In molti guardano alle comunali del 2027. L’assessore del Municipio I, classe 1996, ha organizzato un incontro alla libreria Colibrì, convocando associazioni, comitati, giornalisti, collettivi e cittadine/i al grido di “Primarie o barbarie”: «La prima cosa da fare è instaurare un nuovo rapporto di fiducia col popolo di sinistra della città»
E se a Milano si candidasse un trentenne del Pd con un’idea di amministrazione comunale completamente diversa da quella vigente? In questi mesi le elezioni del 2027 sono un argomento di conversazione costante. Non quanto il costo insostenibile della vita e delle case, ma comunque costante. Nel centrosinistra si evocano nomi, si dice che ci vorrebbe qualcosa di nuovo, si scuote la testa e poi, soluzione spesso auspicata ma poco praticata, si evocano le primarie.
Lorenzo Pacini – assessore del Municipio I, classe 1996, nel Pd da quando, dieci anni fa, studiava giurisprudenza in Statale – potrebbe essere tra i possibili candidati. Ma, spiega, «siamo in una fase ben precedente rispetto a candidature e progetti politici concreti».
Prima di decidere cosa e chi, bisogna cominciare un percorso che coinvolga il «popolo di sinistra» della città. Per questo mercoledì 17 dicembre, alla libreria Colibrì, ha convocato associazioni, comitati, giornalisti, collettivi e cittadine/i alla chiamata “Primarie o barbarie”. Le primarie sono la precondizione per guardarsi in faccia e provare a capire che città vogliamo.
«L’attuale amministrazione, nel bene e nel male, ha esaurito la propria spinta propositiva. Fra due mesi si concluderanno le Olimpiadi e sarà tardi per cominciare dibattiti nuovi con questa giunta. La cosa importante da fare, a quel punto, sarà pensare al futuro e farsi trovare pronti quando il futuro arriverà» osserva Pacini.
«Milano costa troppo»
Il futuro sono le elezioni, un punto di partenza più che un traguardo, e per arrivare lì con un progetto solido, da mettere in atto subito dopo le elezioni (se saranno vinte), bisogna iniziare a lavorare ora. «La prima cosa da fare è instaurare un nuovo rapporto di fiducia col popolo di sinistra della città, messo a dura prova da ultimi avvenimenti a Milano. Non tanto la vicenda giudiziaria in sé, la giustizia farà il suo corso. Parlo delle scelte politiche che hanno portato fin lì. La conseguenza, gravissima, di quel modello è che oggi Milano costa troppo».
Mesi di scioperi Atm riassumono il problema: quando il costo della vita supera gli stipendi di chi garantisce servizi essenziali come il trasporto pubblico, si crea carenza di conducenti. I turni diventano eccessivi, il servizio peggiora e le corse calano, colpendo la stessa classe lavoratrice, sempre più spinta a vivere ai margini della città. Un circolo vizioso.
«Si è interrotto il patto sociale. Si è puntato ad attrarre investimenti stranieri senza garantire al contempo l’accessibilità della città ai lavoratori. Un po’ perché ai comuni mancano gli strumenti per una reale redistribuzione, ma soprattutto perché chi governa la città non ha colto la gravità della situazione. E continua a non coglierla ora». Per Pacini, però, non è ancora il tempo delle soluzioni: per trovarle serve un percorso collettivo che dia spazio al confronto e al conflitto. Se si impone un candidato dall’alto, il popolo non partecipa. E al suo posto partecipano i poteri forti, che sanno perfettamente difendere i loro interessi. Alla domanda su quale sia il popolo a cui si riferisce, Pacini risponde che pensa sia a quello che già vota, sia a quello che non vota mai: i giovani delle periferie.
Ripartire dalle basi
E ha ragione. Se la media di votanti fra i giovani del centro è del 55 per cento, nelle periferie si scende al 30 per cento. È una delle fasce di popolazione più vulnerabili, la prima con cui confrontarsi in un dibattito pubblico sulla città, da cui finora è stata del tutto esclusa. Quando ha deciso di partecipare, durante le manifestazioni per la Palestina di fine settembre, è stata “oscurata” dalle polemiche sui “maranza” che avrebbero cercato, da soli e da esterni, di occupare la stazione Centrale. Niente di più classista.
Insomma, bisogna ripartire dalle basi: «Nel dibattito su San Siro è stato detto “non possiamo spaventare gli investitori” ma questa frase dovrebbe stare in bocca a un amministratore delegato che deve staccare dividenti, non a un comune. Basta manager che ci spiegano come fare politica: la città non può essere gestita come un’azienda, bisogna lavorare per i cittadini».
Come per Mamdani a New York, il concetto chiave per Pacini è «affordability». Ci vuole un progetto politico che metta al centro la possibilità dei giovani (tutti) di vivere qui, e questo vuol dire mobilitare la questione economica (costo della vita e delle case), il welfare, la sostenibilità, la qualità dell’aria che respiriamo: tutto.
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