Come annunciato via Twitter, il ministro della Difesa polacco, Mariusz Blaszczak, ha inoltrato alla Germania la richiesta di autorizzazione per l’invio all’Ucraina dei carri armati Leopard 2, fabbricati dalla tedesca Rheinmetall, in possesso dell’esercito di Varsavia. Alla richiesta è stato affiancato un accorato invito all’emulazione, con il ministro che ha nuovamente chiesto alla Germania di «unirsi alla coalizione di paesi che sostengono l’Ucraina con i carri armati Leopard 2» legando l’invio dei mezzi al mantenimento della «sicurezza di tutta l’Europa».

L’autorizzazione sembra però una formalità. Berlino, che esaminerà la richiesta, si è già detta pronta a consentire il trasferimento da altri paesi, forse nel tentativo di prolungare i tempi della decisione riducendo la pressione dei “falchi” sulla Germania stessa. In Polonia, con una mossa probabilmente elettorale in vista delle elezioni del novembre 2023, il governo ha provato a derubricare l’autorizzazione tedesca, definendo il consenso di Berlino «secondario». 

Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, oggi fa un passo oltre e, dopo aver incontrato il ministro della Difesa Boris Pistorius, dice di essere fiducioso sulla rapidità della decisione tedesca. L’interlocutore è più cauto: «Non c’è ancora nessuna novità» sui Leopard, ma la decisione verrà presa «a breve». Premettendo che la Nato «non deve diventare parte del conflitto», il ministro tedesco apre all’inizio dell’addestramento degli ucraini da parte degli alleati disposti a consegnare i carri. 

Secondo quanto dichiarato da due funzionari statunitensi a Reuters, gli Stati uniti potrebbero presto comunciare la decisione di mandare i propri carri M1 Abrams al fronte, adempiendo così alla condizione posta dai tedeschi per l’invio dei Leopard 2. 

Indiscrezioni di Der Spiegel suggeriscono che la stessa Germania sia, dunque, pronta a sbloccare i propri Leopard 2, portando così nell’ordine del centinaio i mezzi corazzati che potrebbero presto arrivare in Ucraina. 

Le premesse

Recentemente il governo di Olaf Scholz ha subito pressioni dagli alleati atlantici e dall’Ucraina affinché sbloccasse la fornitura dei propri Leopard 2, al punto che i carri sono stati tra i temi centrali dell’ultimo incontro del gruppo di contatto di Ramstein. Tuttavia, la linea del cancelliere è stata estremamente cauta: sui social è stata addirittura coniata la parola “scholzing” per indicare l’azione di chi promette aiuti per poi temporeggiare. 

Eppure, l’Ucraina aspetta la decisione tedesca sull’ambito mezzo corazzato da ben prima delle recenti richieste avanzate dal presidente Volodymyr Zelensky. Infatti, già il 3 marzo 2022, solo sette giorni dopo l’invasione del paese, l’ambasciata ucraina di Berlino inviava una nota scritta al ministero degli Esteri tedesco in cui richiedeva «il più rapidamente possibile» una serie di sistemi d’arma ritenuti essenziali per l’iniziale resistenza delle truppe di Kiev. A pubblicarla l’attuale vice ministro degli Esteri ucraino, Andrij Melnyk. 

Tra le armi richieste, oltre a pezzi di artiglieria, missili antiaerei e, curiosamente, sottomarini, figurano i carri armati, gli stessi Leopard sui cui oggi si incentra il dibattito politico sugli aiuti militari. A seguito della richiesta, la Germania inviò immediatamente, seguendo gli altri alleati, missili terra-aria portatili (i cosiddetti Manpad) di fabbricazione sovietica, gli Strela, e americana, gli Stinger. 

Il silenzio

Nonostante l’invito alla rapidità, a circa 11 mesi dall’inizio della guerra, l’Ucraina non ha ancora ricevuto carri occidentali ma solo modelli di concezione sovietica come i T-72 già in dotazione agli eserciti ucraino e russo.

Al contrario, le armi anticarro, in particolare i Javelin americani, hanno costituito la spina dorsale della resistenza nelle prime fasi del conflitto. Sul campo di battaglia, i Javelin, missili a spalla precisi ed estremamente efficaci, hanno arrestato le colonne di carri russi diretti verso Kiev e altre città ucraine. I Javelin sono diventati l’icona del primo “no” ucraino all’avanzata dell’invasore, tanto da entrare nell’iconografia pop come i soggetti privilegiati di adesivi e gadget pro-Ucraina. 

Le immagini dei carri russi distrutti dai missili o impantanati hanno fatto pensare alla fine del carro armato come arma di punta degli eserciti convenzionali: troppo pesanti, troppo lenti, assetati di un carburante che la fallace logistica russa fatica a fornire. 

Il ritorno del carro armato

Eppure, con il mutato contesto bellico e con una guerra sempre più d’attrito tra i due eserciti europei, il carro armato è tornato di moda, rimodulando il dibattito politico occidentale sugli armamenti e ritornando nelle liste dei desideri di Zelensky e generali. 

Già ad aprile 2022 Zelensky aveva reiterato la richiesta di «armi pesanti» in un video diffuso su Twitter in cui, citando i massacri di Mariupol, Bucha, Kramatorsk, il presidente dice: «la Russia può essere fermata solo con la forza delle armi».

La Repubblica Ceca si fa trovare pronta, diventando così il primo stato della Nato a inviare carri sovietici T-72 a Kiev. Seguiranno a breve altri stati membri, su tutti gli Stati Uniti. 

Contestualmente, il ceo della Rheinmetall, Armin Papperger, assicura che l’azienda è pronta a produrre 50 Leopard 1, il modello precedente al più moderno 2, da inviare a Kiev nel breve periodo. Immediata la risposta negativa dell’ex ministro della Difesa Christine Lambrecht, recentemente dimessasi in seguito ai dubbi sollevati sulla compatibilità con il suo ruolo. 

A settembre, il leader della coalizione d’opposizione Cdu/Csu, Friedrich Merz, ha invitato i governi statunitense e tedesco a fornire i propri carri armati all’Ucraina, citando i mezzi “del momento”: gli M1 Abrams e, appunto, i Leopard 2.

In quello stesso periodo, l’European Council on Foreign Relations pubblicava un report intitolato «Leopard Plan» in cui si discuteva dell’opportunità politica e militare di inviare i moderni corazzati come aiuti militari. 

È, tuttavia, a dicembre che, alla luce degli sviluppi sempre più favorevoli all’esercito di Kiev, gli Stati uniti chiedono alla Germania di provvedere all’invio dei propri Leopard 2. Alla richiesta del consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, il consigliere diplomatico di Scholz Jens Plötner risponde invitando alla reciprocità: la Germania non sarà il primo paese Nato a fornire carri occidentali all’Ucraina. 

Da quel momento in poi, l’affare Leopard 2 è diventato la priorità delle diplomazie europee e nordamericane. A gennaio, Francia e Regno Unito hanno aperto all’invio dei rispettivi carri armati, i Leclerc e i Challenger 2. Rishi Sunak, primo ministro britannico, ha ripetuto più volte l’offerta, suggerendo di poter lasciar partire 14 Challenger nel giro di poco. 

Evidente lo scopo delle promesse francesi e britanniche: mettere pressione al Scholz affinché si senta obbligato a inviare i sospirati Leopard 2. Berlino risponde legando il proprio consenso all’invio degli M1 Abrams da parte degli Stati uniti. 

Il carro tedesco è, però, preferito alle alternative americane, inglesi e francesi per diversi motivi. Rispetto all’Ambrams, è meno complesso, più facile da mantenere e da riparare. Gode, inoltre, del vantaggio numerico sui concorrenti francesi e britannici in quanto è parte degli arsenali di ben 13 paesi Nato con chiari vantaggi in termini di mezzi e ricambi disponibili. Il Leopard 2 è, infine, universalmente considerato un mezzo dal grande potenziale bellico, grazie al grado di avanzamento delle tecnologie impiegate e al bilanciamento tra corazzatura, mobilità e armamenti. 

Un carro per il morale

Se a marzo 2022 la Germania ha potuto glissare sulla voce «carri armati», oggi il Leopard 2 è oggetto delle pressioni polacche (e non solo) e dello “scholzing” prolungato di Berlino. I tedeschi temono i costi dell’invio dei carri. Da un lato, quelli tecnici: quanto costerebbe e quanto richiederebbe ripristinare l’inventario dei corazzati del Bundeswehr? Dall’altro quelli politici: quali conseguenze per la Germania e quale impatto sulla possibilità di un’escalation del conflitto? 

I dubbi sorgono anche sull’effettivo utilizzo dei Leopard 2 sul campo di battaglia. Infatti, il rinvio alla primavera della controffensiva e le memorie dei relitti dei mezzi russi fanno dubitare dell’utilità delle decine di carri che i possessori europei invierebbero previo consenso tedesco. Zelensky risponde sulla tv tedesca Ard: «10, 20, 50 carri armati non risolvono il problema, ma motivano i nostri soldati a combattere per i propri valori, perché dimostrano che il mondo intero è con te». 

Il Leopard 2 diventa così soggetto attivo del dibattito politico: l’impatto tattico è secondario rispetto al significato simbolico che la cessione di questi mezzi avrebbe. In effetti, il carro, che abbia fatto il suo tempo o meno, rimane un segno indiscutibile di forza militare, specie se fiore all’occhiello della proverbialmente nota industria tecnologica tedesca. 

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