- Il segretario lancia il congresso, confronto allargato per evitare la rottura fra chi guarda a M5s e chi a Calenda. O l’abbandono di chi non vuole essere rappresentato da un leader ex renziano o da un laburista.
- Tutti d’accordo, Letta concede qualcosa a chi vuole lanciarsi alla scalata della segreteria, come Stefano Bonaccini, e a chi come Andrea Orlando proproneva un congresso «costituente» già all’indomani del disastro.
- Nel frattempo andrà al voto il Lazio e la Lombardia. Le alleanze dovrebbero essere consentite a livello locale. E sempre nel frattempo il governo delle destre si insedierà. Il rischio è che il Pd, anziché fare opposizione, passi i prossimi mesi a discutere di sé stesso, lasciando la scena a M5s e Calenda.
Dicono tutti sì al segretario. Ma come accade puntualmente nel Pd, dietro l’unanimismo di facciata si scavano le trincee. Il giorno in cui sui media circolano le parole che quasi tutti i dirigenti democratici hanno bene in testa ma si guardano altrettanto bene da pronunciare ad alta voce – «scioglimento», sulla prima pagina di Domani, ma anche «scissione», «bivio», «estinzione» – Enrico Letta frena e accelera contemporaneamente. Frena, ci prova, lo sbando all’indomani della sconfitta eletto



