Nel paese più popoloso del mondo il mercato dei filmati razzisti su internet ha dimensioni più vaste che altrove, anche perché i cinesi sono un popolo iper-connesso: oltre un miliardo di smartphone compulsati h 24 per ordinare il pranzo, fare acquisti, chattare e divertirsi online.

Questa premessa, non per sminuire la gravità dello scandalo esploso con un’inchiesta della Bbc (“Racism for Sale”) partita da un video, in rete già dal 2020, girato in Malawi da un cittadino cinese (tale Lu Ke) che ha pagato pochi spiccioli a un gruppo di bellissimi bambini africani per riprenderli mentre intonavano in coro, in mandarino, lingua sconosciuta ai piccoli, dunque a loro insaputa: «Sono un mostro nero con un basso quoziente intellettivo, yeah!». Ma semplicemente per porre il problema nel giusto contesto, anche perché ora il trend, sui social globali, è diventato: i cinesi sono razzisti, punto.

Lu Ke lo è senza alcun dubbio, davanti alla reporter della Bbc sputa sentenze che sembrano ispirate all’ideologia nazista, tipo: «Non avere mai pietà di loro, è così che devi trattare i neri», dove il sottinteso è “per fare affari”. Il giovane infatti aveva messo su un business – parte di un mercato molto più ampio – che proponeva, oltre a messaggi chiaramente razzisti, cartoline animate di auguri recitati in mandarino da bimbi africani per compleanni, festività nazionali e quant’altro, in vendita dai 10 ai 70 euro. Molto popolari in Cina, dove il pallore è tradizionalmente simbolo di nobiltà ed eleganza: per una parte della classe media che spende una fortuna in creme sbiancanti, gli africani con la pelle nera sono tuttora quanto di più esotico immaginabile.

Nancy Tembo, ministro degli Esteri del Malawi, ha dichiarato: «Ci sentiamo disgustati, mancati di rispetto e profondamente addolorati». E che a Pechino abbiano un problema lo testimonia anche la visita, martedì 14 giugno, del direttore generale del Dipartimento degli affari africani del ministero degli Esteri, che nel paese dell’Africa sud orientale ha assicurato che «la Cina già negli ultimi anni ha represso questi comportamenti online e continueremo a colpire questi video di discriminazione razziale in futuro».

La trasmissione della Bbc è diventata virale più dei video incriminati, e in gioco c’è l’immagine della seconda economia del pianeta in un continente nel quale Mao negli anni Sessanta mandava gli aiuti ai guerriglieri che hanno rovesciato i regimi coloniali e dal quale oggi la Cina di Xi Jinping importa (“saccheggia” accusano alcuni) preziose materie prime hi-tech, e nel quale esporta infrastrutture e investimenti greenfield, che danno lavoro ai giovani africani.

Se alcuni video di Lu Ke sono inguardabili parodie nazistoidi, anche la più ampia galassia delle immagini a pagamento per sollazzare cinesi con bambini africani utilizzati come burattini, che la nonna di una delle piccole comparse-vittime ha definito «sfruttamento della povertà», è tutt’altro che rassicurante. Perché ai cinesi che li acquistano e li guardano propongono lo stereotipo del povero africano a piedi nudi nel villaggio rurale, utilizzato per il divertimento di chi quella povertà se l’è appena lasciata alle spalle. Proprio mentre la Cina punta sulla upper middle class africana – la cui presenza si avverte sempre più numerosa a Pechino, Shanghai, Guangzhou, Shenzhen – per costruire un consenso internazionale attorno alle politiche di sviluppo del “socialismo con caratteristiche cinesi”.

UCRAINA

Telefonata Xi-Putin: la nostra partnership sempre più forte

Mercoledì 15 giugno Xi Jinping e Vladimir Putin hanno avuto un colloquio telefonico del quale a questo link si può leggere il resoconto dell’agenzia Xinhua. La conversazione tra il presidente russo e quello cinese si è svolta nel giorno del 69 compleanno di quest’ultimo, dunque, presumibilmente, è stato Putin a chiamare, anche per fare gli auguri a Xi, che lo ha definito «il mio migliore amico» e col quale si è incontrato 38 volte in meno di dieci anni. Si è trattato del primo dialogo tra i due leader dopo che Putin, il 25 febbraio scorso, aveva informato Xi dell’attacco all’Ucraina lanciato il giorno precedente.

  • Perché è importante

Quanti si aspettavano una mossa di Pechino per fermare l’offensiva russa sono rimasti delusi, perché l’impegno della Cina è apparso piuttosto vago. «Xi ha sottolineato che la Cina ha sempre valutato in modo indipendente la situazione sulla base del contesto storico e dei meriti della questione», riferisce Xinhua, «e ha promosso attivamente la pace nel mondo e la stabilità dell’ordine economico globale».

Secondo il presidente cinese «tutte le parti dovrebbero spingere per una soluzione adeguata della crisi ucraina in modo responsabile, e la Cina continuerà a svolgere il proprio ruolo per questo obiettivo». Ma la gran parte della conversazione dei due leader è stata dedicata alle relazioni bilaterali Cina-Russia, definite come sempre più solide in ogni ambito, mentre Putin ha affermato che «la Russia sostiene la nuova Iniziativa di sicurezza globale proposta da parte cinese, e si oppone a qualsiasi forza che interferisca con gli affari interni della Cina utilizzando come scuse, tra le altre, le cosiddette “questioni” del Xinjiang, di Hong Kong e di Taiwan».

  • Il contesto

Xi ha sottolineato che «dall’inizio di quest’anno, hanno mantenuto un solido slancio nonostante le turbolenze e i cambiamenti globali», e ha lodato la cooperazione economica e commerciale celebrando il ponte autostradale inaugurato venerdì 10 giugno, che collega la città cinese di Heihe con Blagoveshchensk, nell’estremo oriente russo.

A rafforzare la quasi-alleanza non è solo l’interscambio commerciale (gas, carbone e petrolio russo in Cina; macchinari, componentistica e hi-tech cinese verso la Russia), che nel periodo gennaio aprile 2022 ha toccato i 51 miliardi di dollari, in crescita del 25,9 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. A rendere più stretto l’abbraccio tra Pechino e Mosca sono soprattutto le tensioni internazionali che vedono entrambe le parti sempre più ai ferri corti con gli Stati Uniti. Non a caso Xi e Putin hanno ribadito l’impegno di entrambi per «compiere sforzi costruttivi per rafforzare la tendenza del mondo a diventare multipolare».

YUAN, di Lorenzo Riccardi

L’interscambio dell’Ue con la Cina è il più penalizzato dalla guerra

Nonostante l’impatto negativo delle draconiane misure anti-pandemia applicate in Cina, la leadership globale di Pechino nel commercio e nell’export resiste. A maggio, il totale dell’interscambio tra la Repubblica popolare cinese e il resto del mondo è stato pari a 538 miliardi di dollari, con un aumento di oltre l’11 per cento rispetto a maggio 2021. Il volume totale del trade nei primi cinque mesi è stato pari a 2.515 miliardi di dollari, con un incremento del 10,3 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

Le esportazioni nel periodo gennaio-maggio 2022 hanno raggiunto 1.403 miliardi di dollari, con una crescita del 13,5 per cento, e nel solo mese di maggio sono cresciute di circa il 17 per cento, raggiungendo i 308 miliardi di dollari.

Per quanto riguarda i dati sulle importazioni si possono cogliere vari trend; gli scambi con la Russia hanno portato a un incremento dell’import di maggio da Mosca dell’80 per cento (la Cina è infatti uno dei principali acquirenti delle risorse naturali e dei prodotti agricoli russi). Inoltre le relazioni economiche sino-russe crescono anche a causa delle misure occidentali, che hanno spinto la Russia a spostare la propria catena di approvvigionamento in Asia, dove su 48 paesi solo Singapore, Giappone e sud Corea hanno aderito alle sanzioni contro Mosca.

I dieci paesi dell’Associazione delle nazioni del Sud est asiatico (Asean) hanno mantenuto il loro ruolo di primo partner commerciale della Cina, con esportazioni di quest’ultima aumentate del 26 per cento (per un valore di 49,3 miliardi di dollari) e con la crescita maggiore registrata dall’Indonesia, con un incremento del 39,4 per cento negli scambi.

L’Europa risulta la più penalizzata dalla guerra in corso, con una riduzione delle importazioni cinesi dall’Ue pari al 9 per cento e un decremento del 19,1 per cento dell’import di prodotti italiani in Cina. Alla luce dei colloqui in corso con gli Stati Uniti riguardo la rimozione di alcune tariffe, nel mese di maggio 2022 le importazioni da Washington sono aumentate del 21,2 per cento, per un valore pari a 15,9 miliardi di dollari.

TAIWAN

Gli Usa rispondono alla Cina: «Lo Stretto è una via navigabile internazionale»

Martedì 14 giugno, il portavoce del dipartimento di Stato, Ned Price, ha dichiarato che «lo Stretto di Taiwan è una via navigabile internazionale, ovvero un’area in cui le libertà in alto mare, incluse quelle di navigazione e di sorvolo, sono garantite dal diritto internazionale». Il giorno precedente, il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Wang Wenbin, aveva sostenuto che «la Cina gode di diritti di sovranità e giurisdizione sullo Stretto di Taiwan» e che «non esistono acque internazionali per la Convenzione delle Nazioni unite sul diritto del mare. Affermando che quelle dello Stretto di Taiwan sono acque internazionali, alcuni paesi (gli Usa, ndr) vogliono creare un pretesto per manipolare la questione taiwanese e minacciare la sovranità e la sicurezza della Cina».

  • Perché è importante

Wang ha fatto capire a Washington che Pechino non gradisce il passaggio di navi da guerra Usa attraverso lo Stretto (160 chilometri nel suo tratto più corto) che divide l’Isola dalla provincia cinese del Fujian. Taipei, al contrario, lo invoca: «Sosteniamo le missioni per la libertà di navigazione degli Stati Uniti che aiutano a promuovere la pace e la stabilità nella regione», ha dichiarato la portavoce del ministero degli Esteri Johanne Ou. In uno Stretto costantemente solcato e sorvolato da mezzi militari di Pechino, sono concrete le possibilità di un incidente con le navi della VII Flotta Usa.

  • Il contesto

Secondo la leadership cinese, gli Stati Uniti starebbero abbandonando l’“ambiguità strategica”, il principio contenuto nel “Taiwan Relations Act”, che Washington approvò nel 1979 (contestualmente al riconoscimento della Repubblica popolare cinese), che non chiarisce se gli Usa scenderebbero in campo nel caso di un conflitto tra Pechino e Taipei: un’ambiguità che ha contribuito a dissuadere entrambe le parti dall’intraprendere forzature, da un lato verso la “riunificazione”, dall’altro verso l’indipendenza. L’ultima uscita in questo senso, dopo una serie di “gaffes” del presidente Biden, è stata quella del sottosegretario alla Difesa, Colin Khal, che, martedì 14 giugno, ha previsto che un’eventuale aggressione della Cina a Taiwan scatenerebbe una reazione come quella contro la Russia.

Lunedì 13 giugno il responsabile per la politica estera del partito comunista cinese, Yang Jiechi, ha incontrato in Lussemburgo il consigliere per la sicurezza nazionale Usa, Jake Sullivan, al quale ha comunicato che «i rischi aumenteranno se gli Usa continueranno a usare Taiwan per contenere la Cina e se Taiwan si appoggerà agli Usa per ottenere l’indipendenza». Il giorno precedente il ministro alla Difesa, Wei Fenghe, allo Shangri-La Dialogue di Singapore aveva dichiarato che Pechino si batterà «a tutti i costi» contro ogni sforzo di Taiwan di ottenere l’indipendenza.

Consigli di lettura della settimana:

Per questa settimana è tutto. Per osservazioni, critiche e suggerimenti potete scrivermi a: exdir@cscc.it

Weilai vi invita a seguire il futuro della Cina su Domani, e vi dà appuntamento a giovedì prossimo.

A presto!

Michelangelo Cocco @classcharacters

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