La guerra ibrida di Putin è arrivata fino a Roma. La nota riservata prodotta dai servizi segreti americani sulle ingerenze russe nella politica mondiale ha tra i suoi protagonisti Yevgeny Prigozhin, l’oligarca soprannominato lo “chef di Putin” perché si occupava dei servizi di catering del Cremlino, ma più noto per essere l’uomo ritenuto dal governo americano tra i maggiori finanziatori dell’Internet Research Agency, un gruppo con sede a San Pietroburgo che avrebbe utilizzato falsi post sui social e pubblicità per influenzare la corsa alla Casa Bianca del 2016.

Secondo il documento redatto dall’intelligence, Mosca ha speso centinaia di milioni di dollari per la sua campagna segreta per indebolire i sistemi democratici e promuovere le forze politiche ritenute allineate con gli interessi del Cremlino. Gli Stati Uniti non hanno ancora fornito maggiori dettagli, ma quel che è certo è che Prigozhin ritenuto a capo di un esercito di troll sui social in passato ha lambito anche l’Italia.

Lo chef di Putin

Yevgeny Prigozhin e Vladimir Putin (AP Photo/Misha Japaridze, Pool, File)

L’oligarca è tra le principali figure individuate dal report pubblicato nell’agosto 2020 dall’Alliance for Securing Democracy, il think tank americano che ha nel consiglio consultivo ex vertici dell’intelligence statunitense: Da Rick Ledgett, già vicedirettore della National Security Agency, a Michael Morell, ex direttore ad interim della Cia tra il 2011 e il 2013. Il documento si intitola “Covert Foreign Money”. Nelle sue pagine ha tutti i punti emersi in questi giorni della nota statunitense e cita numerosi casi di ingerenze russe già noti al grande pubblico: da Marine Le Pen al caso Metropol della Lega con protagonista Gianluca Savoini, fino al caso del parlamentare tedesco.

Oltre alla «“finanza maligna”», si legge, definita come «il finanziamento di partiti politici stranieri, candidati, campagne elettorali, élite ben collegate o gruppi politicamente influenti», nel report anche le azioni sul fronte social e culturale.

I troll

Le catene su Internet sono strutture spesso difficili da vedere a occhio nudo, e non è chiaro stabilire che fine farà un contenuto. Il sito FiveThirtyEight nel 2018 ha pubblicato i tweet e i nomi di profili sospettati dal procuratore Rober Mueller che indagava sul “Russiagate" di appartenere a operatori russi. All’epoca scoppiò un piccolo caso mediatico. Oggi gli account risultano sospesi, ma ne erano stati individuati nove attivi in Italia per migliaia di tweet. Aveva fatto discutere soprattutto “@lorenafava1” per i suoi post a favore di Putin.

Ma i contatti tra gli account spesso sono sovranazionali così come i tentativi di approccio con i sovranisti dei troll. Sia “@BrianWarning” che “@edwardbroberts” ad esempio, due account collocati negli Stati Uniti, hanno menzionato profili italiani per parlare di Brexit. Nello specifico nel 2016 hanno provato a mettersi in contatto con “soqquadroM” – un account anonimo che ha come follower il politico leghista Claudio Borghi, Cultura e Identità, e lo psicologo NoVax Alessandro Meluzzi - e Gianluigi Paragone, leader di di Italexit. Entrambi sono stati interpellati con la stessa domanda: «Che farà GB (la Gran Bretagna, ndr) con referendum entro 2017 secondo te?».

L’intersezione

Nel report del 2020 si legge che la Russia dà il meglio di sé quando si intersecano «finanza maligna» e manipolazione delle informazioni, compreso il finanziamento segreto dei media online. E in questo caso salta all’occhio la Svezia, paese che ha visto proprio ieri l’exploit dell’estrema destra alle elezioni. I servizi di intelligence citati nel report hanno individuato che quattro anno fa la mano del Cremlino ha elargito fondi a supporto dei contenuti di almeno sei siti web di notizie di estrema destra.

Secondo gli ufficiali svedesi, in questo modo la Russia aveva interferito nelle elezioni del settembre 2018 alimentando l’ “ecosistema digitale” anti immigrati. Le notizie circolavano tra i contenuti di una rete di pagine Facebook costruita dai Democratici svedesi, un partito politico con radici neonaziste.

Pur avendo raggiunto in precedenza il 5,7 per cento dei voti, per le elezioni del 2018 il partito ha avuto più presenza online di qualsiasi altro e ha registrato infine il miglior risultato di sempre: il 18 percento dei voti. Il record è stato superato lunedì: il partito è stato il secondo più votato con il 20 per cento dei voti.

L’Africa

Un altro laboratorio è quello dell’Africa, continente menzionato anche nella recente nota degli 007. Nel documento del think tank si legge che i paesi africani sono un ambiente ideale per interferire nelle istituzioni democratiche, che di fatto sono relativamente deboli, spesso senza una stampa realmente indipendente, e con regimi dalla corruzione radicata (in particolare nella gestione delle risorse naturali).

E qui il nome di Yevgeny Prigozhin torna due volte. Le attività della guerra ibrida in Africa infatti sarebbero portate avanti dai mercenari del Gruppo Wagner, il gruppo di sicurezza privato che Prigozhin è accusato di finanziare. Siti, radio, troll e intervento militare. Dal Madagascar alla Repubblica Centrafricana, dalla Libia al Mozambico, questi ultimi due paesi al centro degli interessi italiani per il petrolio e il gas.

In Libia è stato ricostruito che Prigozhin starebbe operando sia con il comandante della milizia Khalifa Haftar, sia con il suo avversario Saif Gheddafi (figlio del defunto dittatore). Entrambi pianificano di candidarsi alle prossime elezioni presidenziali. Per Gheddafi, Prigozhin avrebbe preparato una strategia, per Haftar invece si starebbe occupando di una tv.

L’intervento dell’oligarca russo in queste condizioni non è facilmente tracciabile. Il supporto dei media non è solo pagato e gestito da una potenza straniera, ma viene offerto anche come servizio. A quanto si legge nel rapporto, lo strumento è sottile, dato che fornisce un contributo che in altri casi sarebbe vietato da un sistema legale di finanziamento della campagna.

Savoini

Matteo Salvini e sullo sfondo Gianluca Savoini (LaPresse)

Per l’Italia ad esempio il report del think tank cita appunto il caso Metropol portato alla luce dall’Espresso. Nel 2018 Gianluca Savoini, ex portavoce di Matteo Salvini, ha negoziato un accordo con Mosca presso il famoso hotel della capitale russa per incanalare i profitti di una compravendita di gasolio a sostegno della Lega nella campagna elettorale europea del 2019.

L’accordo sembrerebbe essere stato scoperto prima, ma se fosse stato completato, probabilmente sarebbe stato illegale in quanto il finanziamento risultante dall’affare di circa 130 milioni di dollari avrebbe superato il tetto dei 100 mila euro annui consentiti per i contributi politici in Italia.

D’altro canto Savoini era il presidente dell’associazione culturale Lombardia-Russia, registrata nel febbraio 2014 nella stessa sede della Lega, e promotrice di una posizione filo-Cremlino e con legami con i gruppi di estrema destra in Russia e in Europa. Il suo presidente onorario era Alexey Komov, rappresentante russo del World Congress of Families e collegamento con l’oligarca ultranazionalista, monarchico e ortodosso Konstantin Malofeev. Adesso restano i timori su quanto stia accadendo dietro le quinte in vista delle elezioni del 25 settembre. Il sottosegretario Franco Gabrielli, responsabile dei servizi segreti, oggi riferirà sugli allarmi degli Stati Uniti al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica.

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