Un parlamento che non ha cuore la libertà di stampa. Non c’è nulla di nuovo, peraltro, visto che si pone perfettamente in linea con quanto accaduto fino a pochi mesi fa. Il punto è che la disattenzione sul tema è addirittura crescente, comprendendo le opposizioni. Dal Movimento 5 stelle al Partito democratico, per finire al terzo polo nessuno vuole condurre la battaglia. Senza tacere della maggioranza. L’ennesima conferma che la politica, nel suo insieme, preferisce brandire le querele come una minaccia contro i giornalisti avanzando richieste stratosferiche di risarcimento danno per silenziare l’informazione.

Promesse politiche

Eppure, a parole ci sono tante buone intenzioni. «Non c’è democrazia senza libertà di stampa, che il potere deve essere costantemente sottoposto all’osservazione e alla critica dei cittadini e della stampa, purché sia libera, onesta, preparata», si legge sugli account social del M5s, pubblicato per la celebrazione della giornata dedicata proprio alla libertà di stampa.

Il leader di Azione, Carlo Calenda, fino a qualche anno fa definiva «sacra» la libertà di stampa, evidenziando di non aver mai querelato nessuno. Ed era la stessa Giorgia Meloni, quando era all’opposizione, a pronunciare il «grazie» rivolto «ai tanti giornalisti che si battono per la verità». E ancora: «Saremo sempre al loro fianco contro ogni forma di censura e imposizione del pensiero unico». A patto di non disturbare la diretta interessata.

L’ondata di retorica va a sbattere contro la realtà, in cui latitano le azioni concrete per facilitare il ruolo di watchdog dei giornalisti. La conferma di questo approccio arriva dagli atti delle Camere. Dall’inizio della legislatura, c’è un solo disegno di legge, al Senato, presentato dal Walter Verini del Pd, con lo scopo di intervenire sul reato di diffamazione a mezzo stampa. Un’iniziativa, però, più personale che politica, visto che il suo partito non ne ha fatto una bandiera. Altri gruppi hanno fatto peggio, ignorando completamente la questione.

Intervento minimale

E non solo. L’intervento previsto dal ddl Verini sulle liti temerarie è minimale, visto che «nelle cause di risarcimento del danno alla persona, la parte che abbia agito con dolo o colpa grave e la cui domanda sia stata rigettata con provvedimento del giudice monocratico è condannata al pagamento di una pena pecuniaria», si legge nella relazione che accompagna il disegno di legge.

La cifra, nel caso di approvazione della norma, sarebbe «stabilita in una quota percentuale del valore della domanda risarcitoria presentata, in misura variabile fra il 5 per cento e il 10 per cento fino all’importo massimo di 30mila euro». È poco ma pur sempre qualcosa.

D’altra parte, come spiega lo stesso Verini, c’è solo il disegno di legge nei cassetti del Senato. Bisogna provvedere all’eventuale incardinamento, tema che non sembra certo all’ordine del giorno. «L’auspicio è che nell’iter sia possibile renderla più incisiva contro gli autori delle querele e liti temerarie», dice Verini.

Appello alla mobilitazione

Una prospettiva diversa rispetto a quella voluta nella precedente legislatura da Primo Di Nicola, eletto a Palazzo Madama con il Movimento 5 stelle e poi passato con Impegno civico di Luigi Di Maio: in quel caso veniva fissato un parametro preciso per il giudice con una «somma non inferiore alla metà dell’oggetto della domanda risarcitoria, al fine di scoraggiare eventuali domande risarcitorie non solo infondate ma anche palesemente esorbitanti, di natura intimidatoria nei confronti del giornalista». Un modo per non far mettere nero su bianco richieste stellari, bensì congrue. Questo, però, attiene al passato. «La speranza è che qualcuno riprenda quel testo, perché è importante per favorire una corretta informazione, che oggi rischia di essere seriamente limitata dalle liti temerarie», dice Di Nicola.

«Purtroppo», aggiunge, l’ex parlamentare, «nel precedente parlamento nessuno era davvero interessato alla libertà di stampa, così il cammino di quel disegno di legge non è stato portato avanti». E all’orizzonte non si scorgono profili in grado di raccogliere la sfida, preferendo la comfort zone degli elogi alla libertà di stampa e della mano libera sulle querele.

Di Nicola formula comunque «l’auspicio che nella nuova legislatura ci sia una maggiore sensibilità su questo proposta», pur dicendosi «pessimista» sulle prospettive. Il motivo? «Per portare la questione all’attenzione dell’opinione pubblica serve una grande mobilitazione del mondo dell’informazione. Non basta un testo di legge».

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