Un anno fa sarebbe stato sventato un attacco contro papa Francesco a Trieste, secondo quanto emerge da un’inchiesta del quotidiano Il Piccolo. A pianificare l’attentato sarebbe stato un gruppo turco legato all’Isis-K, il ramo dello Stato islamico che prende il nome dalla provincia del Khorasan.

Come ricostruito da Il Piccolo, il 7 luglio 2024 il pontefice si trovava a Trieste per la chiusura della 50esima Settimana sociale dei cattolici in Italia. Il giorno prima, nel bar della stazione, era stato ritrovato un trolley con all’interno una pistola automatica CZ modello 7B calibro 9 Luger, completa di caricatore e 14 munizioni. L’arma, prosegue il quotidiano, doveva essere per uccidere il pontefice. In relazione alla vicenda è stato fermato un cittadino turco, Hasan Uzun: a metterlo in relazione alla valigia sarebbero le immagini delle telecamere di sorveglianza. L’uomo è stato arrestato in Olanda grazie a un mandato di arresto europeo ed è ora detenuto in carcere a Trieste. Formalmente il capo di imputazione è porto e detenzione di arma comune in concorso, ma si indaga per capire i suoi legami con l’Isis-K. Che vengono però messi in dubbio dalla questura di Trieste, secondo cui «il criminale sembrerebbe essere inserito in circuiti criminali non correlati al terrorismo».

Sull’eventualità di un attentato contro il pontefice la questura è categorica: «Non pianificava l'attentato al pontefice». Dopo le investigazioni svolte dalla «Digos di Trieste e dalla direzione centrale della Polizia di prevenzione in collaborazione con gli omologhi uffici di polizia straniera e anche per il tramite di rogatorie internazionali, nessuna evidenza è emersa in ordine a progettualità ostili o omicidiarie nei confronti del Santo Padre». «Il procedimento penale nei confronti dell'indagato pende ancora nelle fasi delle indagini preliminari e che le sue responsabilità effettive saranno vagliate nel corso del successivo processo», conclude la nota, mentre l’indagato sarà interrogato nelle prossime ore.

Catalizzatori di militanti

L’Isis della provincia del Khorasan è un gruppo legato allo Stato islamico nato ufficialmente nel gennaio 2015 e attivo principalmente in Pakistan e Afghanistan. Sin dal principio, il gruppo è emerso come un catalizzatore di militanti provenienti anche da Azerbaigian, Bangladesh, Cina, India, Iran, Iraq, Maldive, Filippine, Russia, Tagikistan, Uzbekistan e Turchia. Il suo obiettivo, come si evince dal nome, è la creazione di un califfato tra Afghanistan, Iran e Asia Centrale. L’Isis-K è finito agli onori della cronaca per una serie di attentati condotti in Afghanistan subito dopo la presa del potere dei Talebani contro obiettivi civili, le ambasciate e le forze militari straniere.

In particolare, il gruppo jihadista ha rivendicato l’attacco contro l’aeroporto di Kabul del 21 agosto 2021. Isis-K ha poi rivendicato l'attentato suicida all'ambasciata della Federazione russa a Kabul a settembre del 2022, ma anche l’attentato a Kerman, in Iran, durante la commemorazione della morte del generale Soleimani nel gennaio 2024. Nella lista degli attacchi compiuti dal gruppo del Khorasan rientrano anche quello alla Crocus City Hall a Mosca, nel marzo 2024 e contro la chiesa cattolica di Santa Maria a Istanbul, a gennaio dello stesso anno.

Come spiega Riccardo Valle, analista e direttore della ricerca di The Khorasan Diary, negli ultimi anni la Turchia è diventata un centro logistico e di raccolta fondi sempre più importante per l’Isis-K: «La componente centroasiatica è arrivata in Turchia sfruttando i flussi migratori provenienti dalle ex repubbliche sovietiche. Il paese è diventato così uno snodo importante per le attività economiche e organizzative del gruppo, nonché un rifugio per i suoi membri». Valle specifica che quello che si è formato in Turchia è un network molto fluido, in cui sono compresi anche soggetti legati alle altre branche regionali dell’Isis, come quella siriana, e i cui membri si spostano da un paese all’altro. «I turchi sono andati in Pakistan per esempio per fare da addestratori o per condurre altri tipi di operazioni o attacchi». Dal 2024, però, la Turchia ha aumentato la propria attenzione verso il gruppo, portando a termine centinaia di arresti e sventando futuri attentati.

«Prima del 2024 l’Isis-K era meno attenzionato perché non aveva una proiezione internazionale forte. Questa componente si sviluppa maggiormente dal 2022 tramite la propaganda online, con cui il network riesce ad attrarre sia fondi, sia supporto al di fuori della regione asiatica e centroasiatica». Oltre agli arresti sul proprio territorio, la Turchia ha anche collaborato con Pakistan, Russia e Repubbliche centroasiatiche per smantellare la rete dell’Isis-K, a dimostrazione della fluidità e dell’espansione geografica del gruppo legato allo Stato islamico.

La minaccia rimane

«Questi arresti hanno indebolito il network, ma non possiamo dire che non sia più una minaccia nel medio-lungo periodo. Procederanno con più cautela, ma già in passato a periodi di pausa o di apparente indebolimento sono seguiti dei momenti di ripresa e di attacchi». L’Isis-K è un problema anche per l’Europa, seppur in maniera diversa. Mentre rappresenta una minaccia diretta per Pakistan e Afghanistan e più in generale per la regione grazie al network che ha saputo costruire, in Europa non ci sono delle vere e proprie cellule. «La minaccia sta nella pervasività della sua propaganda che può avere presa sui singoli, che potrebbero poi mettersi in contatto con il gruppo».

© Riproduzione riservata