Sembrava un perfetto allineamento degli astri quello prima della conferenza stampa di fine – o anche di inizio – anno di Giorgia Meloni, riprogrammata il 4 gennaio. Passati i problemi di salute, messi alle spalle gli affanni della manovra, la presidente del Consiglio era pronta a rispondere alle preventivabili domande sul caso-Verdini, che tirano in ballo il leader leghista, l’alleato-avversario Matteo Salvini. Problemi di altri, insomma. Buoni per portare a casa qualche voto in più. Tra qualche mese ci sono pur sempre le Europee.

E invece è esploso il caso della pistola, a Rosazza, portata dal deputato di Fratelli d’Italia, Emanuele Pozzolo, ora indagato per lesioni colpose, accensioni ed esplosioni pericolose aggravate ed omessa custodia di armi, dopo il ferimento di un uomo nella notte di Capodanno. Si tratta comunque di un atto dovuto della procura di Biella che ha aperto un’inchiesta: il diretto interessato ha ribadito di non aver esploso il colpo. Il fatto si estende, seppur fortuitamente, al sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro. L’uomo dei pasticci di Fratelli d'Italia. Con il caso-Cospito si è infilato da solo in una brutta situazione, a San Silvestro è riuscito a trovarsi al posto sbagliato al momento sbagliato. Suo malgrado. E così la tentazione di cavalcare i guai altrui, seppur con toni felpati, è stata stoppata da Meloni: bisogna affrontare prima di tutto gli scivoloni. Di una classe dirigente che manifesta la «totale inadeguatezza di questa classe dirigente», per usare le parole di Raffaella Paita, capogruppo di Italia viva al Senato.

La pistola fumante

Il “pistolagate” di Rosazza è una brutta storia. Gestita anche peggio dal punto di vista della comunicazione. Prima il giallo su chi ha sparato e poi il caos sul presunto rifiuto da parte di Pozzolo della perquisizione, facendo appello all’immunità parlamentare. La procura ha poi confermato che il test è stato effettuato subito dopo i fatti, allontanando i dubbi addensati in giornata. Al netto della cronaca caotica delle ultime ore, c’è una questione politica e di immagine di non secondario conto. La premier deve pensare a come uscire da questo imbuto in cui è finita a causa dei “suoi”. Un peccato. Perché c’era in primo piano l’inchiesta sugli appalti Anas, una questione di relativo impatto per Palazzo Chigi. Riguarda Salvini, sia nella veste di ministro delle Infrastrutture che di compagno di Francesca Verdini, non coinvolta nell’inchiesta ma pur sempre sorella di Tommaso Verdini, finito ai domiciliari, e figlia di Denis.
La presidente del Consiglio avrebbe potuto parlare della vicenda senza temere conseguenze. Fratelli d’Italia ha fatto il suo, diffondendo la nota a difesa di Salvini. Almeno in attesa di approfondimenti. Ora quella presa formale di posizione, al fianco del segretario leghista, è diventata un’ancora di salvezza a cui aggrapparsi dopo i fatti del Capodanno di Rosazza. Per un caso-Verdini che si abbatte sulla Lega, ecco il “pistolagate” che investe in pieno Fratelli d’Italia. La linea dettata dal partito è quella della minimizzazione, di non dare un senso politico alla vicenda dell’arma portata, la notte di San Silvestro, da Pozzolo. Derubricare a fatto di cronaca e sopire la polemica, dunque.

Pace forzata

Il risultato è che, volente o nolente, Meloni deve evitare lo scontro frontale, siglare una pace, o quantomeno una tregua, nonostante contenda a Salvini lo stesso elettorato. Percentuali ghiotte in vista di giugno, mese del voto. Le disgrazie altrui non possono essere sfruttate per accrescere il consenso. E lo stesso vale per la Lega di Salvini. Le indagini sulla famiglia Verdini cancellano la possibilità di punzecchiare Fdi sulla situazione dalla ministra del Turismo, Daniela Santanchè, o sul processo Delmastro per le rivelazioni fatte al deputato e amico di partito Giovanni Donzelli sul caso-Cospito. E tantomeno, visto il momento, danno spazio di azione sul pistolagate. Sono due debolezze parallele che uniscono i leader del centrodestra, si tengono per paura che l’altro possa affondare il colpo (politico) sui guai propri.

Resta che la premier non ha potuto quindi rilassarsi nemmeno a Capodanno. Ha pagato ancora una volta il conto alle intemperanze del suo gruppo dirigente, che dimostra quantomeno una certa superficialità nella gestione del potere. Il dilettantismo evidenziato dalle opposizioni. «Fdi come seleziona i suoi dirigenti?», chiede la senatrice del Pd, Anna Rossomando: «Anche nei film western le armi venivano lasciate fuori dai saloon». Ma c’è una valutazione di visione culturale e politica, che non può sfuggire al netto della follia di Capodanno. «Nella vicenda del deputato Pozzolo e in quel nel tragicomico e fantozziano capodanno con Delmastro, c'è tutta la responsabilità politica di Fratelli d'Italia che rincorre l'incubo di un Paese a mano armata di giustizieri fai da te», ha sottolineato il segretario e deputato di +Europa, Riccardo Magi. Del resto una certa passione per le armi, in Fdi come nella Lega, non è un mistero.

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