L’Idf uccide i vertici militari del regime. Il premier Netanyahu: «Un successo, continuiamo». I paesi arabi condannano. La vendetta di Teheran è immediata: oltre 100 missili balistici
L’impatto degli oltre 330 tra missili e bombe che l’esercito israeliano ha lanciato contro l’Iran venerdì mattina è stato distruttivo. Si tratta dell’attacco più violento che Teheran ha dovuto affrontare dalla guerra contro l’Iraq degli anni Ottanta.
Tra i cento obiettivi dell’Idf, diverse basi dei Pasdaran, edifici residenziali a Teheran, l’aeroporto di Tabriz, una fabbrica di missili a Shiraz e strutture strategiche di vario tipo. Non sono stati risparmiati neanche i siti nucleari di Isfahan e Natanz, questo colpito due volte nel corso della giornata e apparso avvolto dalle fiamme nelle immagini della televisione pubblica.
Venerdì sera intorno alle 20 ora italiana, poi, è arrivata la risposta dell’Iran. Oltre cento missili balistici sono stati lanciati verso Israele, con le sirene che sono suonate in tutto il paese. Al momento in cui questo giornale va in stampa è difficile tracciare un bilancio, si parla di diversi «feriti lievi», forti boati si sono sentiti a Tel Aviv e alte nuvole di fumo si sono alzate dal centro della città.
A Teheran, secondo l’agenzia di stampa Fars, i morti sono stati 78 e 329 feriti. Ma il danno più grande è stato quello inflitto alla leadership degli ayatollah. Da 19 mesi, Tel Aviv sta uccidendo i vertici delle organizzazioni e dei governi nemici.
Lo ha fatto con Hamas, Hezbollah, gli Houti e ora contro la leadership militare iraniani. Ieri l’Idf ha ucciso Hossein Salami, comandante in capo dei Guardiani della rivoluzione islamica, Amirali Hajizadeh, comandante della forza aerospaziale, Mohammad Bagheri, capo di stato maggiore dell’esercito e il comandante Gholamali Rashid.
Con loro sei scienziati di alto profilo impiegati nel programma nucleare iraniano, tra questi Fereydoon Abbasi e Mohammad Mahdi. Secondo i media sarebbe morto anche Ali Shamkhani, consigliere della guida suprema, Ali Khamenei. Un messaggio chiaro che nessuno è al riparo.
L’operazione militare israeliana, chiamata “Rising Lion”, era programmata da tempo e pensata nei minimi dettagli grazie anche all’incredibile capacità dei servizi segreti israeliani che in Iran sono riusciti a installare una base clandestina del Mossad. Forse la stessa che ha pianificato la chirurgica uccisione, nel cuore di Teheran, del capo di Hamas Ismail Haniyeh nel luglio del 2024.
I servizi d’intelligence americani erano a conoscenza dei piani, hanno aiutato a fornire informazioni chiave, ma non si aspettavano che lo stato ebraico agisse con tanta rapidità. L’obiettivo del presidente Donald Trump era aspettare l’esito del sesto round di negoziati previsto per domani in Oman.
L’Iran ha già fatto sapere che non sarà presente alle trattative, probabilmente saranno congelate per un po’ di tempo. Troppo duro l’attacco subito per tornare a discutere. Sarebbe un’umiliazione per gli ayatollah che ora stanno anche pensando di uscire dal trattato di non proliferazione nucleare.
Vendetta e scenari futuri
Per il premier Benjamin Netanyahu l’attacco è «stato un grande successo», ma ha anche detto che probabilmente la rappresaglia sarà dura. Il capo di stato maggiore, Eyal Zamir, ha spiegato di aver lanciato l’offensiva perché «avevamo raggiunto il punto di non ritorno».
Trump ha nascosto la sua irritazione per la mossa di Netanyahu e ha detto all’Iran di firmare il prima possibile l’accordo sul nucleare «prima che non resti più nulla». Ha aggiunto – forse bluffando – di «non aver paura che scoppi una guerra regionale» e che ha provato a salvare Teheran dall’umiliazione. Il segretario generale della Nato, Mark Rutte, ha definito l’attacco come «un’azione unilaterale di Israele» e ora la priorità dell’Alleanza è la «de-escalation».
Prima dei missili di venerdì sera Teheran aveva lanciato, inutilmente, più di cento droni contro Israele. In ogni caso, poche ore dopo l’attacco israeliano, Ali Khamenei aveva promesso vendetta. «Il regime sionista non uscirà indenne da questo crimine», aveva detto. Venerdì sera, su richiesta iraniana, si è riunito il Consiglio di sicurezza dell’Onu. Gli ayatollah, d’altronde, considerano quanto accaduto «una dichiarazione di guerra».
Ora resta da capire cosa succederà. Secondo il Wall Street Journal l’operazione durerà quasi due settimane. Un’ulteriore risposta iraniana dipenderà dai danni subiti ai sistemi di difesa e dall’arsenale ancora a disposizione. Di sicuro appare complicato contare sui suoi proxy. Hezbollah ha subito ingenti perdite in Libano, gli Houthi sono in difficoltà dopo le operazioni militari degli Stati Uniti degli ultimi mesi (anche se venerdì Israele ha intercettato un missile proveniente dallo Yemen) e Hamas sta rischiando di perdere il controllo della Striscia di Gaza, dopo che Tel Aviv ha iniziato ad armare la sua milizia antagonista Abu Shabab.
Tutti e tre i principali alleati di Teheran nella regione si sono limitati a dichiarazioni di condanna, con Hezbollah che ha fatto sapere, tramite un suo funzionario, che non ha intenzione di lanciare attacchi contro Israele.
I paesi arabi
Cosa faranno i potenti paesi del Golfo? Da decenni gli arabi sunniti si sono contesi l’egemonia nella zona con il regime iraniano. Il pesante attacco subito da Teheran cambia ancora una volta lo scenario.
Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti e Oman hanno condannato duramente l’accaduto. Non è escluso, però, che per evitare un’escalation definitiva nella regione accetteranno di riattivare l’alleanza militare di difesa aerea (Mead) nata sulla scia degli accordi di Abramo con Israele.
Negli ultimi due attacchi contro lo stato ebraico, paesi come Giordania e Qatar avevano fornito informazioni di intelligence e agevolato le manovre difensive.
Uno scenario che forse si è già ripetuto ieri sera. Da giorni in Giordania sono schierati gli F-15 statunitensi con lo scopo di intercettare missili e droni.
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