La nuova circolare che vieta i cellulari anche alle superiori accende il dibattito: i lettori si dividono tra favorevoli, contrari e chi invoca soluzioni concrete per educare all’uso
Con una circolare diffusa il 16 giugno, il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha esteso anche alle scuole superiori il divieto di utilizzare lo smartphone durante l’orario scolastico. La misura, già in vigore per infanzia, elementari e medie, si applicherà ora a tutti gli studenti, anche durante le attività didattiche, con eccezioni previste solo per gli indirizzi tecnici di informatica e telecomunicazioni o per studenti con bisogni educativi speciali.
Le scuole dovranno adeguare regolamenti e patti di corresponsabilità educativa, introducendo sanzioni in caso di violazione.
Alla base della scelta ci sarebbero dati raccolti da Ocse, Oms e Iss sull’impatto negativo di un uso eccessivo dello smartphone: calo del rendimento, difficoltà cognitive, disturbi del sonno e dipendenza.
Eppure, proprio la circolare invita anche a «educare all’uso consapevole» degli strumenti digitali. Un paradosso evidente, che ha fatto discutere: come si può educare a usare un oggetto che si vieta del tutto?
Sullo sfondo, resta la questione più ampia: lo smartphone è parte integrante dell’ambiente cognitivo e relazionale dei ragazzi. La scuola deve ignorarlo o provare a integrarlo? Deve proteggere dal mondo o aiutare a navigarlo con consapevolezza?
Lo abbiamo chiesto ai lettori attraverso le nostre newsletter Tempo Pieno e Oggi è Domani.
Un sì quasi unanime, ma con molti “se”
Il sondaggio mostra un ampio consenso sulla scelta ministeriale: l’85 per cento si è detto favorevole al divieto.
Di questi, il 58 per cento considera la misura necessaria per tutelare il benessere psicologico degli studenti, mentre un altro 27 per cento la vede come un mezzo per migliorare attenzione e rendimento. Il restante 15 per cento si oppone, ma anche tra i favorevoli non mancano dubbi e richieste di maggiore equilibrio.
Nelle risposte aperte emerge infatti una pluralità di sfumature. Molti lettori approvano il principio del divieto ma ne criticano l’applicazione uniforme: «Finalmente si torna a parlare di concentrazione», scrive una lettrice, «ma sarebbe più sensato vietare solo i social, non lo smartphone in sé». Un altro aggiunge: «Ha senso limitare l’uso, ma servirebbe anche educare: non basta vietare, bisogna insegnare».
Alcuni temono che la circolare sia una scorciatoia regressiva che deresponsabilizza la scuola: «È una misura di facciata, si affronta il sintomo ma non la causa».
C’è chi sottolinea l’incoerenza delle eccezioni («Se è tossico per tutti, perché è permesso ai più fragili?»), chi teme un’applicazione ipocrita («Alle 10 sono tutti in bagno col telefono») e chi propone soluzioni alternative, come l’uso regolato degli strumenti in alcune ore o progetti didattici sul digitale consapevole.
Tra i commenti, numerosi sono quelli di insegnanti: alcuni plaudono all’indicazione ministeriale, altri raccontano esperienze virtuose con lo smartphone in classe, altri ancora chiedono strumenti concreti per far rispettare la norma.
In sintesi, pur prevalendo il consenso, il provvedimento di Valditara divide: molti ne condividono lo spirito, ma non il metodo. E il rischio, segnalano diversi lettori, è che si finisca per scaricare sul cellulare problemi ben più profondi della scuola italiana.
I SONDAGGI PRECEDENTI
Nei nostri ultimi sondaggi abbiamo chiesto ai nostri lettori e lettrici di confrontarsi su temi diversi ma centrali per il dibattito pubblico.
Ad esempio, ci siamo occupati della decisione del governo di inserire, all’interno del nuovo decreto Sicurezza, il divieto alla vendita e produzione della cannabis light. A riguardo, i lettori si sono schierati contro questa stretta, chiedendo un confronto più serio sulla legalizzazione.
Ci siamo poi interrogati sul decreto per il terzo mandato dei sindaci. La maggioranza si è detta contraria a modifiche delle regole elettorali all’ultimo momento, rivendicando il valore della trasparenza e della coerenza democratica.
Infine, ci siamo occupati del voto in condotta e sull’opportunità di farlo pesare nell’esame di Stato, dando vita a un confronto acceso: c’è chi lo considera uno strumento educativo utile e chi teme che possa trasformarsi in una misura punitiva, poco adatta a comprendere i contesti e le fragilità.
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