È ricercata, insieme con il presidente russo Vladimir Putin, in 123 paesi del mondo. Si chiama Maria L’vova-Belova, 39 anni, commissaria per i diritti dei bambini della Federazione Russa, su cui pende – insieme a Putin – un mandato di arresto del tribunale internazionale dell’Aja per la deportazione illegale in Russia di migliaia di bambini ucraini.

PresaDiretta l’ha incontrata a Mosca durante le riprese del reportage che verrà trasmesso lunedì sera, 16 ottobre, su Rai3 alle 21.20, all’interno della puntata “La guerra dei bambini”: un viaggio tra la Russia e l’Ucraina, in cui verranno mostrate le pratiche di educazione patriottica messe in atto dal Cremlino e in cui verrà data voce ai famigliari ucraini ancora in cerca dei loro figli.

Secondo un report pubblicato a febbraio dai ricercatori dell’Università di Yale e intitolato “Il programma sistematico della Russia per la rieducazione e l’adozione dei minori ucraini”, dall’inizio della guerra i soldati russi dovevano trasferito più di 6mila bambini ucraini, di età compresa tra i 4 mesi ei 17 anni, in 43 strutture rieducative, dislocate in vari territori controllati dai russi (dalla Crimea alla Siberia) finalizzate all’indottrinamento politico e all’addestramento militare.

Per il governo ucraino i bambini deportati illegalmente in Russia sarebbero oltre 16mila. Di certo dal primo settembre dell’anno scorso sono state introdotte in tutte le scuole russe lezioni patriottiche obbligatorie, basate su testi di storia revisionati e a cui hanno partecipato anche i bambini ucraini arrivati in Russia dopo il 24 febbraio 2022.

A confermarlo è la stessa Belova, in questa intervista esclusiva. La fedelissima di Putin sostenendo la tesi del grande equivoco, tenta di ribaltare la realtà, prova a difendersi ridefinendo la deportazione in una missione umanitaria. Ma le accuse sono solide, spiegano fonti vicine all’inchiesta dall’Aja.

«I bambini che provengono dalle nostre nuove regioni dal territorio dell’Ucraina», dice, «ovviamente partecipano ai “dialoghi su quello che conta” (questo il nome scelto per le lezioni patriottiche, ndr), perché è un processo educativo, perché frequentano le nostre scuole. È una disposizione della legge russa». Belova è madre di dieci figli, cinque biologici e cinque adottivi, tra cui un ragazzo ucraino di Mariupol, è sposata con un prete ortodosso ed è anche affidataria legale di tredici bambini disabili.

Come intende difendersi dalle accuse di crimini di guerra?
«La Russia non riconosce la giurisdizione del tribunale penale internazionale, non aderisce allo Statuto di Roma, al pari della Cina e degli Stati Uniti, perché nel 2016 la Corte penale internazionale non ha riconosciuto la riunificazione con la Crimea e l’ha definita una occupazione. Queste accuse non hanno nessun valore. Non abbiamo visto nessuna prova. Ci chiediamo dove fosse la Corte nel 2014, quando sono iniziati i bombardamenti attivi nel Donbass, quando questi stessi bambini, che ora hanno trovato un ambiente familiare, erano all’interno dei rifugi antiatomici».

In realtà i giudici dell’Aia hanno avviato un procedimento a partire dal 2014 su eventuali crimini commessi da chiunque in Ucraina, ben prima dello scoppio della guerra e su questa indagine sostengono di aver raccolto centinaia di testimonianze dirette, fotografie e filmati che hanno permesso di stilare una lista dei rapiti.
Dopo il 24 febbraio 2022 circa 744mila bambini sono arrivati in Russia con i loro parenti o con i rappresentanti legali dei genitori. Tra loro c’erano 2mila bambini provenienti da orfanotrofi, collegi e case famiglia i cui genitori erano o morti o sollevati dalla patria potestà. Per quanto riguarda invece quei bambini che hanno parenti in Ucraina e ai quali abbiamo fornito assistenza per il ricongiungimento posso dire che sono al momento 16, appartenenti a nove famiglie. Finora abbiamo un solo elenco che ci è pervenuto dall’Ucraina e che comprende 11 bambini nella lista. Se all’improvviso dovessero presentarsi dei parenti stretti oi genitori noi ci attiveremmo per ricongiungerli con i loro famigliari. In realtà, solo 380 bambini sono rimasti nelle famiglie in Russia e circa 400 negli istituti nella grande Russia. Gli altri sono tutti tornati nella Repubblica popolare di Donetsk e di Luhansk. Tutte le accuse sono costruite solo sui dati forniti dall’Ucraina, spesso non verificati e falsificati.

In verità il Tribunale dell’Aja ha creato un modello per garantire neutralità e indipendenza, basato su squadre investigative comuni e su intese con le Nazioni unite, Eurojust, il Consiglio d’Europa, la Rete europea contro il genocidio e le varie autorità giudiziarie europee. Come può sostenere che si tratti di una montatura?
Quando cerchiamo di far conoscere il nostro punto di vista vediamo che nessuno è interessato ad ascoltarci. Abbiamo parlato in diverse occasioni al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ma quando è stato toccato a me intervenire, i rappresentanti di alcuni paesi hanno abbandonato l’aula con aria di sfida, dicendo che non erano disposti ad ascoltare una criminale internazionale. Ma mi sembra che la presunzione di innocenza non sia stata ancora abolita.

Vi accusano di aver modificato una legge per rendere più veloci sia il conferimento della cittadinanza russa ai bambini ucraini sia la procedura di adozione.
È più corretto parlare di affidamento temporaneo o di tutela, in quanto il minore mantiene tutti i propri dati personali e il proprio passato. Non diventa un figlio di sangue, ma è un figlio dello Stato, affidato a una famiglia per essere cresciuto temporaneamente o fino al diciottesimo anno di età. Abbiamo accordi di tutela e di custodia per concedere la cittadinanza agli orfani, affinché possano usufruire di tutte le garanzie sociali offerte dalla Federazione. La cittadinanza russa è stata data come seconda cittadinanza, con la maggiore età ogni ragazzo ha il diritto di scegliere se mantenerla o rinunciarvi. A questo scopo è stato emanato un decreto presidenziale sulla cittadinanza accelerata per i minori.

Sì, ma vi accusano di aver fatto passare i bambini deportati attraverso campi di filtrazione in attesa del trasferimento in Russia. Sono lager.
Non abbiamo campi di filtrazione. La comunità europea ha tratto questa conclusione da alcune foto satellitari. C’è anche un altro fraintendimento sul termine russo “lager”, campo, che viene percepito dalla comunità occidentale come una prigione, un campo di rieducazione, in realtà si tratta di una parola che indica una colonia estiva, dove i bambini trascorrono le vacanze. Sono una tradizione in Russia da oltre cent’anni.

Un rapporto dell’Università di Yale ha potuto documentare la deportazione di 6 mila bambini ucraini in 43 “strutture rieducative” russe, altre inchieste di Ong hanno parlato di oltre 16mila minori trasferiti in Russia di cui non si hanno notizie.
Ad oggi il vice primo ministro ucraino parla di 4.500 bambini, mentre il mio omologo ucraino indica la cifra di 16mila. Lo studio di Yale fornisce ancora altri numeri. Non esiste alcun allontanamento forzato. Eravamo davvero impegnati in una missione umanitaria. Abbiamo pensato alla sicurezza dei bambini. Quando è iniziata l’avanzata nella regione di Kherson, alcuni genitori hanno mandato volontariamente 2.500 bambini nei campi estivi, affinché non vedessero tutto questo orrore, affinché potessero rilassarsi. Ma ad oggi sono rimasti solo sei persone nei campi.

E l’opinione pubblica russa come ha reagito a queste accuse contro di lei?
Ho iniziato a ricevere minacce di vario tipo. Messaggi contenenti parole scurrili, pieni di bestemmie. Tradotti in un linguaggio non volgare hanno questo tenore: «Auguro a te e ai tuoi bambini di morire, sappiamo dove vivi e risponderai di tutti i tuoi crimini. Ti laverai con il tuo sangue. Il conto alla rovescia è iniziato». I messaggi sono in parte in russo e in parte in ucraino. Quello che sta accadendo non è un’accusa per dei crimini che abbiamo commesso, ma ha un significato diverso, un significato russofobico: è il desiderio di screditare la Russia e farla apparire come un paese aggressore, che può effettivamente commettere dei crimini contro i bambini. Mi sembra che emettere mandati d’arresto nei confronti del presidente e del responsabile dei bambini sia fondamentalmente una mancata volontà di negoziare pacificamente e di risolvere il conflitto. È di per se già una sfida.


Belova, sostenendo le tesi del Cremlino, ritiene il suo paese non aggressore ma vittima. Intanto Putin ha deciso di reagire contro i giudici della Corte penale internazionale: l’italiano Rosario Aitala, tra i più esperti nel campo dei crimini di guerra, è stato inserito nella lista dei ricercati in Russia. La risposta è un segno di debolezza, di chi teme l’indagine dell’Aja.

© Riproduzione riservata