Il ruolo dei social network nella formazione delle opinioni politiche è noto da tempo. Soprattutto dopo lo scandalo “Cambridge Analytica”, che ha rivelato come dati di milioni di utenti fossero utilizzati per influenzare competizioni elettorali, è sempre maggiore l’attenzione alle piattaforme di condivisione di contenuti su internet.

Anche per questo motivo, il 22 settembre scorso il Garante per la protezione dei dati personali ha inviato a Facebook Italia (Meta) «una richiesta urgente di chiarimenti» circa le attività intraprese relativamente alle elezioni del 25 settembre per il rinnovo del parlamento italiano.

Nel comunicato stampa del Garante si fa espresso riferimento all’annuncio da parte di Meta, la società che gestisce Facebook, di aver avviato una campagna informativa, indirizzata espressamente agli utenti maggiorenni italiani, «volta a contrastare le interferenze e rimuovere i contenuti che disincentivano al voto», in collaborazione con organizzazioni indipendenti di fact-checking e mediante l’utilizzo di un “Centro operativo virtuale” – composto da esperti in intelligence, data science, ingegneria ecc. - per identificare in tempo reale potenziali minacce.

L’autorità per la privacy, considerata la necessità di «prestare particolare attenzione al trattamento di dati idonei a rivelare le opinioni politiche degli interessati e al rispetto della libera manifestazione del pensiero», ha chiesto a Facebook di fornire «informazioni puntuali sull’iniziativa intrapresa; sulla natura e modalità dei trattamenti di dati su eventuali accordi finalizzati all’invio di promemoria e la pubblicazione degli “adesivi” informativi (pubblicati anche su Instagram - Gruppo Meta); sulle misure adottate per garantire, come annunciato, che l’iniziativa sia portata a conoscenza solo di persone maggiorenni».

Il potere dei social

La questione concernente l’iniziativa realizzata dalla piattaforma social dev’essere affrontata su due piani, entrambi menzionati nel comunicato del Garante Privacy. Il primo riguarda “il trattamento di dati idonei a rivelare le opinioni politiche degli interessati”: l’attività posta in essere da Facebook sui contenuti elettorali può richiedere una valutazione e qualificazione di tali opinioni. E, siccome si tratta di dati “sensibili”, servono particolari cautele, quali ad esempio la valutazione di impatto prevista dal Regolamento europeo per la protezione dei dati personali (art. 28 Gdpr), necessaria quando un trattamento può comportare un rischio elevato per i diritti e le libertà degli interessati. Il Garante vuole accertare l’adozione delle misure di tutela previste dal Gdpr.

C’è anche un piano diverso che l’Autorità opportunamente sottolinea: il “rispetto della libera manifestazione del pensiero”. Come detto, l’iniziativa di Meta mira a colpire i contenuti che disincentivano il voto. Se la divulgazione tramite social di informazioni sbagliate su elementi materiali (date, seggi ecc.), volte a indurre in errore gli utenti per ostacolarne la partecipazione al voto, può essere considerata una pratica da contrastare (fake news), manifestare opinioni favorevoli all’astensione, ad esempio, rientra a pieno titolo nella libertà di espressione.

Per quanto lodevole possa essere considerato l’intento di evitare che sia favorita la rinuncia al voto, si tratta comunque di un perimetro nel quale il gestore non dovrebbe avere titolo a ingerirsi. Se invece lo fa, ciò induce a chiedersi se il gestore stesso non abbia un fine ulteriore, oltre a quello espressamente dichiarato. Peraltro, in taluni casi, può anche risultare arduo valutare quali condotte sui social siano finalizzate a disincentivare il voto o possano determinare tale risultato come conseguenza indiretta.

Il confine tra disinformazione e opinione

Come avevamo spiegato in un articolo precedente, nel giugno scorso Meta ha aderito al Codice rafforzato contro la disinformazione online, impegnandosi al rispetto delle misure previste, specie in termini di trasparenza sulle politiche intraprese e sugli strumenti utilizzati per contrastare la disinformazione. Già nel 2018, quando fu elaborata la precedente versione del Codice, la Commissione europea aveva rilevato come social media, motori di ricerca ecc. possano essere impiegati per diffondere disinformazione su vasta scala, anche al fine di distorcere processi democratici, e così interferire sugli esiti elettorali.

Anche il regolamento dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) relativo alle elezioni del 25 settembre aveva raccomandato che le piattaforme di condivisione adottassero «misure di contrasto ai fenomeni di disinformazione anche in conformità agli impegni assunti dalle piattaforme nell’ambito del Code of Practice on Disinformation».

Detto ciò, il confine tra disinformazione e legittima espressione di opinioni è una linea sottile, e i gestori dei social network dovrebbero averla sempre presente, evitando iniziative che, per quanto finalizzate a scopi commendevoli, rischiano di oltrepassarla. Perché se è vero che la diffusione di informazioni corrette garantisce la democrazia, quest’ultima si fonda anche sulla libertà di espressione. Lasciare alle aziende tecnologiche il potere discrezionale di stabilire i limiti di questa libertà può essere pericoloso.

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