Uno degli argomenti preferiti da Matteo Salvini e anche di Giorgia Meloni per raccogliere consensi, quindi voti, è il tema dei migranti che erroneamente intrecciano con quello della sicurezza. Vediamo di aiutarlo a inquadrare il problema.

Innanzitutto Salvini potrebbe cominciare a studiare la storia delle migrazioni, che esistono dal momento della nascita del genere umano sempre in cerca di condizioni migliori di vita. Una stupenda e immediata idea potrebbe dargliela In Cammino del grande fotografo Sebastiano Salgado.

A partire dal Cinquecento, circa 50-55 milioni di persone lasciarono i paesi europei diretti in Sud America (spagnoli e portoghesi), Nord America (olandesi, inglesi e francesi), Africa (olandesi, inglesi, francesi, tedeschi e, in seguito, italiani): conosciamo tutti la colonizzazione, spesso selvaggia  che ne seguì e che rubò risorse arricchendo i paesi europei. Quindi, nell’esaminare l’attuale problema dell’emigrazione i paesi europei dovrebbero riconoscere di avere un debito verso molti paesi, in particolare verso quelli affacciati sul Mediterraneo.

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Hatton e Williamson (2005) riportano che in tempi più recenti, tra il 1820 e il 1940, emigrarono circa 60 milioni di europei, a ritmi anche di più di un milione di persone l’anno nei primi vent’anni del novecento. Di questi, ben 38 milioni emigrano negli Stati Uniti, soprattutto italiani. Questa era già una migrazione di poveri in cerca di una vita migliore. Tra il 1861 e il 1985 i soli emigranti italiani sono stati poco meno di 19 milioni, tra questi anche gli italiani morti a Marcinelle in Belgio che Meloni oggi dice che non vanno equiparati agli attuali migranti. E invece oggi stiamo sperimentando un tipo simile di migrazione, una mobilità del Mediterraneo prodotta da guerre e carestie, migrazione che avviene in un contesto internazionale assai diverso da quello dell’inizio del ventesimo secolo e costituito da una maggioranza di paesi retti da governi democratici.

Quanto è avvenuto negli ultimi 20 anni con le migrazioni dall’Africa o dal Medio Oriente rientra quindi nella normalità della storia dell’umanità e va solamente affrontato tenendo presente il contesto attuale con le diverse norme internazionali, comprese quelle del mare, che impongono di offrire accoglienza e assistenza ai migranti. Non sono solo principi cristiani, come ha spesso ricordato papa Francesco, ma anche principi degli stati democratici moderni. Intelligenza e competenza vorrebbero che il problema dei migranti fosse affrontato in positivo nell’intento di costruire una politica che crea benessere ai migranti e a chi li accoglie.

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Innanzitutto va sgombrato il campo dall’idea che i migranti siano responsabili della mancanza di sicurezza. Negli ultimi anni, nell’Unione europea si è osservata una tendenza generale alla diminuzione dei reati denunciati. Secondo Eurostat (2020), l’Italia si trova nella posizione migliore rispetto a Francia Germania e Spagna per tasso di delitti denunciati ogni 100mila  abitanti. Dimentichiamo dunque l’equazione migranti uguale diminuzione della sicurezza.

C’è invece un altro tema che va considerato: la forza lavoro di cui avrà bisogno l’Italia nel 2050. Secondo l’Istat,  se non verrà invertita la rotta, nel 2050 l’Italia avrà cinque milioni di abitanti in meno. Solo poco più di una persona su due sarebbe in età da lavoro, con un 52 per cento  di persone tra i 20 e i 66 anni che dovrebbero provvedere sia alla cura e alla formazione delle persone sotto i vent’anni (16 per cento), sia alla produzione di adeguate risorse per il mantenimento e l’assistenza ai pensionati (32 per cento). L’età media sarà di 53,6 anni rispetto ai 45,7 di ora. E non si può fare un’analisi sul futuro dell’Italia senza parlare di demografia.  È giusto migliorare le politiche che possono aiutare la natalità ma non dobbiamo farci illusioni.

200mila immigrati l’anno

Occorre allora disegnare una corretta e coraggiosa politica dell’immigrazione, pena la mancanza di forza lavoro necessaria al nostro sistema produttivo. Finora abbiamo trattato piuttosto male gli extracomunitari che hanno messo piede sul suolo italiano. Anche chi arrivava con regolare permesso di soggiorno, magari per lavorare temporaneamente nelle campagne, è stato accolto in modo indegno come testimoniano le cronache.

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Per assicurare l’efficienza del sistema produttivo tra 30 anni dovremmo accogliere da ora 200 mila immigrati l’anno, usando ogni possibile mezzo per integrarli nella nostra società. Accoglienza significa destinare abitazioni decenti agli immigrati con annesse istituzioni scolastiche che provvedono a insegnare la lingua italiana, la nostra Costituzione, le principali norme di convivenza civile e finalmente un mestiere o una professione, evitando così che finiscano nei sistemi di caporalato, indegni di un paese civile. Poi più facilmente potranno essere applicate norme di ius soli o ius scholae.

I cittadini stranieri contribuiscono al Pil italiano per il 9 per cento (fondazione Moressa 2021), Matteo Salvini, invece di ricordarci i suoi discussi decreti sicurezza, e Giorgia Meloni, invece di fare distinguo strumentali tra i migranti di ieri e di oggi, dovrebbero iniziare a studiare le ipotesi di evoluzione dell’economia e della popolazione italiana. Questo sarebbe l’approccio di un vero statista.

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