Alla Camera la maggioranza non presenta nessun testo sull’aumento del 5 per cento alla spesa militare: Meloni si è già impegnata, ma la Lega è contraria. Minoranze in ordine sparso, cinque mozioni diverse e qualche voto incrociato. Ma alla fine nessuna viene approvata
Quella della destra, nel pomeriggio alla Camera, è una «scena muta». Così la definiscono Benedetto Della Vedova (Più Europa) e poi Mauro Del Barba (Iv). In realtà è lungo e articolato l’intervento di Matteo Perego di Cremnago, il forzista sottosegretario alla Difesa che il governo ha mandato in aula a mettere la faccia e il suo eloquio pacato sul mutismo obbligato della destra. Parla della «necessità di incrementare gli investimenti» in un comparto che è «uno dei pilastri della tenuta democratica e dello sviluppo economico e sociale del paese». Ma le chiacchiere classicamente stanno a zero: perché alla discussione delle mozioni sull’aumento delle spese Nato, la maggioranza non presenta nessuna mozione.
Non può: sul tema non hanno uno straccio di posizione comune. Per Fratelli d’Italia e Forza Italia è impossibile chiedere alla Lega un sì al 5 per cento sul Pil delle spese militari promesso dalla premier Giorgia Meloni al vertice dell’Alleanza Atlantica all’Aja, il 24 e 25 giugno. Quindi non c’è altra soluzione: per la destra meglio nessuna mozione che la certificazione del fatto che su questo delicato dossier una maggioranza di governo non c’è.
Opposizione divisa
Dall’altra parte, all’opposizione, le cose non vanno meglio. E tutto il racconto dell’alleanza ormai avviata, grazie alle coalizioni strette in tutte le regioni che vanno al voto, si incaglia in un punto che è e resta dolentissimo: la politica estera, il modello di difesa, le spese militari. Le mozioni presentate sono cinque: quella di Avs, che ha chiesto la discussione dell’aula su questo tema; quella dei Cinque Stelle, di Italia viva, di Azione; e infine quella del Pd. Quest’ultima viene limata in un’assemblea del gruppo all’ora di pranzo dove tornano le divisioni di sempre: alla fine il testo concordato va bene a tutti. Ma le differenze interne arrivano sull’atteggiamento da tenere sulle mozioni degli altri.
Ciascuna forza politica si vota la sua mozione. Ma nel gioco dei voti incrociati, il Pd decide di astenersi su testi di Avs e M5s e votare contro la mozione di Azione, esplicitamente favorevole al piano di riarmo e all’aumento della spesa militare. Alcuni riformisti dem non si astengono sulle mozioni dei due alleati di sinistra: Lorenzo Guerini, Lia Quartapelle, Marianna Madia e Piero Fassino. Madia vota a favore della mozione di Iv. I Cinque stelle votano a favore della propria mozione e si astengono sulla mozione dem. Avs e M5s si votano reciprocamente i testi, e votano contro quelli di Iv e Azione.
Un puzzle di posizioni indistricabile. Del resto corrisponde, a grandi linee, alle posizioni delle forze politiche nel contemporaneo dibattito a Strasburgo sul discorso sullo stato dell’Unione di Ursula von der Leyen. Anche se, va detto, tutte le forze del futuro centrosinistra evitano di battibeccare fra loro, e concentrano gli attacchi contro la destra: ci sono le regionali da (provare a) vincere. Comunque alla fine alla Camera non passa nessuna mozione.
La Lega attacca D’Alema il “cinese”
In mattinata Avs ha sfidato la Lega a votare per la propria mozione, visto che come i rossoverdi anche i leghisti sono contrari all’aumento delle spese militari e al piano europeo del riarmo. Parla Simone Billi: il 5 per cento in più «deve essere un investimento strategico con una parte delle risorse riservate alle infrastrutture civili e alle tecnologie avanzate, non solo per la difesa, ma per sostenere il lavoro e la crescita. Come accadde con l'autostrada del Sole, che ha unito i territori, che è stato un ponte tra territori».
Ma gli Usa hanno detto no all’idea di inserire le faraoniche spese per il Ponte sullo stretto nella voce delle spese militari e strategiche, brillante idea di Matteo Salvini. Poi Billi fa ironia sulla presenza di Massimo D’Alema alla parata militare di Pechino, una presenza «contro la Nato». Per il Pd replica Stefano Graziano, capogruppo in commissione Difesa: per il Pd la spesa al 5 per cento è «insostenibile» e «la maggioranza non ha presentato una sua mozione a causa delle evidenti difficoltà che hanno a mettersi d'accordo», «la verità è che il vertice Nato del 24 e 25 giugno è stato una farsa, Meloni ha firmato un assegno tutto caricato sulle future generazioni e non avete nemmeno il coraggio di fare una vostra mozione e dire davanti agli italiani che volete portare le spese militari al 5 per cento. Il governo è allo sbando, perché c’è una differenza profonda tra quanto dice la Lega e quello che pensano FdI e Fi».
Schlein e Conte nelle Marche, non insieme
La segretaria del Pd non è in aula, come anche il presidente Cinque stelle. Sono entrambi nelle Marche per la campagna elettorale della prima regione che va al voto, la prima sfida fra destra e centrosinistra. Elly Schlein fa tre tappe: San Benedetto del Tronto, Camerino e Fermo. Giuseppe Conte due: Macerata e Civitanova Marche.
La segretaria Pd, in diretta su La7, cerca di attenuare la lettura di un’opposizione divisa: «Siamo tutti d’accordo che l’obiettivo dell’aumento della spesa militare al 5 per cento è sbagliato e irrealistico», «siamo tutti d’accordo che vada costruita una difesa comune europea che non è il riarmo di 27 eserciti scoordinati tra di loro», «noi continuiamo a pensare che il ricatto di Trump per l’aumento della spesa militare al 5 per cento andasse respinto come ha fatto Pedro Sanchez, che ha confermato l’adesione alla Nato», quella spesa «vorrebbe dire spendere 445 miliardi in più di spesa militare di sicurezza e difesa nei prossimi dieci anni», dobbiamo «spendere meglio insieme».
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