Questo fine settimana la scrittrice Michela Murgia ha accusato di sessismo il candidato sindaco di Roma Carlo Calenda per aver omesso il cognome di Cecilia Frielingsdorf da un manifesto elettorale.

Frielingsdorf e Calenda si sono difesi sostenendo che, vista la difficoltà del cognome della candidata, avrebbero deciso insieme di utilizzare un’escamotage molto utilizzato nelle elezioni in cui è chiesto agli elettori di esprimere una preferenza: presentare sulla scheda un soprannome o uno pseudonimo. Frielingsdorf, infatti, appare nelle liste ufficiali come «Cecilia Frielingsdorf detta Cecilia».

Nomi difficili

L’utilizzo dei soprannomi è molto frequente, soprattutto da parte di quelle figure che hanno una certa notorietà con un nome diverso da quello registrato all’anagrafe.

A Roma, ad esempio, sono candidate ben 81 “detta” e 95 “detto”. A Milano si sta candidando 15 “detto” e 19 “detta”, mentre a Napoli tra maschi e femmine sono 119 a presentarsi con uno pseudonimo o un diminutivo.

In alcuni casi la ragione della scelta appare abbastanza ovvia. Nella lista Catello Maresca sindaco, che a Napoli sostiene il candidato di centrodestra, Felicia Ruggiero ha scelto di farsi indicare con il diminutivo di uso comune del suo nome: Licia.

È relativamente frequente anche l’utilizzo di nomi italianizzati al posto di cognomi stranieri, come ha fatto Frielingsdorf. A Milano, ad esempio, nella lista La sinistra per Sala, che sostiene il sindaco uscente, la candidata Rahel Sereke ha indicato sulla scheda «detta Rachela».

Se alcuni scelgono uno pseudonimo o un diminutivo per non rischiare di confondere gli elettori, altri invece fanno scelte più difficili da interpretare.

E nomi improbabili

La lista Rinascimento, che è guidata dal critico d’arte Vittorio Sgarbi e a Roma appoggia il candidato del centrodestra Enrico Michetti, è una delle più bizzarre da questo punto di vista.

Qui, infatti, troviamo Alessandro Balli, che a quanto indicano i documenti elettorali, ha scelto come soprannome Michetti, cioè il cognome del più noto candidato sindaco del centrodestra.

È curioso anche il caso di Franco Deiana che, sulla lista elettorale è «detto Sgarbi», cioè il cognome del capo del suo partito.

Infine, sempre a Roma, vale la pena di segnalare Sergio Iacomoni, candidato sindaco del Movimento storico romano e detto niente meno che «Nerone».

La legge

Il timore di perdere voti a causa di un errore nella trascrizione del proprio cognome è comprensibile, ma in realtà un principio della giurisprudenza elettorale italiana dovrebbe proteggere da questo rischio. Si tratta del cosiddetto favor voti, un concetto espresso per la prima volta nel 1957, quando venne stabilito che «la validità dei voti contenuti nella scheda deve essere ammessa ogni qualvolta possa desumersi la volontà effettiva dell’elettore».

In altre parole significa che se è chiaro a chi l’elettore vuole destinare la sua preferenza, un semplice errore di trascrizione del nome del candidato non è sufficiente per annullare la scheda. Che questo principio sia ben presente a tutti gli scrutatori è invece un altro paio di maniche.

 

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