La notizia della desecretazione, decisa dagli Stati Uniti, di informazioni d’intelligence su finanziamenti segreti della Russia a partiti politici e candidati di paesi stranieri ha terremotato le cancellerie di mezza Europa. Il dipartimento di stato guidato da Joe Blinken ha parlato di 300 milioni di dollari inviati dagli uomini di Vladimir Putin a politici di oltre 24 paesi nel tentativo di influenzare la politica interna ed estera a vantaggio di Mosca.

Decifrare cosa c’è dietro la mossa diplomatica degli americani non è facile. Anche perché, ad ora, nessun dettaglio fattuale è stato dato in merito a chi, dove e quando avrebbe incassato di nascosto i rubli.

Le accuse “monche” di Blinken hanno così avuto come primo effetto quello di ingenerare ovunque sospetti e veleni incrociati sui media e sulla scena politica occidentale. Tossine ingigantite dall’attuale guerra in corso tra Russia e Ucraina e dalla connessa crisi energetica.

Scombussolamento massimo si è registrato, ovviamente, in Italia. Sia perché è l’unico dei grandi paesi europei e della Nato a essere a pochi giorni da elezioni politiche decisive (improbabile che gli americani non abbiano calcolato gli effetti dirompenti dell’annuncio a Roma). Sia perché da anni i giornali nazionali (dall’Espresso a Domani, da Repubblica alla Stampa) hanno già evidenziato gli stretti rapporti politici e finanziari tra Mosca e vertici della Lega di Matteo Salvini.

I sospetti

Il timing e le modalità anomale delle accuse Usa hanno lasciato perplessi sia i capi della nostra intelligence sia il governo Draghi, che nulla sapeva – dicono fonti autorevoli di palazzo Chigi a Domani – della decisione di Blinken di eliminare i vincoli di segretezza del lavoro delle loro agenzie d’intelligence.

A memoria, inoltre, nessuno ricorda precedenti simili: secondo l’Associated Press a rivelare per primo la notizia è stato infatti un alto funzionario americano (anonimo) durante una conference call. Mentre il dipartimento di stato rendeva noto che Blinken aveva mandato una nota non classificata a varie ambasciate americane sparse in mezzo mondo sulle supposte ingerenze russe.

Risulta a Domani che nessun altro paese europeo di rilievo (nemmeno Francia e Germania) abbia potuto finora leggere il rapporto completo. Dunque, per avere contezza della presenza o meno di partiti italiani nel fascicolo, l’altro sieri sera Franco Gabrielli e i vertici delle nostre agenzie di sicurezza hanno dovuto chiamare in fretta e furia il capocentro della Cia e l’ambasciata americana guidata dall’incaricato d’affari Shawn Crowley, domandando lumi sulla faccenda. Entrambi i canali, quello d’intelligence e quello diplomatico, hanno dato lo stesso esito informale: non ci sarebbe traccia di file sull’Italia nel rapporto del dipartimento di stato.

Qualcuno sostiene però che non è detto che gli americani di stanza a Roma conoscano bene i dettagli del rapporto (è possibile che abbia partecipato alla stesura infatti non solo la Cia, ma anche altre agenzie come Fbi, Nsa e Tesoro), ma sembra assai improbabile che i vertici diplomatici di Joe Biden nella Capitale abbiano dato informazioni a Gabrielli che potrebbero in futuro risultare false o parziali.

«È probabile che prima di rispondere a un governo alleato sia siano sentiti con Washington, in caso contrario sarebbero irresponsabili», spiega una fonte dell’intelligence. Colpita però di come in serata il presidente del Copasir Adolfo Urso abbia detto che «per ora l’Italia non c’è, ma le cose possono sempre cambiare», che il ministro degli Esteri Luigi Di Maio – non è chiaro su che basi – sia intervenuto ipotizzando l’esistenza di più rapporti.

Informazioni sensibili

Prese dunque per buone le informazioni arrivate da via Veneto, come decrittare il senso politico e strategico della notizia? Al netto del timing per noi cruciale, leggere lo spin americano dal buco dell’ombelico sarebbe errato, anche perché il report conterebbe informazioni sensibili su paesi europei, africani e asiatici in un momento chiave della guerra russo-ucraina. Mentre alle elezioni di mid-term mancano meno di due mesi.

Al netto della propaganda antirussa, infine, Blinken sembra lanciare due avvisi ai naviganti. Uno destinato ai russi, ai quali spiega che gli spotlight dell’intelligence Usa non li mollano mai.

Un altro – dicono i maligni che contestano la mancanza di trasparenza – destinato invece ai movimenti populisti e sovranisti filo Putin europei, che gli americani considerano un grande pericolo in vista dell’inverno che sta arrivando.

Il caro bollette è già arrivato, il razionamento di gas ed elettricità una possibilità più che reale, e non è detto che tutti in Europa siano disposti a rimanere compatti sul fronte delle sanzioni contro Mosca quando le cose si faranno davvero difficili. Ecco: se gli Usa hanno davvero informazioni sensibili per colpire i partiti vicino a Putin che rischiano di minare l’unità atlantica, in molti scommettono che non si faranno scrupoli a usare come munizioni le informazioni contenute in quel rapporto. Di cui sentiremo ancora parlare ancora nelle prossime settimane.

 

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