Nel discorso successivo allo scioglimento delle Camere, dopo le dimissioni del governo guidato da Mario Draghi, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha sottolineato l’«importanza decisiva» della «attuazione nei tempi concordati del Piano nazionale di ripresa e resilienza, cui sono condizionati i necessari e consistenti fondi europei di sostegno».

Il governo, recependo le indicazioni di Mattarella – nella circolare del 21 luglio, ove delinea il perimetro degli “affari correnti” entro cui è obbligato ad agire – ha ribadito il proprio impegno «nell’attuazione legislativa, regolamentare e amministrativa del piano nazionale di ripresa e resilienza». Quindi, la realizzazione del Piano (Pnrr) rientra nell’amministrazione ordinaria, di competenza del governo dimissionario.

L’attuale esecutivo dovrà proseguire senza sosta nella implementazione delle misure previste, e non solo fino alle elezioni del 25 settembre, ma fino all’insediamento di quello nuovo, presumibilmente non prima della fine di ottobre. Cosa resta da fare, in concreto, per il governo Draghi? Quali sono le indicazioni contenute nei programmi dei partiti riguardo al Pnrr? E quale sarà l’impatto dell’esito voto sulla sua realizzazione?

Impegni fino a fine 2022

Va innanzitutto detto che entro fine anno vanno portati a compimento 55 impegni concordati con l’Unione europea, di cui 16 traguardi (milestone) e 39 obiettivi (target), per ottenere una rata da circa 22 miliardi di euro (al lordo degli anticipi).

Tra le misure da implementare, ad esempio, c’è il sistema di certificazione della parità di genere e i relativi meccanismi di incentivazione per le imprese; il piano di rafforzamento 2021-23 dei centri per l’impiego; il Piano nazionale per il contrasto al lavoro sommerso. È, inoltre, necessario dare attuazione alle deleghe legislative, dalla disciplina della giustizia civile e penale a quella della concorrenza, con provvedimenti controversi, come il riordino delle concessioni balneari e la riforma dei servizi pubblici locali.

Come scrive Openpolis, «incrociando le informazioni messe a disposizione dal centro servizi della camera con quelle dell’ufficio per il programma di governo», al 26 agosto erano 54 su 153 i decreti attuativi legati alle misure legislative del Pnrr non ancora predisposti.

Pare che Draghi intenda ridurre quanto più possibile lo stock di tali provvedimenti, con l’adozione di 243 decreti (di cui 120 a settembre e 123 a ottobre), anticipando alcune scadenze di fine anno. Anche perché la mancata effettuazione degli interventi previsti nei tempi stabiliti implicherebbe l’esito negativo della verifica della Commissione europea circa il rispetto del cronoprogramma del Pnrr, e quindi l’impossibilità di ricevere i relativi fondi. L’obiettivo di Draghi sembra comunque di ardua realizzazione.

I programmi di governo

L’“Accordo quadro di programma per un governo di centrodestra” parla di «pieno utilizzo» delle risorse del Pnrr, «colmando gli attuali ritardi di attuazione», nonché di «accordo con la Commissione europea, così come previsto dai Regolamenti europei, per la revisione del Pnrr in funzione delle mutate condizioni, necessità e priorità».

Quest’ultimo passaggio, non molto chiaro, può essere spiegato attraverso il programma specifico di Fratelli d’Italia: si prospetta un «mirato aggiornamento del Pnrr alla luce della crisi scaturita dal conflitto in Ucraina e dall’aumento dei prezzi delle materie prime, proponendo alla Commissione di operare modifiche specifiche nei limiti di quanto stabilito dall’art. 21 del Regolamento europeo sul Next Generation Eu».

La norma citata, tuttavia, prevede che si possa rivedere il Piano esclusivamente se esso «non può più essere realizzato, in tutto o in parte, dallo stato membro interessato a causa di circostanze oggettive». Quindi, il centrodestra – a parte piccoli aggiustamenti nel Pnrr – potrebbe concretizzare quanto proposto solo ove riuscisse a dimostrare la ricorrenza di condizioni che determinano una “oggettiva” impossibilità di attuare il Piano.

Quanto al centrosinistra, il Pd afferma di voler «portare a termine nei tempi previsti le tante riforme che l'Italia aspetta da tempo e tutti gli investimenti previsti dal Pnrr, per non perdere neanche una delle opportunità offerte dai finanziamenti europei». Parimenti, +Europa vuole «proseguire nel solco del lavoro svolto dal governo Draghi. In primo luogo, quindi, procedere nei tempi previsti all’attuazione del Pnrr in tutte le sue parti, relativamente agli investimenti e alle riforme».

Nel programma di Sinistra italiana e Verdi, invece, in più parti si propone di riconsiderare la destinazione dei fondi del Pnrr, «per dare priorità a efficienza e rinnovabili per l’impresa», nonché l’«adeguatezza del Pnrr rispetto alle necessità dell’adattamento» ai cambiamenti climatici.

Quindi, da un lato, c’è il centrodestra, che propone modifiche al Pnrr difficilmente accoglibili dall’Unione europea, e che comunque nel tempo ha già espresso contrarietà ad alcune misure, quali quelle in tema di concorrenza, con il rischio di non osservare le scadenze previste. Dall’altro lato, c’è un centrosinistra che, salvo la parte più estrema della coalizione elettorale, vuole restare aderente al Piano – così come pure il Terzo Polo (Azione e Italia viva) –  ma che è improbabile possa governare, visti i sondaggi circolati fino a qualche giorno fa.

Le conseguenze del voto

Dunque, l’esito del voto potrà avere impatti sulla realizzazione del Pnrr. Un’eventuale rinegoziazione da parte del nuovo governo comporterebbe inevitabilmente ritardi. La procedura è complessa, richiede l’intervento della Commissione e del Consiglio europeo, e resterebbe comunque il termine del dicembre 2026, entro cui va rendicontato l’intero Piano.

I tempi per il conseguimento di obiettivi e traguardi sarebbero stretti. Inoltre, la rinegoziazione potrebbe non andare a buon fine. Pertanto, il rischio è di perdere almeno una parte delle risorse europee, nonché di dover restituire quanto percepito finora a titolo di prefinanziamento.

Quest’ultimo ammonta a circa 24,9 miliardi (8,957 miliardi a fondo perduto e 15,937 miliardi di prestiti), erogati il 13 agosto 2021 e, a ogni tranche di fondi del Pnrr versata all’Italia – a seguito della valutazione positiva del raggiungimento delle mete previste – la Commissione trattiene una quota per l’anticipo già corrisposto.

Ma il mancato rispetto del Pnrr non sarebbe solo questione di fondi persi. Il Piano è una lista di impegni che contrattualmente l’Italia si è vincolata ad assolvere nei confronti dell’Unione europea in cambio dell’erogazione di risorse. La sua attuazione, oltre che condizione per percepire le somme previste, è indice della credibilità del paese, attuale e futura. Difficile che l’Italia possa essere considerata affidabile nei prossimi anni, anche con riguardo a ulteriori programmi di finanziamento europei, se non adempierà agli obblighi assunti con il Pnrr.

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