In Spagna, nella Comunità autonoma di Castilla y León, Vox, che governa la regione assieme al Partido popular, ha tentato di manomettere il diritto di autodeterminazione delle donne, con un protocollo limitativo della loro libertà di scelta.

L’attacco, sferrato inizialmente con l’acquiescenza del Pp locale e l’imbarazzo di quello nazionale, è stato quindi respinto dal governo spagnolo, le associazioni di donne e l’opinione pubblica del paese.

Nel mondo, i diritti di libertà delle donne sono il bersaglio principale delle estreme destre. Succede negli Stati Uniti, dove una sentenza del Tribunale Supremo ha annullato, l’estate scorsa, 50 anni di protezione a livello federale del diritto all’aborto. È così nell’Ungheria di Viktor Orbán, cui si è ispirata l’iniziativa dell’estrema destra spagnola; nel Salvador, dove le donne sono condannate al carcere se la loro gravidanza s’interrompe per qualunque motivo. Succede in Iran, dove le donne oppongono il proprio corpo agli oppressori che vorrebbero decidere di coprirlo.

Testare i limiti

(Foto Wikipedia/Bego Moratinos)

Il tentativo fatto in Castilla y León vuole sondare fino a che punto un eventuale governo delle destre in Spagna possa spingersi nella limitazione dei diritti riproduttivi e sessuali. E, più in generale, fin dove possa affermarsi una riduzione dei diritti e delle libertà femminili nell’Europa della cittadinanza.

Nello scorso gennaio, il vicepresidente della giunta di Castilla y León ed esponente di Vox annuncia che un nuovo protocollo verrà accluso alle procedure previste dalla legge sull’aborto. Alle donne incinte che si rivolgeranno alla sanità pubblica per esercitare il diritto all’interruzione volontaria della gravidanza, i medici proporranno la possibilità di ascoltare il battito cardiaco del feto e di realizzare una ecografia 4D per avere un’immagine dettagliata del feto in movimento.

È quello che, dal settembre 2022, Orbán ha imposto alle donne ungheresi per poter accedere all’aborto; in Castilla y León, però, l’obbligo sarà solo per i medici. Davanti alle minacce del governo spagnolo e l’eco sociale dello scandalo che ne deriva, il governo regionale è quindi costretto a fare marcia indietro.

Il Tribunal Constitucional spagnolo sta lavorando alla sentenza sul ricorso presentato dal Pp 13 anni fa sulla legge che depenalizza l’aborto nelle prime 14 settimane di gestazione. Si tratta della riforma del 2010 di José Luis Rodríguez Zapatero che, in linea con le legislazioni dei principali paesi europei, regola il diritto secondo i tempi della gestazione e non sulla base di circostanze, come era previsto prima.

Il ricorso del Pp è destinato all’insuccesso, cogliendo un sentimento generale del paese, ove oltre l’80 per cento della popolazione appoggia la legalizzazione dell’aborto. Come apparve chiaro nel 2014, quando il tren de la libertad, promosso dal movimento femminista asturiano, arrivò a Madrid capeggiando un’imponente manifestazione di donne e uomini che riuscì a fermare il tentativo del Pp, allora al governo, di una riforma dell’aborto in senso fortemente restrittivo. Le limitate modifiche che furono introdotte nella legge (periodo di riflessione per le donne, informazioni sugli aiuti alla maternità e autorizzazione genitoriale per le minorenni) vengono abolite nella riforma della legge attualmente al voto del Senato.

Vigilare negli Usa e in Europa

Copyright 2022 The Associated Press. All rights reserved

La scorsa estate, il Tribunale Supremo degli Stati Uniti annullava la sentenza Roe v. Wade che dal 1973 ha garantito la protezione dell’aborto a livello federale. Questa decisione, avversata da oltre il 50 per cento degli americani, dai democratici e dalle associazioni di donne, ha avuto un effetto anche sulle elezioni di metà mandato del novembre scorso, con una pesante penalizzazione per il partito Repubblicano. In quell’occasione venivano celebrati referendum in cinque stati: in Michingan, Vermont e California si votò per inserire l’interruzione volontaria della gravidanza nelle loro costituzioni, in Kentucky e Montana le iniziative furono di segno opposto. Contro la sentenza, nel mese di gennaio, Women’s March ha organizzato 200 marce in 46 stati.

Quanto accaduto negli Stati Uniti dimostra che sulle conquiste delle donne occorre una vigilanza attiva per difenderle. Perché anche nell’Europa dei diritti è possibile un loro arretramento. Nel luglio 2022, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione contraria alla decisione della Corte suprema statunitense, proponendo d’inserire il diritto all’aborto nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea.

L’atlante delle politiche europee sull’aborto elaborato dall’European Parliamentary Forum (Epf) nel 2021, propone una classifica tra 52 paesi (Unione europea e altri, tra cui Russia, Turchia, Islanda e Ucraina), in relazione con la protezione dell’aborto. Ai primi quattro posti figurano Svezia, Islanda, Regno Unito e Olanda; la Francia è al quinto posto, la Spagna al quattordicesimo, l’Italia è sedicesima e la Germania occupa il posto ventottesimo. In fondo c’è la Polonia dove, dall’ottobre 2020, vige il divieto di aborto pressoché assoluto, proibito anche in caso di gravi malformazioni del feto, con grave rischio per la salute delle donne.

In 21 paesi l’aborto è considerato dai relativi sistemi sanitari come qualsiasi altro servizio medico; in 31, invece, l’aborto non ha copertura nella sicurezza sociale. In 16 paesi l’aborto è regolato attraverso il Codice penale e in 26 i lavoratori del settore possono praticare l’obiezione di coscienza.

La lotta in America Latina

In Sud America, negli ultimi anni e mesi, le donne sono state motrici del cambio favorendo l’arrivo delle sinistre al governo nei principali paesi del continente. I movimenti delle donne, dei collettivi Lgtbi e delle comunità indigene hanno messo l’accento sui diritti di cittadinanza, le diseguaglianze sociali, la cura del territorio e dell’ambiente. In Argentina, la Marea Verde con la Campaña Nacional por el Derecho al Aborto Legal, Seguro y Gratuito ha conseguito, nel dicembre 2020, l’approvazione di una legge sull’aborto che ne prevede la depenalizzazione fino alla quattordicesima settimana di gestazione, diventando così il terzo paese nella regione, dopo Cuba e Uruguay, a riconoscere questo diritto.

In Colombia, nel febbraio del 2022, una sentenza della Corte Costituzionale ha depenalizzato l’aborto entro le prime 24 settimane di gravidanza. In Cile, il progetto di nuova Costituzione, bocciato nel referendum popolare del settembre scorso, prevedeva tra i suoi diritti quello all’aborto. In Salvador, invece, le donne che, per qualunque ragione interrompono la loro gravidanza, vengono arrestate e condannate a molti anni di carcere. È nata così la campagna Nos faltan las 17, Ci mancano le 17, in riferimento alle donne finite in carcere per avere interrotto la gravidanza anche solo per cause naturali.  

La campagna internazionale

Quanto accaduto in Castilla y León è parte di una campagna internazionale contro il diritto all’aborto, nata negli Stati Uniti e approdata nell’Est europeo e in Spagna, con Vox principale artefice, che cerca d’imporre la sua agenda politica. Una campagna che si è andata internazionalizzando nel 2005 e che è diretta contro i diritti sessuali e riproduttivi, contro il collettivo Lgtbi e contro le leggi sull’eutanasia. Sono diverse le organizzazioni che spingono per un retrocesso dei diritti e delle libertà femminili. In Spagna le più attive sono Red Madre che ha ricevuto 300.000 euro  dal governo popolare andaluso, Hazte Oír, Citizen go, One of Us, installata a livello europeo e diretta dall’esponente spagnolo del Pp, Jaime Mayor Oreja. Alcune di quelle nate in America hanno rappresentanza anche in Europa (Bruxelles, Strasburgo, etc.), come Acif International.

Le lobby americane anti-aborto cercano di fare della sentenza statunitense contro il diritto all’interruzione volontaria della gravidanza il grimaldello per scardinare le politiche femministe nei paesi della Ue. Uno studio dell’Epf (La punta dell’iceberg) calcola che queste organizzazioni ultracattoliche abbiano investito tra il 2009 e il 2018 oltre 700 milioni di dollari per influire sulle politiche sociali europee.

© Riproduzione riservata