L’incontro tra i paesi Nato e i loro alleati nella base di Ramstein, in Germania, ha segnato un importante cambio di passo nei confronti della guerra in Ucraina. I membri dell’Alleanza atlantica hanno risposto positivamente alla richiesta del presidente Volodymyr Zelensky di incrementare le capacità tanto di difesa quanto di attacco del suo esercito, accordandosi per l’invio di armamenti più sofisticati e in linea con gli standard Nato.

Un impegno preso per raggiungere un duplice obiettivo: sostenere le forze ucraine impegnate contro le truppe russe e indebolire Mosca, come affermato chiaramente dal segretario Usa alla Difesa, Lloyd Austin.

L’aumento non solo quantitativo ma anche e soprattutto qualitativo del materiale inviato dalla Nato all’Ucraina comporta però dei rischi. Tracciare il percorso degli armamenti inviati nel paese è quasi impossibile e il pericolo che finiscano nelle mani sbagliate è alto, come dimostra il recente ritrovamento di alcune armi italiane, francesi e spagnole nell’arsenale delle forze filo russe del Donbass.

Un cambio di passo

Nelle prossime settimane, sulla base di quanto deciso a Ramstein, si dovrebbe assistere alla fornitura di armamenti più sofisticati e rispondenti agli standard dell’Alleanza atlantica, seguendo la linea già tracciata da Stati Uniti, Francia, Regno Unito e Paesi Bassi.

A cambiare idea sul tipo di materiale da inviare in Ucraina è stata anche la Germania, uno dei paesi maggiormente reticenti verso la fornitura di armi pesanti a Kiev a causa del rischio escalation con la Russia. Dopo l’incontro a Ramstein Berlino si è impegnata a fornire all’Ucraina 50 semoventi antiaerei Gepard, mezzi cingolati dotati di due cannoni da 35 millimetri utilizzabili per colpire aerei, elicotteri, droni e razzi fino a una distanza di circa 6 chilometri.

Fino a oggi la Nato e i suoi alleati avevano preferito puntare sull’invio di materiale di produzione sovietica o russa per due motivi principali: da una parte, si trattava di armamenti immediatamente impiegabili dalle forze ucraine senza bisogno di addestramento; dall’altra, consentiva di supportare l’esercito di Kiev senza provocare troppo la Russia. Una posizione che la Nato ha scelto di riconsiderare con il protrarsi della guerra e a seguito del cambio di strategia da parte di Mosca.

I rischi

Nel decidere che tipo di armamenti inviare, la Nato e i suoi alleati hanno messo al primo posto il raggiungimento degli obiettivi di breve periodo, ossia il sostegno immediato alle forze ucraine e l’aumento delle possibilità di vittoria contro l’esercito russo.

Così facendo, però, si è scelto di mettere in secondo piano i rischi derivanti dall’invio di materiale militare in un contesto instabile come quello ucraino. Una scelta di cui sono ben consapevoli prima di tutto gli ufficiali americani, che considerano però il rafforzamento dell’arsenale di Kiev la priorità, vista la situazione sul terreno.

Eppure gli stessi funzionari americani non sanno con certezza che fine facciano gli armamenti che inviano in Ucraina. Come riportato dalla Cnn, né gli Stati Uniti né altri paesi sono in grado di tracciare la rotta seguita dalle armi una volta superato il confine ucraino a causa dell’assenza di militari statunitensi e stranieri sul terreno. Gli unici dati disponibili, dunque, sono quelli forniti dalle autorità locali, che hanno però tutto l’interesse nel minimizzare i rischi e nel dare informazioni che sostengano la loro causa.

Inoltre, la segretezza imposta da alcuni governi sul tipo di materiale inviato contribuisce a rendere ancora più complicate le operazioni di monitoraggio, anche quelle che potrebbero essere condotte in una fase post conflitto da organi indipendenti. Tra questi paesi rientra anche l’Italia, che continua a secretare le informazioni sugli armamenti inviati in Ucraina per ragioni di sicurezza.

Le lezioni del passato

Il materiale militare ceduto all’Ucraina potrebbe finire nelle mani sbagliate anche una volta terminato il conflitto, come già successo in Afghanistan. Le armi fornite dagli americani, ai mujaheddin prima e alle forze armate afghane poi, hanno alimentato il mercato nero del paese asiatico, ma non solo.

Quando i Talebani hanno preso il controllo del paese si sono ritrovati tra le mani enormi quantità di armi di produzione americana e occidentale che gli eserciti stranieri non sono riusciti a recuperare per tempo o lasciati indietro dalle truppe afghane.

Quello dell’Afghanistan tra l’altro non è l’unico scenario in cui le armi americane sono state usate contro le stesse truppe Usa. Come ricorda la Cnn, Arabia Saudita ed Emirati hanno fornito alle milizie legate ad al Qaida e ad altre fazioni attive in Yemen anche materiale militare acquistato dagli Stati Uniti. In alcuni casi queste stesse armi sono state recuperate dalle forze filo iraniane, con il rischio che informazioni sensibili sulla tecnologia militare americana potessero finire nelle mani di Teheran.

Il mercato nero

Tra l’altro il sospetto che una parte delle armi inviate in Ucraina seguisse una strada diversa rispetto a quella prevista era già stato sollevato dall’ispettore generale del dipartimento della Difesa americano nel 2020, due anni prima dello scoppio del conflitto.

In Ucraina infatti è da tempo attivo un fiorente mercato nero delle armi, accresciutosi già prima della guerra grazie alla presenza di truppe paramilitari nel Donbass e all’alto livello di corruzione dell’apparato amministrativo ucraino.

Come riportato in un documento interno dell’Ue redatto dall’agenzia Empact, le direttrici di questo traffico illecito puntano anche verso l’Europa, tanto che negli ultimi anni si è assistito a un aumento del contrabbando di armi verso la Polonia e la Romania. Gli armamenti inviati dagli Usa e dagli alleati potrebbero ugualmente alimentare il mercato nero ed essere usati in maniera impropria, ma al momento la priorità della Nato resta il rafforzamento dell’esercito ucraino.

Il Donbass

Secondo diversi analisti il pericolo che le armi inviate in Ucraina possano essere rivendute non è immediato, ma le immagini diffuse in questi giorni sui social dimostrano che la possibilità che cadano nelle mani sbagliate è invece molto concreta.

Le forze filo russe attive nella regione del Donbass hanno recuperato alcuni proiettili da mortaio da 120 mm di fornitura italiana, due missili anti carro Milan forniti dalla Francia, munizioni calibro 7,62 e armi anticarro di fabbricazione spagnola. Uno scenario che potrebbe ripetersi anche in futuro con il protrarsi della guerra.

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