La revoca da parte della Corte Suprema del diritto della donna di scegliere di abortire entro i primi tre mesi di gravidanza ha accesso un intenso dibattito nel nostro paese, con Simone Pillon che dice di avere «il cuore pieno di gioia” ed Enrico Letta che parla di una “scelta sconcertante».

 Da anni, e con crescente intensità, i diritti riproduttivi sono sotto tiro dovunque. Nonostante i successi in America Latina, in molti paesi, anche occidentali, l’aborto se non vietato è messo in discussione. Il parlamento polacco l’ha abrogato nel gennaio del 2021.

Nell’autunno del 2020, trentacinque paesi hanno firmato la Geneva Consensus Declaration, un impegno internazionale ad ostacolare le politiche abortive.

La congrega dei paesi antiabortisti era guidata dagli Stati Uniti (con l’allora presidente Donald Trump) insieme a Brasile, Egitto, Ungheria e Polonia. Con il rovesciamento di Roe v. Wade questa battaglia trova una vittoria di non poco conto. Come a dire che l’era Trump è tutt’altro che al tramonto.  

Che cosa succederà dopo la decisione della Corte Suprema? E prima ancora, quale indicazione viene dalla sentenza?

Tocca ai parlamenti

Come osserva Arnaldo Testi nel suo blog Short Cuts America, la Corte non dice che dell’aborto d’ora in poi se ne devono occupare gli stati dell’Unione, come a rovesciare l’ordine federale in un ordine confederale. Dice, invece, che spetta ai «rappresentanti eletti del popolo» (giudice Alito) e ai «rappresentanti eletti attraverso il processo democratico negli Stati e in Congresso» (il giudice Kavanaugh nella concurring opinion) intervenire.

In poche parole, la Corte dice che la questione deve d’ora in poi essere discussa e risolta dalle assemblee legislative. Quindi, se i democratici lo vogliono devono articolare una loro proposta di legge federale per colmare l’assenza lasciata dalla revoca di Roe. La questione dell’interruzione della gravidanza dipenderà dalla volontà politica. 

Così è o è stato per molti paesi democratici, certamente il nostro. Dove, l’interruzione della gravidanza ha interessato direttamente la cittadinanza democratica, sia con il referendum sia con una legge del parlamento.  Nel 1973, l’anno della decisione oggi rovesciata, gli Stati Uniti hanno messo in campo la Corte. A coronamento di una stagione importante di lotta per i diritti civili, hanno assegnato alla Corte il ruolo di legislatore. Non si è trattato di un’eccezione. Perchè negli Stati Uniti, più che dirimere casi la Corte svolge e ha svolto su molte questioni legate ai diritti una funzione attiva.

Si è discusso nel corso degli anni se la via della Corte sia da preferirsi a quella dei parlamenti.  Un argomento a favore della Corte, portato anche dai radical americani era che in questi casi la decisione poteva godere di maggiore certezza di durata e certamente di maggiore autorevolezza, proprio perchè non soggetta a maggioranze aleatorie e a lotte partigiane. Per molti sostenitori del ruolo centrale della Corte, questa è stata tradizionalmente una ragione forte.

Oggi, vediamo come nemmeno le decisioni della Corte siano al riparo dalla temporalità e dalla partigianeria.  Per i sostenitori del ruolo prioritario delle assemblee rappresentative, invece, la via della legge ordinaria è preferibile anche perché smorza il carisma di assolutezza implicita nei verdetti delle corti e toglie il pungiglione della radicalità a decisioni che si impongono come ciò che è giusto contro ciò che è sbagliato.

Scrive Testi nel suo blog, che la Corte dovrebbe essere un «luogo ponderato di composizione dei conflitti» invece che attore stesso di conflitto.  Ma in momenti critici, la Corte Suprema ha avuto un ruolo politico che ha rispecchiato conflitti sociali e ideologici – dal tempo della ricostruzione post-Guerra civile agli anni del New Deal, a quelli infine dei diritti civili.

Oltre l’originalismo

La Corte Suprema ha prodotto sentenze conservatrici e sentenze progressiste. Col tempo si è creata un’aura extra-giudiziaria come depositaria dell’interpretazione suprema, non solo nei casi specifici discussi, ma del significato stesso della Costituzione.

Escogitando delle vere e proprie teorie filosofiche, come quella nota come “originalismo” sostenuta dal giudice Antonin Scalia, ovvero l’andare all’intenzione dei Padri fondatori per dedurre l’interpretazione legittima.

Come ha scritto Gustavo Zagrebelski, la dottrina dell'interpretazione costituzionale «aderente al puro e semplice significato del testo, al momento della sua fattura (testualismo) o secondo l'intento dei fondatori (intenzionalismo)» ha sempre avuto come "bestia nera” la costituzione vivente, quella cioè «sensibile alle esigenze costituzionali del tempo che muta».

La Corte che ha scritto Roe v. Wade sosteneva la dottrina della «Costituzione vivente». La Corte che l’ha abolita è critica di questa interpretazione evolutiva e si appella alla mente dei fondatori. Scalia ha fatto scuola.

Con questa decisione, la via politica alla codificazione del diritto all’interruzione volontaria della gravidanza sarà d’obbligo. Ma sarà molto ardua. Qualora si andasse in questa direzione emergerebbero i limiti di “immobilismo” della Costituzione statunitense.

Se alla Camera la maggioranza è possibile, al Senato lo scoglio dell’ostruzionismo sarà disperante ed esalterà il ruolo ostruttivo di questa istituzione, che potrebbe oltretutto usare proprio l’argomento della Corte, ovvero che non esiste nella Costituzione alcun appiglio al diritto alla “privacy”.  

Il nodo privacy

Le discussioni sull’appello alla “privacy” sono antiche quanto la sentenza che l’ha sancito. I primi a dubitare dell’opportunità di questa categoria liberale furono i democratici sociali che hanno visto nella “privacy” un segno di distinteresse del pubblico verso la condizione socio-economica delle donne, soprattutto quelle meno abbienti, aggravata dall’esistenza di una sanità privata. 

I critici di ieri erano critici amici. Quelli di oggi sono critici nemici, e decretano l’appello alla “privacy” come sbagliato e ingiustificato, non derivabile dal testo costituzionale (secondo l’ “originalismo” di Scalia). Ma se questo è, allora sembra molto difficile che il Congresso abbia un ampio margine di manovra. E se legifererà, dovrà farlo fuori dell’alveo della categoria della “privacy”.

Il comrpomesso con i cattolici

Forse il processo legislativo dei paesi europei, per esempio quella italiana, presenta una elasticità maggiore, se non altro perchè non intende la scelta di interruzione della gravidanza una questione di “privacy”; ne fa invece una scelta sofferta e difficile, bisognosa di assistenza.

Questa strada si è resa necessaria da noi anche per trovare un compromesso con la cultura cattolica, che mai avrebbe accettato di fare dell’aborto un’indicazione di libertà di scelta, un simbolo della potenza femminile di governo del proprio corpo e di autonomia decisionale sulla riproduzione.  Ma siamo certi che questa sia una strada più sicura di quella americana?

Nonostante lo sconcerto legittimo per la decisione della Corte statunitense, non siamo così sprovvedute dal pensare che noi, in Italia, viviamo nella certezza di un diritto acquisito.

La nostra legislazione, nota come legge n. 194, subisce colpi continui: per esempio a causa di un’interpretazione larghissima della clausola dell’obiezione di coscienza da parte del personale medico e sanitario, che rende la scelta della donna una preghiera di aiuto umiliante e oneroso, e che spesso costringe le donne all’emigrazione in altre regioni alla ricerca di un’opportunità.

 Nel 2020 i medici obiettori di coscienza sono stati 64,6 per cento; una percentuale altissima (2 ginecologi su 3 e quasi 1 anestesista su 2), come ha lamentato il ministro Roberto Speranza. 

Lo stato di salute della 194 è dunque allarmante. Come a dire che per atterrare la libertà di scelta della donna le strategie sono molteplici. E chi come noi in Italia ha una legge non ha per questo risolto il problema, nè le donne che decidono di abortire sono certe di poter contare dovunque sulla tutela da parte del sistema sanitario nazionale.

Ciliegina sulla torta: la proposta di regionalismo differenziato, se si concretasse, renderebbe ancora più ineguale e incerto il diritto sancito dalla legge 194.

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