Alle 6 del pomeriggio, mentre la chiama a Montecitorio è arrivata alla lettera «emme», in Transatlantico una voce che sparge una secchiata d’acqua a qualche euforia di troppo che circola a proposito della serie di incontri che si succedono nel palazzo accanto.

A palazzo Chigi, infatti, Mario Draghi ha incontrato Matteo Salvini ed Enrico Letta. Ma soprattutto lì e da lì sono arrivate e partite molte telefonate. Poi ha sentito Giuseppe Conte. Perché soprattutto lì e da lì sono arrivate e partite molte telefonate. «Si è svegliato», spiega un deputato democratico.

Se domenica era il giorno di Pier Ferdinando Casini, lunedì sembra il giorno del premier, mentre la prima chiama finisce in un oceano di bianche: 39 voti vanno a Paolo Maddalena, candidato dei fuoriusciti grillini, 17 a Sergio Mattarella, 9 a Marta Cartabia, e poi spiccioli ai nomi più disparati.

«C’è solo un’opzione», dice Graziano Delrio guadagnando in fretta l’aula, e non è chiaro se parla della scheda bianca di oggi o della scheda in cui sarà scritto un nome, mercoledì o giovedì. «Se non eleggiamo un presidente entro la quarta chiama qui viene giù tutto», avverte Antonio Misiani. «Se non eleggiamo Draghi, qualsiasi altro nome dal resto del mondo verrebbe paragonato a quello che non abbiamo eletto», ragiona il senatore Luigi Zanda

Salvini e Draghi

LaPresse

La voce che invece gela tutto dice che l’incontro fra Salvini e Draghi in realtà è andato «molto male». Qualsiasi cosa significhi.

La versione che trova più conferme è che il senatore ha chiesto comunque un rimpasto di governo. E offerto a Draghi l’appoggio per il Colle in cambio del suo rientro nell’esecutivo, meglio se al ministero dell’Interno.

Tutti trattano con tutti, in realtà: anche Giovanni Toti in tv chiede posti per Coraggio Italia: «Abbiamo trenta voti». L’effetto è un testacoda delle interpretazioni e degli umori. Arriva una nuova versione dei fatti: Draghi e Salvini in realtà si sarebbero già visti domenica sera, e l’incontro sarebbe andato «benissimo».

Come quello di Letta con Salvini, negli uffici della Lega, con tanto di comunicato fotocopia uscito in tandem, segno di un patto blindatissimo sul silenzio: «Con il faccia a faccia si è aperto un dialogo: i due leader stanno lavorando su delle ipotesi e si rivedranno domani».

In serata il leader spiega che sta lavorando «perché nelle prossime ore il centrodestra unito offra non una ma diverse proposte di qualità, donne e uomini di alto profilo istituzionale e culturale, su cui contiamo ci sia una discussione priva di veti e pregiudizi».

Il leader del Pd e quello della Lega hanno cominciato a intendersi. Sul nome del capo dello stato ma soprattutto sul profilo del prossimo governo. E questo è stato possibile perché Mario Draghi è sceso dalla torre d’avorio in cui fin qui si è trincerato, e ha cominciato a confrontarsi con i leader dei partiti.

Accettando visite non solo a palazzo ma, in serata, anche nella sua casa romana al quartiere Parioli. Letta è prudentissimo. E abbottonato, anche con i suoi, che lo lasciano lavorare in solitaria: «È concentratissimo», spiegano.

Prima di lui, la mattina Salvini incontra Giorgia Meloni, che avanza senza convinzione il nome dell’ex magistrato Carlo Nordio. Poi il presidente del M5s Giuseppe Conte. Non è da qui che arrivano le resistenze all’ipotesi Draghi: Forza Italia è implosa dopo la ritirata di Silvio Berlusconi, che viene dato ricoverato da più giorni di quelli ufficialmente dichiarati. Per questo Antonio Tajani resta aggrappato alla posizione che ha scolpito il capo: «Questo governo deve finire la legislatura e solo lui può tenerlo unito».

Ancora Casini

Quindi si torna a Casini. Che non piace a Berlusconi ma piace ai liberal e ai moderati di ogni parrocchia. È sponsorizzato da Matteo Renzi, che non vuole sbagliare la partita. «Serve la politica. Po-li-ti-ca», spiega a un codazzo di giornalisti dei vecchi tempi.

«Draghi è arrivato a Palazzo Chigi grazie a un capolavoro della politica, e allo stesso modo oggi Draghi va al Quirinale se c’è un accordo politico. Po-li-ti-co».

Per il leader di Iv il premier può essere eletto al Colle ma solo se aiuta l’intesa per il futuro governo. Altrimenti c’è Casini: votabile da una parte consistente del M5s. A lui. Del resto anche nel Pd le resistenze a Draghi sono ancora forti.

È Casini «la carta che può unire», dice Andrea Marcucci nel cortile impavesato come un lounge bar, con funghi-stufa per non far gelare i cronisti delle tv.

Ma dal Transatlantico, lato destro, Umberto Bossi racconta che «Draghi è una carta, semmai uscirà più in là» e invece Casini «probabilmente non riesce». Il vecchio senatùr, sostiene la sua portavoce, «ha doti divinatorie: ci ha sempre preso».

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