A esplicitare i desiderata della Lega è stato il senatore Claudio Borghi: «Non voteremo una semplice ennesima riproposizione del vecchio decreto Armi». E ancora «ci attendiamo un cambiamento che ravvisi una discontinuità che tenga conto della situazione attuale e dei negoziati in corso»
Ancora no della lega al decreto Armi, che il governo di Giorgia Meloni vuole approvare entro fine anno, data di scadenza del precedente decreto che permetteva l’invio di aiuti militari di difesa all’Ucraina.
Il segretario Matteo Salvini è tornato sul tema ad un evento della Lega a Milano, in cui ha detto che «Non occorre essere filo putiniano per dire che se in quattro anni sanzioni e armi non hanno interrotto la guerra, forse devi cambiare qualcosa, sennò tra quattro anni siamo ancora qua».
Le sue parole arrivano a suggello di quelle del suo senatore, Claudio Borghi, che in giornata aveva reso esplicita la posizione della Lega sul decreto, ribadendo che «abbiamo sempre appoggiato le decisioni del Governo senza rinunciare ad esprimere le nostre idee e, come detto già l'anno scorso, la Lega non voterà una semplice ennesima riproposizione del vecchio decreto Armi». E ancora «ci attendiamo un cambiamento che ravvisi una discontinuità che tenga conto della situazione attuale e dei negoziati in corso».
Il senatore, tuttavia, si è premurato di dire che il governo non è in discussione: «Nessuna intenzione di mettere a rischio un governo che con la sua stabilità è l'unica salvezza per l'Italia in uno scenario mondiale pericolosissimo: si tratta di una semplice richiesta di buonsenso, peraltro diffusissima fra i cittadini, solida e ben motivata. La Lega, come tantissimi Italiani, vuole solo la pace e le idee belliciste della UE, prima dell'intervento di Trump, hanno fatto di tutto per allontanare la fine delle ostilità anziché avvicinarla».
La linea di via Bellerio, dunque, rimane quella di mettere in dubbio la necessità di un decreto che invece Fratelli d’Italia e Forza Italia sono assolutamente decisi ad approvare. L’interrogativo è che tipo di modifiche sia possibile apportare, per ottenere il sì della Lega. E soprattutto se Giorgia Meloni sarà disposta a scendere a compromessi.
La premier infatti in questi giorni di incontri ufficiali è ancora tutta proiettata sulla politica internazionale. Nell’incontro con Volodymyr Zelensky ha ribadito la vicinanza dell’Italia alla causa ucraina e ha fatto di tutto per non entrare in conflitto con i Volenterosi e con le posizioni europee, pur sempre prestando attenzione a non disallinearsi rispetto al Donald Trump.
La Lega, invece, si sta muovendo senza remore istituzionali, con un approccio che guarda in modo evidente a posizioni anti-europeista, sull’onda dell’attivismo autonomo degli Stati Uniti.
La linea di Meloni
La premier, in questo momento, si trova presa tra due fuochi: da una parte l’Ue che ha deciso di congelare a oltranza gli asset russi, dall’altra Donald Trump che è deciso a piegare Zelensky al suo piano di pace anche con cessione di territori come il Donbass.
Proprio gli asset russi sono il punto su cui le opposizioni stanno attaccando. Il deputato di Più Europa, Benedetto Della Vedova, ha sottolineato che «la richiesta dell’Italia in materia di asset russi - in compagnia di Belgio, Bulgaria e Malta - di mettere a verbale una serie di caveat solo per distinguersi perché nulla aggiungono, è grave e sbagliata; e di nuovo crea una frattura politica tra il nostro paese e gli altri principali partner».
Secondo le opposizioni, infatti, questa mossa di Meloni pesa doppiamente in un momento delicato di trattativa, perché mina la credibilità dell’Ue di parlare con una voce sola. «Meloni sta uscendo nel modo più sbagliato possibile dall'ambiguità che le abbiamo finora rimproverato, scegliendo di rassicurare Putin e Trump piuttosto che i nostri partner europei», è il ragionamento di Della Vedova.
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