Non è certamente un bell'esempio aver introdotto nella legge di Bilancio 2026 una nuova offerta di gioco denominata Win For Italia Team: necessaria a recuperare risorse per coprire il disavanzo tra previsione e spesa reale delle Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026
Il solenne monito di Papa Leone XIV sulla piaga del gioco d'azzardo che rovina le famiglie è un forte richiamo, innanzitutto, ai decisori politici ed istituzionali perché venga affrontata la gravità della situazione che colpisce soprattutto i più fragili che cadono nella complessa patologia della ludopatia e sulla quale, come avvoltoi, fanno affari la mafia e la criminalità organizzata.
Non è un caso che il Pontefice abbia sollevato il tema ieri nell'incontro con l'Anci ovvero con quegli amministratori più vicini al disagio e alle difficoltà delle persone.
E non è certamente un bell'esempio aver introdotto nella legge di Bilancio 2026 una nuova offerta di gioco denominata Win For Italia Team. L'ennesima lotteria di Stato, presentata come strumento per promuovere la pratica sportiva e finanziare il Coni, ma in verità necessaria a recuperare risorse per coprire il disavanzo tra previsione e spesa reale delle Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026. In realtà il meccanismo è elementare e brutale: più persone giocano, più perdono, più lo Stato incassa. Lo sport viene tenuto in piedi non da investimenti pubblici strutturali, ma dalla promozione di una dipendenza.
Una scelta che considero profondamente sbagliata non solo sul piano sociale ed economico, ma anche su quello etico. Accostare il gioco d’azzardo allo sport, fino a farne addirittura una forma di finanziamento, è un messaggio pericoloso e distorto, soprattutto per i più giovani. Lo sport deve veicolare valori educativi, inclusione, lealtà e rispetto delle regole; legarlo all’azzardo significa normalizzare la dipendenza e trasformare una pratica sana in un veicolo di rischio. È una scelta politicamente miope e culturalmente regressiva.
Il Governo dichiara a parole di voler rafforzare la legalità nel settore, ma nei fatti continua a fare cassa sulla debolezza delle persone. La decisione di prevedere una compartecipazione delle entrate da gioco alle Regioni, senza alcun vincolo di destinazione, rappresenta un’altra contraddizione evidente: si finanziano bilanci pubblici, persino la sanità, con risorse che alimentano una dipendenza riconosciuta come patologia sanitaria. È un paradosso etico prima ancora che politico.
Lo Stato non può curare i danni sociali dell’azzardo con i proventi dell’azzardo stesso. È un corto circuito che mina la credibilità delle istituzioni e svuota di senso ogni dichiarazione di contrasto alla ludopatia e un decennio di progetti dell’Osservatorio nazionale. La prevenzione non può essere un effetto collaterale, né una voce marginale nei capitoli di spesa: deve essere il perno attorno a cui costruire le politiche pubbliche sul gioco.
Da tempo sostengo la necessità di strumenti specifici e dedicati. La soppressione dell’Osservatorio nazionale sul gioco d’azzardo patologico e la sua confluenza in un fondo generico sulle dipendenze rappresentano un arretramento culturale e operativo. Il gioco d’azzardo ha caratteristiche proprie, dinamiche economiche e impatti sociali che richiedono competenze, monitoraggio e interventi mirati. Diluirne l’analisi significa rinunciare a governarlo.
C’è poi un aspetto che non può essere eluso: l’intreccio strutturale tra gioco d’azzardo e criminalità organizzata. Le mafie hanno da tempo compreso che l’azzardo è uno straordinario strumento di riciclaggio, di controllo del territorio e di penetrazione nell’economia legale. Ogni ampliamento dell’offerta, ogni semplificazione normativa, ogni indebolimento dei controlli apre nuovi spazi di manovra per le organizzazioni criminali.
Contrastare questo fenomeno non significa limitarsi a invocare più legalità. Significa ridurre l’offerta complessiva di gioco, rafforzare i presidi antiriciclaggio, garantire trasparenza nei flussi finanziari e impedire che la pubblicità continui a normalizzare l’azzardo, soprattutto tra i giovani. Il divieto totale di promozione del gioco e delle scommesse non è una posizione ideologica, ma una misura di sanità pubblica. Ma la destra e il Governo stanno facendo di tutto per reintrodurla.
Serve che nella riforma del settore maldestramente predisposta dal Governo, con interventi frammentari dettati dall’urgenza di reperire risorse, tornino al centro la tutela delle persone, delle famiglie e delle comunità e una idea dell’azzardo per quello che è: non un semplice comparto economico, ma un fenomeno sociale complesso, da ridimensionare, con costi sociali altissimi che oggi ricadono su tutti.
Lo Stato è sempre di più parte del problema anziché della soluzione. Io credo che un’altra direzione sia possibile e necessaria. Ed è una responsabilità che la politica non può più rinviare.
C’è infine un nodo che la politica continua a sottovalutare: oggi la distanza tra gioco legale e gioco illegale è diventata troppo labile. Questa ambiguità non tutela i cittadini e non tutela nemmeno quelle imprese che in stragrande maggioranza operano nel rispetto delle regole, della trasparenza e dei controlli imposti dallo Stato.
Consentire, se proprio non se ne può fare a meno, un’offerta di gioco realmente legale significa, prima di tutto, aumentare le distanze normative, operative e tecnologiche tra ciò che è consentito e ciò che è criminale. Serve una regolazione più chiara, comprensibile e rigorosa, che renda immediatamente riconoscibile il gioco autorizzato e che alzi le barriere di accesso per chi opera nell’illegalità.
Questo passa da controlli più stringenti e continui sugli accessi soprattutto online verso i minori, dall’incrocio sistematico dei dati, anche sui conti gioco, da una tracciabilità piena dei flussi finanziari e dall’uso intelligente delle tecnologie digitali per individuare anomalie, frodi e tentativi di infiltrazione. Ma passa anche da un principio di equità: chi rispetta le regole non può essere penalizzato, mentre chi le aggira deve essere rapidamente escluso dal mercato.
Un settore regolato in modo serio e coerente, con la riduzione delle offerte di gioco non è un favore agli operatori, ma una garanzia per lo Stato e per i cittadini soprattutto quelli piu deboli. Rafforzare la legalità significa anche ridurre lo spazio economico e sociale in cui prospera il gioco illegale, sottraendo terreno alle mafie e restituendo credibilità alle istituzioni.
Solo rendendo questa distinzione netta, visibile e verificabile sarà possibile parlare davvero di contrasto all’illegalità, di tutela della salute pubblica e di un mercato che non viva sull’ambiguità ma sulla responsabilità.
*Deputato PD, Coordinatore Intergruppo parlamentare sull’azzardo
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