Il Pd tutto sommato ha tenuto, dunque gli elettori di Lombardia e Lazio hanno dato un segnale di fiducia al proprio malconcio partito; oppure il Pd è andato male, ha perso una valanga di voti dunque il segnale è quello opposto?

A urne aperte, domenica e lunedì, i candidati al congresso dem non hanno osservato nessuna tregua. Anzi, più le urne restavano desolatamente vuote, più il livello di allarme dei comitati si alzava. A risultato consolidato, il primo ragionamento sulla sconfitta è arrivato dal lato di Stefano Bonaccini: «In questo quadro si può puntare sulla possibilità di ricostruire. In caso contrario, se ci fossimo trovati di fronte a una débâcle, Elly Schlein avrebbe potuto premere sull’acceleratore e giocare la carta del rinnovamento totale del partito».

Lo scontro sulle regionali

In realtà anche il presidente dell’Emilia-Romagna spinge sul tasto del rinnovamento totale, e accusa la sfidante di avere imbarcato gran parte del “vecchio” gruppo dirigente: «Ho letto che tutti i migliori stanno con Elly Schlein, solo che quei migliori sono quelli che ci hanno portato a tutte le sconfitte elettorali degli ultimi anni. Abbiamo bisogno di una rigenerazione. Questa classe dirigente va cambiata per un processo naturale. Veniamo da anni in cui si sta a lungo al governo e si cambiano ministeri con qualsiasi governo».

L’allusione è ai due ex ministri Dario Franceschini e Andrea Orlando, che si danno da fare. L’ex ministro del Lavoro, in particolare: a casa sua, La Spezia, Schlein ha incassato il 71,4 contro il 22,9 di Bonaccini; a Castellammare di Stabia ieri trenta «compagni operai» della Fincantieri hanno annunciato di riprendere la tessera.

Arrivano repliche pan per focaccia: «L’esito delle regionali spinge verso la necessità di voltare pagina, su tutto - secondo Francesco Boccia, coordinatore della mozione Schlein - E si volta pagina se il Pd fa il grande partito di sinistra. La vera differenza tra le due mozioni è su identità e sulla linea politica».

Nel post-regionali certe differenze sfumano. Per esempio Giorgio Gori, sindaco di Bergamo e riformista doc – uno che ha già detto che se vincesse Schlein potrebbe “non riconoscersi” più nel Pd –, sui social è insolitamente esplicito: «Possiamo a questo punto serenamente dire che la scelta del terzo polo di sostenere Letizia Moratti è stata una sciocchezza? Col maggioritario a turno secco si è competitivi solo unendo tutto il centrosinistra (sì, pure i 5S). O lo capite o la destra vincerà ogni volta».

Dunque anche i più scettici ormai invocano la ricostruzione del campo largo, nonostante lo scarso risultato di Giuseppe Conte. Boccia, fan dell’alleanza giallorossa, non è convinto della conversione dei colleghi: «In queste ore si dicono tante cose, ma contano le mozioni e le storie». «Per noi il punto è che bisogna cambiare per non morire - dice Marco Furfaro, portavoce nazionale della mozione - Il Pd tiene, ma bisogna rifare da capo il centrosinistra: nuove leadership, nuovi volti, nuovi metodi. Le persone non vanno più a votare perché non vedono più nella sinistra uno strumento di cambiamento».

Circoli a posto, gazebo chissà

Bonaccini è in testa nei congressi di circolo con il 54,35 per cento (68.950 voti), Schlein è al 33,70 (42.758 voti) dunque venti punti e 25mila voti sotto. Ma mancano ancora i dati di Lombardia e Lazio, che avranno tempo di votare fino al 19 febbraio. È vero che al voto «aperto» dei gazebo del prossimo 26 febbraio, Schlein crede di essere favorita; ma è altrettanto vero che Bonaccini ha un solido radicamento nel partito, che è sempre stato il reale volano del voto delle primarie. Eppure non si può dire che da questa parte non si guardi con apprensione il voto delle grandi città. Oggi il presidente sarà a Roma. Torna nella Capitale dopo una settimana esatta dalla sera in cui, dopo una giornata di incontri, ha riunito un po’ di parlamentari a cena: fra gli altri Alan Ferrari, Stefano Collina, Alessia Rotta, Roberta Pinotti, Piero De Luca, Andrea Ferrazzi, Daniele Manca. Un incontro fra amici, in cui però qualche filo di preoccupazione ha tenuto banco. In una settimana Bonaccini ha allargato la distanza con l’inseguitrice. Che però ha vinto a Milano, Genova, L’Aquila, Napoli, Venezia, Lecce. E che ai gazebo il voto di opinione ha il suo peso.

Anche il voto regionale qualche indicazione la dà. Per esempio a Milano città, il comune di Beppe Sala dove ha votato il 42 per cento, lo sconfitto Pierfrancesco Majorino è sopra Attilio Fontana di bne nove punti, e il Pd è il primo partito con il 25 per cento. E in provincia il candidato di centrosinistra insegue di soli due  (42 a 44,8).

Majorino, che fin qui ha tenuto ottimi rapporti con tutti i candidati, è tendenza Schlein. A Roma invece le cose non sono andate bene: lo sconfitto Alessio D’Amato si è fermato 15 punti sotto il vincitore Francesco Rocca (35 a 50); il Pd è al 20 per cento anche se ha recuperato nei municipi XII, VII e IV, fuori dalla famigerata Ztl. A Roma, la città governata dal sindaco Roberto Gualtieri, tendenza Bonaccini come D’Amato, ha votato solo il 33 per cento.

Brutti segnali? Non è detto, secondo Enrico Borghi: certo, la disaffezione al voto «è eclatante» ma «sulle primarie, il fatto che il Pd esca da questo voto come un partito in piedi, pronto a fare le sue battaglie, è un elemento che consentirà affluenza ai gazebo: il voto che i cittadini daranno alle primarie è per una prospettiva e non per una liquidazione». Voteranno Bonaccini, è il suo sottinteso. E per chi è sicuro di vincere, va bene che Schlein attiri i suoi supporter nei gazebo: così aumenta la partecipazione. Su cui, dopo il tonfo di Lazio e Lombardia, nessuno si azzarda a fare previsioni.

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