Per provare a convincere Pechino a condannare il riconoscimento russo delle repubbliche separatiste del Donbass, Antony Blinken ha fatto leva sui princìpi che le leadership del partito comunista hanno sempre sbandierato per difendere gli interessi della Cina. Nel colloquio telefonico di ieri con il suo omologo cinese, Wang Yi, «il segretario ha sottolineato la necessità di salvaguardare la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina». Blinken non l’ha detto a Wang, ma è sottinteso: un domani potrebbe proclamarsi indipendente Taiwan, che la Repubblica popolare cinese rivendica come una sua provincia, ma il cui status internazionale è tuttora “congelato”.

Tuttavia Pechino non ha intenzione di schierarsi ufficialmente, tanto più ora che lo show-down di Putin l’ha messa in una posizione più scomoda, facendo precipitare una crisi che coinvolge Russia e Stati Uniti in Europa, in un anno – quello del XX congresso – nel quale le priorità del partito comunista sono spegnere l’epidemia di Covid-19 in patria, e contenere lo scontro con Washington.

Così se, da un lato, il protrarsi della crisi ucraina potrebbe alleggerire la pressione sulla Cina da parte dell’amministrazione Biden (che ha appena varato una nuova strategia indopacifica), dall’altro lato Pechino deve fare attenzione a non compiere passi falsi che potrebbero portarla sul banco degli imputati assieme alla Russia.

Ucraina paese amico

Alla riunione d’urgenza del Consiglio di sicurezza convocata lunedì notte a New York, l’ambasciatore alle Nazioni unite, Zhang Jun, si è limitato ad affermare che «la Cina invita tutte le parti coinvolte a continuare il dialogo e a cercare soluzioni ragionevoli per affrontare le reciproche preoccupazioni».

Con ogni probabilità, Pechino non riconoscerà le repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk. «La sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale di tutti i paesi devono essere salvaguardate perché questi sono i princìpi fondamentali nelle relazioni internazionali stabiliti dalla Carta delle Nazioni unite – ha dichiarato Wang sabato scorso alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza –. Questo è ciò che sostiene anche la Cina, senza alcuna eccezione per quanto riguarda l’Ucraina».

Va ricordato che con l’Ucraina – con la quale quest’anno ricorrono i 30 anni dell’allacciamento delle relazioni diplomatiche – la Cina ha ottimi rapporti e che proprio dalla marina militare di Kiev, nel 1998, ha acquistato quella che sarebbe diventata la sua prima portaerei, la “Varyag”, varata nuovamente nel 2012 dall’Esercito popolare di liberazione col nome di “Liaoning”.

Già nel 2014 Pechino si è astenuta sulla risoluzione redatta dagli Stati Uniti che invitava i paesi del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite a non riconoscere l’annessione della Crimea. Tuttavia anche la Cina non ha mai riconosciuto quel territorio come russo.

Il patto delle Olimpiadi

Da allora però le relazioni bilaterali tra la Russia di Putin e la Cina di Xi hanno compiuto un salto di qualità. Fino alla partnership strategica “senza limiti” sottoscritta dai due presidenti il 4 febbraio scorso, stigmatizzata dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, come «un palese tentativo di riscrivere le regole del nostro sistema internazionale». In quel documento la Cina si è espressa contro l’ipotesi di ulteriore allargamento della Nato a est, e a sostegno delle “giuste preoccupazioni” russe, ottenendo in cambio l’appoggio di Mosca sulle questioni di Taiwan e del Mar cinese meridionale.

Coerentemente con quest’impostazione, la Cina non si unirà al coro che invoca sanzioni contro Mosca, che ieri si è levato da Washington a Bruxelles. Ma nemmeno alzerà la voce per opporvisi, per non contraddire i princìpi che essa stessa invoca e per non inasprire lo scontro con Washington.

Il sostegno al suo “quasi-alleato” sarà materiale, attraverso l’aumento dell’acquisto di carbone, gas e petrolio russo, fonti energetiche delle quali l’Ue potrebbe presto ridurre l’importazione. Venerdì scorso Pechino e Mosca hanno raggiunto un’intesa per la fornitura di 100 milioni di tonnellate di carbone russo alla Cina. Per quanto riguarda il petrolio, la Russia è diventata il secondo fornitore di Pechino.

E poi ci sono gli accordi siglati in apertura delle Olimpiadi invernali, tra cui uno per vendere 10 miliardi di metri cubi di gas russo alla Cina, e un altro tra il colosso energetico russo Rosneft e la China National Petroleum Corporation per far arrivare 100 milioni di tonnellate di petrolio in Cina nei prossimi dieci anni. Inoltre potrebbe ripetersi lo schema del 2014, quando, dopo l’invasione della Crimea, diverse banche statali cinesi (tra le quali China Development Bank ed Export-Import Bank of China) hanno fornito prestiti a banche statali russe che erano state sanzionate dall’occidente.

Insomma, quando scatteranno le sanzioni conto Mosca e se la Germania dirà di no alla costruzione del gasdotto “Nord Stream 2”, il soccorso cinese sarà pronto ad alleviare le perdite della Russia.

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