L’eco della morte assistita delle gemelle Kessler in Germania ha riacceso nel nostro paese un confronto rimasto sotterraneo: tra sentenze in attesa, leggi regionali impugnate e una proposta nazionale bloccata in Senato, il paese resta senza una normativa chiara sul suicidio assistito
La scelta delle gemelle Ellen e Alice Kessler di ricorrere al suicidio assistito, legale in Germania a certe condizioni, apre uno spiraglio di dibattito su un tema che da tempo la politica italiana cerca di affrontare. In Italia l’idea di una legge chiara sul fine vita è per qualcuno una matassa da districare, per qualcun altro da buttare.
Il caso di DJ Fabo e dell’impegno di Marco Cappato ha portato nel 2019 alla sentenza numero 242 della Corte Costituzionale, che per la prima volta ha regolato l’accesso al suicidio assistito. La Corte ha stabilito che una persona malata poteva procedere se è capace di autodeterminarsi, affetta da patologia irreversibile fonte di sofferenze intollerabili e dipendente da trattamenti di sostegno vitale. Tuttavia, la sentenza lasciava aperto il compito del legislatore, indicando la necessità di una legge chiara e completa.
Da allora, il parlamento italiano ha proceduto a rilento. Una proposta di legge sul fine vita è stata approvata dalla Camera nel 2021, per poi arenarsi al Senato. Nel frattempo, le Regioni hanno cercato di muoversi autonomamente: la Toscana si è dotata di una legge regionale per regolare il suicidio assistito, seguita a ruota dalla Sardegna. Il governo Meloni, tuttavia, l’ha impugnata, sostenendo che la materia non rientra nelle competenze regionali.
Il conflitto
Il governo attende questo mese che sia la Corte Costituzionale decidere chi abbia ragione: se darà ragione allo stato, la legge regionale decadrebbe; se darà ragione alla Toscana, potrebbe aprire un precedente seguito da altre regioni, ma la normativa nazionale rimane indispensabile per evitare un mosaico frammentato di regole locali.
La proposta di legge attualmente ferma al Senato, dove nell’ultima seduta delle commissioni Giustizia e Sanità, i primi di ottobre, si è proceduto esclusivamente all’illustrazione degli emendamenti dei relatori (Pierantonio Zanettin di Forza Italia e Ignazio Zullo, Fratelli d’Italia). Una proposta scritta dalla destra e contestata dalle opposizioni, giudicata insufficiente anche da pazienti malati.
Laura Santi, giornalista umbra malata di sclerosi multipla, che ha ottenuto il permesso al suicidio assistito, aveva criticato nel suo video-testamento la legge per l’esclusione del Servizio sanitario nazionale e per i criteri più restrittivi rispetto alla sentenza della Corte. Alcuni punti, come il comitato etico nazionale di nomina governativa, sono stati modificati, ma le critiche restano: il testo rischia di limitare diritti già riconosciuti dalla giurisprudenza.
Il ruolo del Ssn
Un appello, quello di Santi, inascoltato. Attraversando le commissioni parlamentari quello che si respira è il clima di un muro contro muro con le opposizioni. L'opposizione chiede un coinvolgimento maggiore del servizio sanitario. Le forze di maggioranza rispondono che il sistema sanitario «non può erogare la morte». «C'è chi alza la bandierina del Servizio sanitario nazionale, che è una bandierina pretestuosa, perché non tiene conto che questi soggetti sono già in carico e restano in carico al Servizio sanitario nazionale per ogni evenienza, tranne l'erogazione del farmaco del fine vita, che il Ssn non può fare perché contravviene alla legge istitutiva, al giuramento di Ippocrate, alla più banale logica che un medico cura per la vita», ha dichiarato Zanettin.
A dettare le condizioni sarebbe Alfredo Mantovano, sottosegretario alla presidenza con delega ai Servizi segreti, una lunga storia personale in buoni rapporti con il Vaticano e i gruppi Pro-Vita. «Una persona con cui lavoro da tanti anni, grande giurista, grande cattolico», per raccontarlo con le parole usate dalla premier Giorgia Meloni di fronte al Papa, nella sua prima udienza privata.
Procedere in autonomia
Così tra la presenza avvolgente di uno scontro politico e la sconfortante assenza di una legge, gli italiani procedono da sé. Regioni e singoli cittadini. Fino ad oggi, solo sedici persone in Italia hanno ricevuto il via libera per il suicidio assistito: dodici lo hanno realizzato, due hanno rinunciato e due sono ancora in attesa.
Nel frattempo, negli ultimi dodici mesi, sono arrivate oltre 16mila richieste di informazioni sul fine vita tramite il Numero Bianco e l’Associazione Luca Coscioni, una media di 44 al giorno, in aumento del 14 per cento rispetto all’anno precedente. Ogni volta che la politica si è fermata, sono state le storie di disobbedienza dei singoli a riaprire la strada.
Noto il caso di Eluana Englaro, coinvolta in un incidente che la lasciò in stato vegetativo permanente, divise l’opinione pubblica e la politica già negli anni Novanta. Solo dopo 17 anni di battaglie legali e 15 sentenze, il padre Beppino ottenne il diritto di staccare il supporto vitale, e la vicenda portò, nel 2017, all’approvazione delle Disposizioni Anticipate di Trattamento (Dat).
Pochi anni prima, la battaglia di Piergiorgio Welby aveva acceso il dibattito contro l’accanimento terapeutico, segnando un precedente culturale e giuridico importante. Anche oggi ci sono, a osservare il dibattito politico, persone come Ada, 44 anni, campana, affetta da sclerosi laterale amiotrofica, e Libera, 54 anni, toscana, completamente paralizzata a causa di una sclerosi multipla progressiva, che vorrebbero accedere alla stessa possibilità, ma nonostante l’ok delle rispettive Asl sono ancora in attesa.
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