Quarantatré anni dopo la strage di Ustica, trentasette anni dopo che seppe la “verità” quando era seduto sulla poltrona di sottosegretario alla presidenza del Consiglio, quindici anni dopo che Francesco Cossiga rivelò la stessa “verità”, Giuliano Amato, oggi un privato cittadino di 85 anni ma in passato presidente del Consiglio, ministro del Tesoro, presidente della Corte costituzionale e molto altro ancora, decide di aprire l'album di un ricordo scottante e svela a Simonetta Fiori in un'intervista su Repubblica che il Dc-9 Itavia fu abbattuto da un missile francese.

È la tesi più accreditata da tempo, senza che ci sia ancora però un sigillo giudiziario per il quale sarebbe necessaria chiarezza su alcuni dettagli che la lontananza dai fatti ha sicuramente contribuito a offuscare. Bisogna partire da Francesco Cossiga, severo custode di molti dei segreti italiani prima di diventare loquace rivelatore di verità inconfessabili. Subito dopo l'assoluzione definitiva di due generali dell'aeronautica dall'accusa di alto tradimento per la vicenda di Ustica (e il particolare è significativo), nel febbraio del 2008, all'età di 80 anni e ormai fuori dalla politica, fu prodigo di interviste in cui accreditò le responsabilità di Parigi.

Disse che fu l'ammiraglio Fulvio Martini, direttore del Sismi, a confidarglielo, cosa che aveva fatto anche con Giuliano Amato. Aggiunse il particolare che il bersaglio del missile sganciato nel cielo del Tirreno era Gheddafi, ma il generale Giuseppe Santovito, capo del Sismi e predecessore di Martini travolto dallo scandalo P2 e poi scagionato dalle accuse, aveva avvertito il leader libico che sfuggì alla cattura. L'aereo civile fu un “danno collaterale”, si direbbe oggi, di un'operazione di guerra, si inabissò con il suo carico di 81 persone: tutti morti.

Perché ora?

C'è da chiedersi quindi perché Amato, all'epoca, non si accodò per rafforzare la clamorosa uscita di Cossiga e, anzi, tentò di depotenziarla sostenendo che l'ammiraglio Martini, almeno con lui, era propenso ad accreditare la pista di una bomba piazzata nella carlinga, come del resto tutto l'apparato militare italiano. Tanto più c'è da chiedersi perché proprio ora esca allo scoperto e chieda a Emmanuel Macron di scusarsi. Le ipotesi vanno dalla necessità intima di scaricarsi la coscienza, la sua uscita dai riflettori del potere che lo emenda dal vincolo del silenzio, infine il desiderio di mettere in difficoltà con gli alleati, non solo i francesi ma la Nato tutta, il primo governo di destra-destra.

Non fosse vera quest'ultima ipotesi, c'è stata comunque un'eterogenesi dei fini, almeno a giudicare dal guardingo comunicato con cui la premier è intervenuta. Se da un lato ha definito quelle di Amato «parole importanti che meritano attenzione», dall'altro gli chiede se «oltre alle deduzioni personali sia in possesso di elementi che permettano di tornare sulle conclusioni della magistratura e del Parlamento, e di metterli eventualmente a disposizione, perché il governo possa compiere tutti gli atti eventuali e conseguenti».

Una prudenza che si accompagna con la storica vicinanza della destra, ma non solo, all'apparato militare. Gli imbarazzi, all'interno della maggioranza, sono sottolineati anche dal finto disinteresse di Tajani, «sono solo parole di un privato cittadino», e dall'aggressività del solito Salvini: «Dichiarazioni di inaudita gravità». I francesi, dal canto loro, al silenzio dell'Eliseo hanno fatto seguire un laconico comunicato del Quai d'Orsay, il ministero degli Esteri: «Su questa tragedia la Francia ha fornito ogni elemento in suo possesso ogni volta che le è stato chiesto. Restiamo a disposizione per lavorare con l'Italia, se ce lo chiederà».

La vicenda di Ustica è costellata di omissioni, sparizione di tracciati radar, tentativi di depistaggio, morti sospette. All'inizio fu dato per certo il “cedimento strutturale” dell'aereo, un incidente insomma a causa della cattiva manutenzione, all'Itavia fu tolta la concessione, finì in amministrazione controllata. Il titolare Aldo Davanzali era già morto quando solo tre anni fa, fu riconosciuto alla compagnia da un tribunale un risarcimento di 330 milioni di euro.

In seguito l'attenzione si è concentrata sulla bomba a bordo o sul missile, con tanto di perizie che hanno sostenuto ipotesi opposte. La sentenza-ordinanza del giudice Rosario Priore del 1999 ha messo un punto fermo: «È stata spezzata la vita a 81 cittadini innocenti con un'azione che è stata propriamente un atto di guerra, guerra di fatto e non dichiarata, operazione di polizia internazionale coperta contro il nostro Paese di cui sono stati violati i confini e i diritti. Nessuno ha dato la minima spiegazione di quanto è avvenuto».

Un atto di accusa lapidario, non la bomba di cui sarebbero responsabili ipotetici terroristi, ma il missile infine. Indigeribile per chi doveva proteggere il nostro spazio aereo e non l'ha fatto, per chi doveva, e deve, tenere conto della nostra collocazione internazionale a partire da un esecutivo spiazzato dall'uscita di Amato. I francesi, è largamente prevedibile, risponderanno, se lo faranno, come hanno sempre fatto. In qualche caso negando l'evidenza.

Attività in volo

Fin da subito dopo la notte del 27 giugno1 980, i giudici italiani chiesero se nella notte della strage c'era attività di volo nella loro base di Solenzana, in Corsica. Negarono, sostenendo che la base era chiusa. Per loro sfortuna, il colonnello e futuro generale dei carabinieri Nicolò Bozzo, stretto collaboratore di Dalla Chiesa nel nucleo antiterrorismo, si trovava in vacanza con la famiglia in un albergo vicino all'aeroporto militare. Affacciandosi al balcone poteva vedere sulle piste i Mirage e i Phantom della Nato.

Di solito decolli e atterraggi cessavano alle 17 ma nella sera di Ustica Bozzo non riuscì a dormire fin oltre la mezzanotte «a causa del frastuono dovuto al viavai dei cacciabombardieri». Voleva cambiare hotel e il proprietario lo invitò a restare sottolineando l'assoluta eccezionalità dell'evento. Bozzo sospettò subito un attacco top secret. In quell'epoca l'Italia permetteva alla Libia, che era sotto embargo internazionale, di entrare nel nostro spazio aereo per portare i Mig 21 in Jugoslavia ed essere sottoposti a manutenzione.

La tolleranza italiana aveva indispettito i francesi che non solo appoggiavano il Ciad nella guerra contro la Libia, ma dovevano digerire il fatto che l'Eni si era preso le concessioni per lo sfruttamento dei giacimenti di petrolio, mentre la Total era rimasta esclusa dagli affari. Gheddafi doveva essere su uno di quei Mig, i servizi italiani lo avvertirono del pericolo e tornò indietro. Stando a Giuliano Amato, ed è l'unica novità delle sue esternazioni, non furono gli 007 a salvare la vita al leader arabo ma Bettino Craxi, di cui era nota la postura terzomondista e anti-americana.

Qualche dubbio è lecito perché Craxi fece qualcosa di analogo per Gheddafi, ma sei anni dopo, quando era presidente del Consiglio e dunque in una posizione più consona per entrare in possesso di notizie riservate (nel 1980 era segretario del partito socialista e deputato). Nella ricostruzione appare un altro elemento almeno stravagante: la Nato avrebbe simulato un'esercitazione, con il coinvolgimento di numerosi paesi, nell'intento di coprire l'omicidio di un capo di Stato e derubricarlo ad errore durante le manovre.

Come che sia, durante l'esercitazione della Nato, probabilmente effettiva, i Mig, come erano soliti fare, viaggiavano in ombra radar sopra gli aerei civili per non essere scoperti. Il velivolo dell'Itavia si è trovato sulla linea di tiro di un missile «a risonanza e non a impatto, se fosse stato a impatto non ci sarebbe nulla dell'aereo» (Cossiga dixit). Ed è bastato per farlo precipitare.

Pur con qualche confusione, Giuliano Amato nella sostanza appalesa quanto già si sapeva, seppur in mancanza della pistola fumante. Lo fa fuori tempo massimo. Per l'onore di molti attori che contano, dalla Francia alla Nato, un segreto però ancora inconfessabile. Vedremo come uscirà la Meloni dal confronto che si prevede torrido con gli alleati.

Gigi Riva è sceneggiatore del film-documentario “Luci per Ustica”, regia di Luciano Manuzzi, disponibile su Raiplay.

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