Sono passati esattamente tre anni da quando, il 9 dicembre 2022, è esplosa l’inchiesta poi finita sotto l’etichetta del Qatargate, che ha terremotato il parlamento europeo con l’ipotesi di reato di corruzione e lobbying illegale in favore del Qatar. Principali indagati: l’ex vicepresidente del parlamento Ue, la greca Eva Kaiki, il suo compagno e consigliere parlamentare Francesco Giorgi e l’ex eurodeputato Pd Antonio Panzeri.

Ora, invece, il tavolo sembra essersi ribaltato: a fronte di un ridimensionamento sostanziale di quell’inchiesta che è ancora in corso, sotto indagine sono finiti gli inquirenti belgi che la hanno portata avanti. Le ipotesi a loro carico sono di violazione dell’immunità parlamentare e del segreto istruttorio, oltre al conflitto di interessi del giudice istruttore. E la chiusura di questa seconda indagine con l’accertamento di violazioni potrebbe di fatto smontare quella originaria.

Il Qatargate

L’indagine, aperta a luglio 2022 dalla procura federale belga, riguardava i reati di associazione per delinquere, riciclaggio e corruzione a carico di quattro principali indagati: Kaiki, Giorgi, Panzeri e Niccolò Figà-Talamanca, segretario generale della ong No Peace Without Justice, e fondata da Panzeri.

L’ipotesi: «Persone dentro al Parlamento Europeo siano state pagate grosse quantità di soldi o abbiano ricevuto regali significativi per influenzare le decisioni del Parlamento Europeo» riguardo al Qatar. Il sistema, secondo gli inquirenti, vedeva l’ex parlamentare Panzeri a capo di una rete di europarlamentari, assistenti e funzionari, che si prestavano a curare gli interessi e difendere l'immagine del Qatar (poi anche il Marocco è entrato nell’indagine) dentro il parlamento Ue, in cambio di denaro.

Nella concitazione degli arresti, erano state diffuse dalla polizia belga le fotografie del denaro sequestrato – circa 1,5 milioni di euro – nascosto in sacche e valige.

L’indagine si è poi allargata ad altri europarlamentari – alcuni dei quali si sono poi dimessi – e l’avvio di una indagine interna nel gruppo dei Socialisti europei. Mentre i principali indagati venivano posti in custodia cautelare in carcere, molti documenti hanno iniziato a trapelare dalla procura federale belga.

Dopo i primi mesi, segnati in particolare dal duro arresto preventivo di Eva Kaili – privata dell’immunità parlamentare e a cui per due mesi di detenzione è stato impedito di vedere la figlia di due anni – l’indagine non si è allargata ad altri indagati.

I parlamentari indagati sono stati scarcerati – Kaili compresa – e Panzeri è stato invece collocato ai domiciliari in cambio del suo sì a collaborare con la procura belga. Durante la custodia cautelare, secondo le informazioni fatte filtrare sui media, Giorgi avrebbe confessato di essere stato corrotto da funzionari del Qatar e di aver ricevuto fondi dal governo marocchino, implicando nelle sue dichiarazioni Antonio Panzeri, Andrea Cozzolino e Marc Tarabella.

Nel gennaio 2023, Panzeri ha patteggiato con le autorità belghe la pena, dichiarandosi colpevole e giurando di rivelare le identità dei corrotti e delle rete con cui aveva lavorato in cambio di una sentenza di cinque anni di cui quattro sospesi. Così, dopo quattro mesi di detenzione, ad aprile 2023 è finito agli arresti domiciliari e a settembre ha ottenuto la scarcerazione anticipata condizionale.

I metodi con cui si è svolta l’indagine sono finiti a loro volta sotto inchiesta nel settembre 2023, proprio per far luce sui modi adottati dalla giustizia belga.

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I presunti abusi

Ad adombrare presunti abusi nella conduzione dell’inchiesta è prima di tutto la condotta del giudice istruttore del tribunale di Bruxelles, Michel Claise.

Il suo metodo di condurre le indagini – non oggetto di contestazione – è stato quello di utilizzare la custodia cautelare in carcere (che in Belgio non ha limiti di durata) per ottenere confessioni o collaborazioni.

Il colpo di scena, però, è arrivato a giugno 2023, quando Claise ha deciso di abbandonare l’inchiesta per un conflitto di interessi: il figlio maggiore Nicolas, infatti, aveva una società in comune con Ugo Lemaire, figlio dell’eurodeputata socialista belga, Maria Arena, finita anche lei nelle carte dell’indagine ma senza subire richiesta di misura cautelare come accaduto ad altri europarlamentari. A scoprire il conflitto era stato l’avvocato di Tabarella; Claise aveva scelto il passo indietro prima della richiesta di ricusazione.

In seguito a questo fatto, l’inchiesta ha iniziato a vacillare e sotto la lente del controllo sono finite le presunte violazioni dell’immunità parlamentare e del segreto istruttorio, in seguito alle continue fughe di notizie sugli arresti e sui contenuti degli interrogatori.

Questo secondo filone è nato dalle denunce presentate dagli indagati Kaili, Giorgi e Arena proprio per violazione del segreto istruttorio e fughe di notizie.

In particolare Kaili, da quando è tornata in libertà, ha accusato le autorità belghe di aver usato «metodi da stato di polizia» e di averne fatto un «caso mediatico», «un insulto allo Stato di diritto». Non solo: nel 2025 insieme a Giorgi ha presentato denuncia per calunnia nei confronti di Panzeri, sostenendo che le accuse nei loro confronti siano state costruite sulla base di dichiarazioni false ottenute dall’ex eurodeputato.

Ad oggi, la situazione processuale degli inquirenti del Qatargate è di un nuovo ciclo di udienze con 12 indagati attese proprio in questi giorni. Intanto, il direttore dell'Ufficio belga anticorruzione (Ocrc), Hugues Tasiaux, è stato formalmente indagato e rimosso dall'incarico. È stato inoltre ascoltato il capo delle indagini, Bruno Arnold, che insieme a Tasiaux avrebbe chiamato in causa l'ex procuratore Raphael Malagnini. «C'è ancora molto lavoro da fare», sono state le dichiarazioni della procura belga che ancora non ha chiuso le indagini.

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Il ruolo di Tasiaux

La figura più compromessa, secondo quanto emerso dall’indagine in corso, è quella dell’ex direttore Tasiaux. Secondo il quotidiano Il Dubbio, infatti, è emersa la presenza di una “squadra Medusa”: una sorta di struttura occulta che durante il Qatargate ha gestito un circuito informativo illecito per divulgare informazioni alla stampa. Polizia, inquirenti e giornali sarebbero stati in contatto attraverso chat criptate su Signal e WhatsApp, con passaggio di documenti riservati e sistematicamente pubblicati alla vigilia di arresti e perquisizioni.

Prove sarebbero emerse dopo il sequestro dei telefoni di Tasiaux e la più rilevante è uno screenshot: su una chat chiamata "KnackSoirQatar", l'8 dicembre 2022 due cronisti inviano a Tasiaux le bozze complete degli articoli che usciranno il giorno successivo, in cui sono anticipati nomi, perquisizioni e tutti i dettagli dell'inchiesta. L’accordo sarebbe stato quello di anticipazioni giornalistiche in cambio di un via libera di Tasiaux sui contenuti degli articoli. 

Tutti indagati

L’esito, a tre anni di distanza, è che tutti i protagonisti del Qatargate sono tutt’ora indagati ma non più sottoposti a misura cautelare. A tre anni dall’avvio dell’indagine, però, il processo vero e proprio non è ancora cominciato.

Quest’anno, però, si è parallelamente aperto il procedimento per il riesame della legittimità dell’intera indagine, per verificare se siano state commesse violazioni nelle sue modalità, oltre che sull’attendibilità di alcune dichiarazioni portanti come quella di Panzeri.

Proprio questa decisione è la prossima ad essere attesa: se la validità dell’indagine verrà confermata anche l’inchiesta Qatargate potrà progredire verso il processo, altrimenti potrebbe finire annullata per intero o in alcune sue parti.

Per capire il caso, tuttavia, è necessario tener presente che le regole processuali utilizzate sono quelle della procedura penale del Belgio, diverse dalle nostre perché improntate al rito inquisitorio: il giudice istruttore indaga, dirigendo la raccolte della prove e ordinando perquisizioni e arresti. Solo al termine di questa fase – segreta – il caso passa alla Camera di consiglio che controlla quanto svolto e decidere se procedere con il processo davanti al tribunale.

Questo sistema (simile a quello che era in vigore in Italia prima della riforma del 1989) prevede un meccanismo di controllo molto articolato sull’attività del giudice istruttore, con la possibilità di ricorsi e verifiche di legittimità. Esattamente quelle ora in corso.

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