Da un anno Sergio Mattarella fa di tutto per chiarire che non sta cercando una conferma per un secondo mandato.

La scelta non pare dettata da ragioni di salute o di frustrazione, anzi: il presidente si congeda dal suo settennato con gradimento altissimo e stima quasi unanime, ma ha voluto evitare che l’eccezione della conferma di Giorgio Napolitano (2013) diventasse una sorta di prassi consolidata.

Il rischio è quello di consolidare l’abitudine che ai presidenti apprezzati deve essere almeno chiesto di restare, altrimenti l’addio senza tentata conferma pare una bocciatura.

Mattarella ha inoltre chiaro il rischio di sovrapporre la scelta del capo dello Stato al ciclo elettorale: una rielezione oggi con un orizzonte implicito di un paio d’anni creerebbe un semipresidenzialismo di fatto, con il nuovo parlamento dopo le elezioni 2023 chiamato a scegliersi il “suo” presidente espressione di quei rapporti di forza.

Il capo dello Stato deve avere invece un ruolo di garanzia, che Mattarella ha esercitato in modo pacato ma fermo, guidando la trasformazione del Movimento 5 stelle in forza moderata e arginando la Lega quando era in versione sovranista e anti-euro.

Mattarella ha sempre detto di non cercare un bis, ma non ha mai detto cosa farebbe nel caso gli venisse chiesto. Nelle interlocuzioni sempre molto informali e al condizionale con i partiti, quello che è trapelato è che le uniche condizioni a cui potrebbe accettare sono una richiesta molto trasversale (praticamente tutti i partiti) e un mandato pieno (il presidente è in carica sette anni, non ha una data di scadenza).

Due punti fermi che, per quanto costituzionalmente inappuntabili, rendono l’ipotesi di una sua riconferma meno conveniente per i partiti che volevano usarla in modo strumentale per rinviare il rischio di elezioni anticipate prima del 2023 e poi negoziare assieme presidente del Consiglio e Quirinale una volta finita la parentesi di Draghi. Lega e Fratelli d’Italia sono i meno entusiasti di un Mattarella bis.

 

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