Prima l’attentato in Francia, dove venerdì scorso un ceceno ha ucciso a coltellate un professore in un liceo di Arras. Ora Bruxelles, dove un uomo tunisino armato di kalashnikov ha ucciso due cittadini svedesi e ferito una terza persona. Prima di fuggire a bordo di una moto ha registrato un video in cui ha annunciato l’appartenenza allo Stato islamico. Secondo una prima ricostruzione l’attacco sarebbe una vendetta contro le manifestazioni di rogo del Corano che ci sono state negli ultimi mesi in Svezia.

Entrambi gli uomini avrebbero giurato fedeltà all’Isis, così come uno dei due cittadini egiziani arrestati nella mattinata del 17 ottobre a Milano. I due sono accusati di partecipazione ad associazione con finalità di terrorismo e istigazione a delinquere con finalità di terrorismo. Avrebbero svolto sui social attività di proselitismo e inviato finanziamenti in Palestina, Libano, Yemen, Egitto e Siria per un totale di quattro mila euro. 

Dal 7 ottobre scorso, giorno in cui Hamas ha attaccato Israele, i servizi di intelligence occidentali sono in stato di allerta. Nonostante non ci siano accordi espliciti con altre organizzazioni terroristiche il tempismo di questi due attentati, dopo mesi di calma, è più che una casualità.

A preoccupare infatti è la chiamata alle armi del leader di Hamas, Ismail Haniyeh, che rischia di riattivare cellule dormienti e lupi solitari presenti in Europa, e il possibile allargamento del conflitto in Siria e in Libano che potrebbe coinvolgere non solo Hezbollah ma anche organizzazioni terroristiche come l’Isis. Un ulteriore innalzamento dell’allerta sicurezza è stato causato dall’appello diffuso nel fine settimana da al Qaida alla jihad internazionale.

Il messaggio di Hamas

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Nel discorso con cui Haniyeh il capo dell’ufficio politico di Hamas ha lanciato l’operazione, sono presenti molti elementi propagandistici della jihad fondamentalista. «È la battaglia dell’intera comunità arabo-musulmana», ha detto Haniyeh. E quindi: «Invito tutti i figli di questa comunità, ovunque si trovino nel mondo, ad unirsi a questa battaglia, ciascuno a modo suo, senza indugi e senza voltare le spalle».

Nel suo discorso, il leader di Hamas ha citato per sette volte i versetti del Corano e ha ribadito più volte l’importanza di difendere – anche a costo di diventare martiri – il luogo sacro della spianata delle moschee.

In questo quadro di terrore, il rischio che possano insediarsi anche altre organizzazioni terroristiche non è indifferente. E non sono solo gruppi affiliati ad Hamas o alla Jihad islamica palestinese, ma anche altri presenti in Medio Oriente. Tutti i rapporti d’intelligence sottolineano come al Qaida e l’Isis sono ancora organizzazioni vive.

Nell’ultima relazione annuale stilata dai servizi d’intelligence italiani, si legge infatti che «sono impegnati in processi di riorganizzazione interna atta a rinsaldarne i ranghi, acquisire nuovi finanziamenti e adattarsi alle contingenti realtà di sicurezza dell’area, atteso che entrambi potrebbero tornare a ottenere basi sicure, specie lungo il confine siro-iracheno». La destabilizzazione di Israele è diventato il pretesto giusto per attaccare di nuovo.

La propaganda contro Israele

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Negli ultimi tre anni, l’Isis e al Qaida hanno cambiato parte della loro propaganda prendendo di mira anche Israele. È avvenuto all’inizio del 2020, in piena pandemia, quando il portavoce dello stato islamico Abu Hamza al-Quiraishi in un lungo audio aveva annunciato che l’organizzazione si sarebbe concentrata su Israele.

Benché non ci siano stati attacchi di alcun tipo in territorio israeliano da parte delle due organizzazioni, nei loro messaggi i vertici dell’Isis hanno accusato i governi arabi musulmani di aver normalizzato i rapporti diplomatici con il governo israeliano, arrivando prima agli accordi di Abramo e poi alla discussione di un accordo tra Riad e Tel Aviv.

Al Qaida, invece, ha diffuso messaggi in cui collegava la crisi in Palestina alla crisi dell’Islam, fomentando attacchi anche contro Israele che avrebbero servito alla causa islamica globale. Messaggi propagandistici diffusi anche durante l’operazione militare israeliana a Gaza avvenuta nel maggio del 2021 e che ora rischiano di tornare di nuovo.

I focolai attivi dell’Isis

I rischi di una nuova deriva jihadista non sono infondati. Secondo gli ultimi rapporti del think tank Counter extremism project, che monitora le organizzazioni terroristiche nel mondo, i miliziani dell’Isis sono ancora attivi in Siria. Negli ultimi due mesi, in agosto e settembre, i miliziani hanno condotto 28 attacchi nei governatorati di Homs, Raqqa e Deir Ezzor. 

«I militanti sono stati in grado di effettuare diversi attacchi significativi, tra cui la cattura di una posizione militare del regime, la creazione di un falso posto di blocco e il tentativo (ma alla fine fallendo) di tendere un'imboscata a un convoglio militare», si legge nel rapporto di settembre.

Così come sono ancora in grado di realizzare attentati all’estero. Nuove crepe di instabilità si aprono in Medio Oriente e rischiano di rinforzare le organizzazioni terroristiche dopo anni in cui non eravamo più abituati alla loro esistenza.

La paura dei lupi solitari

Come insegna la cronaca in Francia e in Belgio, a preoccupare le forze dell’ordine sono soprattutto i lupi solitari, persone che si radicalizzano online e agiscono di loro spontanea iniziativa senza avere alle loro spalle una rete strutturata. L’ultimo rapporto disponibile dell’Europol sul terrorismo menziona che all’interno dei confini europei nel 2021 sono stati eseguiti 260 arresti per reati jihadisti. Compiuti da giovani con un’età media di 33 anni.

Tra questi reati ci sono otto attentati sventati in Danimarca, Francia, Germania, Ungheria, Spagna e Svezia, mentre tre sono quelli andati a segno (Rambouillet, Roldán e in Baviera). Nonostante la perdita di territorio in Siria e Iraq, l’Isis non ha mai smesso di alimentare la propaganda jihadista nelle sue reti di comunicazione ed è riuscito a tenere attive le sue cellule e i lupi solitari che tanto preoccupano i servizi di intelligence perché più difficile da identificare e monitorare. Infatti, tutti e tre gli attacchi commessi nel 2021 sono stati eseguiti per mano di uomini che hanno agito isolati.

La situazione in Italia

In Italia il capo della polizia, Vittorio Pisani, ha diramato nei giorni scorsi una circolare per «implementare al massimo l’attività informativa, al fine della tempestiva attuazione di ogni altra misura idonea a prevenire il compimento di illegalità e a garantire l’ordine e la sicurezza pubblica». 

Secondo il Viminale, sono 28.707 gli obiettivi considerati a rischio attentati sull’intero territorio nazionale. Di questi, 205 sono riferibili al mondo ebraico e allo stato d’Israele. Sono per lo più luoghi diplomatici o religiosi.

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