«Banca centrale, Commissione e parlamento europei: è partito un attacco contro l’Italia». Con questa motivazione il segretario Matteo Salvini ha convocato per lunedì «una riunione urgente» della Lega per «reagire subito e difendere il lavoro e i risparmi degli italiani». Un duro comunicato sulla decisione della presidente della Bce Christine Lagarde di interrompere il Quantitative easing e di rialzare i tassi di interesse, con toni che da tempo non venivano usati dal leader della Lega. Salvini ha poi rincarato la dose, descrivendo un’Italia «sotto attacco di speculatori, burocrati e guerrafondai», agitando lo spettro della troika.

«Vogliono svendere l’Italia come hanno fatto con la Grecia: un attentato alla vita economica del nostro paese da parte di Bruxelles», ha detto Salvini. Vecchie armi del suo arsenale retorico nei confronti di Bruxelles che l’ex ministro dell’Interno aveva ultimamente abbandonato, sembrando più moderato, o quanto meno più cauto. Probabilmente per guadagnare consensi nel fronte europeista, ma il suo atteggiamento ondivago non lo ha ripagato.

L’attacco verso le istituzioni europee e la Bce è arrivato anche dalle altre componenti del centrodestra, con il coordinatore nazionale di Forza Italia Antonio Tajani che ha sottolineato come Lagarde avrebbe potuto aspettare qualche mese in più prima di adottare la misura annunciata. Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, invece è stata anche più dura, definendo «intempestiva e inopportuna» la decisione della Bce ed esortando il premier Mario Draghi a farsi sentire. Ma quello di Salvini sembra essere un segnale, la conferma di un cambio di atteggiamento.

Ritorno al passato

Già il 22 maggio scorso era arrivato un sussulto anti europeista, quando Salvini aveva invitato l’Ue a non entrare nel merito del dibattito italiano sulla delega fiscale e il disegno di legge sulla concorrenza, mentre sul catasto e sull’ipotesi di una tassa sulla prima casa raccomandata da Bruxelles aveva avvertito: «Si attacchino al tram».

Oggi, 11 giugno, Salvini ha voluto sottolineare il suo dissenso contro il voto europeo «demenziale» sullo stop ai veicoli a benzina e gasolio dal 2035.

Il moderatismo

Insomma, sono episodi che rompono quella che è stata di recente la sua posizione nei confronti dell’Europa. L’obiettivo dichiarato da Salvini sembrava dover essere quello di «cambiare le regole dell’Europa da dentro». Nel febbraio del 2020 il leghista sottolineava: «Non abbiamo la priorità di uscire da niente e da nessuno, non stiamo lavorando né per uscire dalla moneta unica, né dall’Unione europea».

Lo stesso concetto, poi, veniva ribadito un anno dopo, quando la Lega è entrata a far parte del governo di Mario Draghi, volto eccellente di quei vecchi “poteri forti” agitati da Salvini nel corso della sua carriera politica.

«Quello dell’euro non è un tema di attualità», spiegava. Nello stesso periodo il leader leghista, sul suo cavallo di battaglia – ovvero l’immigrazione – sosteneva di voler proporre «l’adozione della legislazione europea», sottolineando la necessità di «coinvolgere l’Europa in quello che non è un problema solo italiano».

Infine nelle prime settimane del 2022 il leader leghista lodava Bruxelles per la decisione di inserire gas e nucleare nella tassonomia europea. Toni e atteggiamenti molto più cauti rispetto agli anni precedenti.

Le urne si avvicinano

Adesso, però, sembra essere tornato d’attualità attaccare Bruxelles, anche perché alle elezioni manca meno di un anno. La campagna elettorale della Lega – e di Salvini soprattutto – è già cominciata. Il 34 per cento raggiunto alle europee del 2019 è solo un lontano ricordo, ma potrebbe esserlo anche il 17 delle scorse politiche.

Il partito vorrebbe almeno mantenere il primato all’interno del centrodestra, che stando agli ultimi sondaggi è in mano a Fratelli d’Italia, premiata dalla scelta di rimanere fuori dalla maggioranza.

La Lega sta perdendo terreno, come in parte anche il Movimento 5 stelle, anche perché la sua base elettorale anti europeista sta guardando altrove. Italexit, il movimento fondato da Gianluigi Paragone, che già dal nome richiama all’uscita dell’Italia dall’Ue, è in crescita in quasi tutti i sondaggi. Alcuni rilevamenti danno il partito a più del quattro per cento, ma l’ambizione dell’ex grillino è quella di uscire dalle urne del 2023 con addirittura il doppio dei voti. 

L’ala moderata e governativa della Lega, guidata dal ministro Giancarlo Giorgetti e dai governatori del nord, sembra non bastare. Di sicuro non piace ai più oltranzisti e radicali anti europeisti. Quelli a cui proverà di nuovo a rivolgersi Salvini da qui in avanti, anche per legittimare il suo ruolo di guida politica che negli ultimi mesi è oggetto di malumori e dubbi, complici alcuni scivoloni, come l’appoggio passato a Putin, gli incontri con l’ambasciatore russo in piena guerra e la sua visita abortita a Mosca. Salvini vuole correre ai ripari, consapevole che sul voto del 2023 si gioca la sua leadership.

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