Sono in molti tra gli ucraini e i loro più convinti alleati a criticare la Nato per l’apparente lentezza nell’invio di aiuti militari. Perché, si chiedono, ci sono voluti mesi per decidere di inviare prima le armi pesanti e poi i carri armati? Perché c’è ancora così tanta esitazione sull’invio di missili a lunga gittata e di jet da combattimento? Il presidente Volodymyr Zelensky ha manifestato queste preoccupazioni quando pochi giorni fa, ospite all’Aspen forum, ha dichiarato che se le consegne di nuove armi fossero arrivate prima, i russi non avrebbero avuto tempo di fortificare le loro linea e la controffensiva avrebbe avuto molto più successo.

A dettare i tempi delle consegne di armi ci sono numerose considerazioni. Alcune non proprio nobili, come il costo delle armi invidiate o la resistenza dei militari a svuotare i loro magazzini. Altre invece appaiono più giustificate, come il timore di alimentare un’escalation del conflitto.

Lungi dall’aver terminato le sue opzioni, il Cremlino ha ancora numerose opzioni per espandere le dimensioni del conflitto e la sua brutalità, senza per questo il bisogno di ricorrere ad armi nucleari che tutti considerano una soluzione se non del tutto impossibile, del certo molto improbabile. 

Nessuna opzione di escalation è a costo zero per il presidente russo e anche per questo fino ad ora ha esitato a farvi ricorso. Ma gli strateghi Nato sembrano avere presente che un Putin disperato ha ancora diverse opzioni a sua disposizione e, per questo, hanno cercato fino ad ora di mantenere gestibile il ciclo dell’escalation.

Diplomazia

Anche se da oltre un anno, Kiev e Mosca hanno smesso ufficialmente di trattare su un possibile cessate il fuoco, i due paesi sono ancora impegnati in dialoghi a livello più basso o semi ufficiale. Sono discussioni su questioni circoscritte e limitate, che però non di meno portano spesso a risultati positivi per gli ucraini e che costituiscono l’embrione di dialogo e di costruzione di fiducia reciproca necessari ad arrivare un giorno a una soluzione negoziata del conflitto.

Tramite la Croce rossa, ad esempio, le parti trattano il rimpatrio in Ucraina dei 16mila minori trasportati in Russia contro il volere dei genitori, uno sforzo che ha già portato il ricongiungimento di centinaia di famiglie. Con l’intermediazione di Turchia e Ungheria, sono stati scambiati migliaia di prigionieri di guerra.

Questi abbozzi di dialogo potrebbero essere le prime vittime in caso di nuova escalation di Mosca, come è già avvenuto con l’accordo sull’esportazione di grano, fondamentale tanto per l’economia ucraina quanto per l’approvvigionamento alimentare di numerosi paesi in via di sviluppo.

Economia

Nonostante le sanzioni che hanno colpito la Russia siano senza precedenti nell’epoca moderna, l’Unione europea continua a importare gas e petrolio dalla Russia e l’Ucraina continua a incassare diritti di passaggio per i combustibili che attraversano i gasdotti sul suo territorio, fondi preziosi ora che l’economia del paese in pezzi a causa dell’invasione.

Non solo: una parte significativa del carburante utilizzato dall’esercito ucraino e di quello distribuito alla sua economia civile è petrolio russo che attraversa l’Ucraina, viene raffinato in paesi come Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, e torna nel paese sottoforma di benzina o gasolio.

La maggior parte dei contratti tra compagnie energetiche russe e ucraine scadranno alla fine del 2024. Interromperli prima di questa data potrebbe esporre le società russe al rischio di arbitrati internazionali e al sequestro delle loro proprietà all’estero, ma in caso di escalation (ad esempio se i paesi occidentali decidessero di procedere arbitrariamente al sequestro degli asset internazionali russi) il Cremlino potrebbe valutare che i danni inflitti all’Ucraina supererebbero quelli subiti dalla Russia.

Attacchi alle infrastrutture

Negli ultimi mesi la Russia ha colpito Kiev e le altre principali città ucraine con un vasto arsenale di missili e droni. Gli attacchi contro la capitale, in particolare, sono stati spesso intercettati dalle formidabili difese aeree ucraine e i danni sono stati tutto sommato contenuti. Ma come gli attacchi contro Odessa e gli altri porti del mar Nero hanno dimostrato, non tutte le città ucraine sono difese allo stesso modo. L’aviazione russa è ancora in grado di lanciare attacchi abbastanza massicci da causare seri danni alle infrastrutture ucraine.

Ogni missile o drone lanciato contro obiettivi civili è un missile in meno contro le forze armate ucraine, ma causa maggiori danni e sofferenze alla popolazione. E bersagli di questo tipo non mancano. Dalle dighe sul fiume Dnipro, come quelle di Kiev e Zaporzhizhia, che se distrutte causerebbero danni esponenzialmente maggiori di quella di Nova Kakhovka, alle stazioni ferroviarie e i ponti che consentono ancora agli ucraini di spostarsi con relativa facilità nel loro paese.

Guerra ibrida

A parte alcuni cyber attacchi, lanciati contro l’Ucraina e diversi paesi europei, il Cremlino fino ad oggi non ha lanciato significative operazioni di guerra ibrida, cioè attacchi non apertamente di natura militare. In parte perché le sue capacità sono probabilmente inferiore a quanto temuto prima dello scoppio della guerra. Ma è pericoloso escludere che non abbia altre opzioni. Gli esperti hanno avvisato ad esempio di possibili sabotaggi dei cavi sottomarini e di gasdotti. Il Cremlino potrebbe anche lanciare una campagna di attacchi terroristici e assassinii mirati all’interno dell’Ucraina, un timore espresso dagli Stati Uniti in risposta a simili operazioni compiute in Russia dagli ucraini.

Mobilitazione

Per il Cremlino, l’equivalente di un’opzione nucleare, prima di arrivare a schierare le vere armi atomiche, è la dichiarazione ufficiale di guerra all’Ucraina e la mobilitazione generale dell’economia e della popolazione. La Russia ha impegnato a fondo il suo esercito e ha saccheggiato i suoi magazzini di armi risalenti alla Guerra fredda, ma il suo sforzo bellico è ancora lontano dall’essere totale.

In Russia ci sono circa 150mila militari di leva che non sono mai stati impiegati nelle operazioni in Ucraina, in parte per questioni legali (non possono essere utilizzati fuori dalla Russia se non dopo la dichiarazione dello stato di guerra),  ma soprattutto per ragioni politiche. Le stesse che hanno spinto Putin a procedere con una mobilitazione graduale dei riservisti, invece che con una generale chiamata alle armi.

Anche l’economia russa non è stata ancora completamente messa al servizio dello sforzo bellico. La produzione di armi è aumentata e sofisticati meccanismi sono stati messi in piedi per ottenere quei componenti essenziali alla produzione bellica bloccati dalle sanzioni. Ma nel frattempo, la Russia produce ancora una larga quantità di beni di consumo e la vita, in particolare nelle grandi città, prosegue sostanzialmente come in tempo di pace.

Mettere l’intero paese sul piede di guerra porta con sé considerevoli rischi politici, ma in una situazione disperata, in cui il Cremlino dovesse ritenere che l’unica opzione per mantenere il potere è un’ulteriore escalation, questa mossa potrebbe non essere esclusa.

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