasi più, conflitti ce ne sono stati. Quelli più visibili sono stati quelli di Raggi e Appendino che più volte si sono scontrate con i vertici nazionali su tematiche pratiche, le Olimpiadi, lo stadio per la Raggi, la ricandidatura… Ma se pensiamo alla stratificazione di assistenti/controllori che avevano affidato alla Raggi, cosa hanno mai concluso? Niente, erano lì per controllare i dissidi interni tra fazioni diverse. Ci sono stati tanti conflitti e non risposte che hanno evitato gli scontri perché la gente alla fine è andata avanti da sola. 

Gli attivisti guardano più ai ribelli?

Non saprei dire. Se dovessi guardare da fuori direi che una parte è con loro, l’altra coi governisti. La parte che sta con gli oltranzisti, che pure hanno una posizione mediatica che fa comodo che ci sia, in parte si è già scollata. Quel che è rimasto, che si è innamorato dell’idea, che scrive «noi siamo il movimento» quando è evidente che decidono tutto i vertici, tant’è vero che Grillo non ha consultato la base, è in balia all’affezione della squadra, finché esisterà.

È un rapporto che si può recuperare?

La storia della politica è piena di rimbalzi, ma gli altri parlano a una parte politica connotata molto chiara. I Cinque stelle hanno sempre parlato a giustizialisti, anticasta, a chi era contro qualcosa. Fanno fatica oggi: o trovano un’altra identità, a rischio di perdere pure alcuni di quelli che sono ancora lì, oppure, se eri anticasta e sei diventato casta, non so cosa ti puoi inventare. Non sei neanche quelli dell’ambiente perché per l’ambiente non hai fatto niente, non sono liberali, di centro. Conte lo è i Cinque stelle non lo sono mai stati: proveranno a piazzarsi lì ma c’è più concorrenza. Sono riusciti pur di non spaccarsi a trovare un accordo tra due che si erano dati dell’incompetente al governo e del despota, quindi penso che possano essere in grado di dire tutto e il contrario di tutto. 

I territori possono giocare un ruolo?

Non penso, i territori non esistono più. Non abbiamo più visto eventi dei parlamentari sul territorio, ma i gruppi sul territorio, le assemblee che si vedevano una volta non si fanno più da tempo, perché non ci andrebbe nessuno.

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