Nel domandarmi quali potranno essere le principali sfide geopolitiche 2023, non ho potuto non considerare l’imprevedibilità nella evoluzione degli scenari internazionali degli ultimi anni. Mi sono quindi imposto di non fare previsioni ma di limitarmi ad applicare una buona dose di osservazione e una qualche esperienza maturata nei contesti globali per individuare alcuni fronti che quasi certamente sarà necessario tenere sotto attenta osservazione nel prossimo anno. Escluderò volutamente quello della guerra tra Russia e Ucraina, del quale ormai sappiamo quasi tutto, partendo da realtà apparentemente lontane da noi ma legate come in un gigantesco domino a quanto accade attorno ai confini dell’Europa e dentro l’Europa stessa, Ucraina compresa.

Estremo oriente

Ritengo che uno dei contesti più critici sia quello del mar Cinese orientale e meridionale, da anni caratterizzato dalle mire espansionistiche cinesi. Il Quad (Quadrilateral Security Dialogue), nato tra Giappone, India, Australia e Usa come forum sulla sicurezza della regione indo-pacifica e allargato nel 2021 a Corea del Sud, Nuova Zelanda e Vietnam, aggrega oggi paesi che detengono circa il 30 per cento del Pil mondiale.

Il cosiddetto Quad+, rappresenta una sorta di Nato dell’estremo oriente e costituisce uno strumento di deterrenza nei confronti della Cina, anche in vista di potenziali deterioramenti del suo rapporto con Taiwan. È auspicabile però che dalla deterrenza si passi a un detensioning nei confronti di Pechino.

L’atteggiamento recente di Joe Biden, che – almeno sotto il profilo internazionale – si rivela meno debole di quanto potesse apparire all’inizio del suo mandato, sembrerebbe andare in questa direzione. Una tendenza alla normalizzazione dei rapporti tra Washington e Pechino indebolirebbe l’asse Cina-Russia, fatto potenzialmente decisivo anche per la risoluzione del conflitto tra Russia e Ucraina. Il quadrante del Far East, così geograficamente lontano da noi, è una delle tante dimostrazioni che in un mondo globale la sicurezza non può più essere concepita come un fatto solo locale o regionale.

India

Il peso dell’India crescerà in modo importante nel prossimo futuro e il posizionamento di questo grande paese nel contesto globale sarà cruciale. L’atteggiamento finora ondivago di Narendra Modi rispetto al conflitto in Ucraina non potrà continuare a lungo e se, come auspicabile, prevarrà la sua volontà di guardare a ovest, l’India potrà spostare in modo sensibile gli equilibri a favore delle democrazie occidentali.

Grande nord

Già da alcuni anni si assiste al posizionamento strategico dei principali attori geopolitici per il controllo di questa grande regione, nella quale lo scioglimento dei ghiacci rende accessibili immense risorse naturali e apre nuove vie di navigazione, destinate a spostare i traffici commerciali verso nord. L’Artico può diventare una opportunità per il pianeta o trasformarsi in luogo di nuovi conflitti. In questo momento l’elemento più inquietante consiste nel fatto che la maggior parte dello sviluppo costiero appartiene alla Russia.

Iran

Le tensioni mai sopite, anzi crescenti tra il mondo sciita e quello sunnita rischiano di costituire nuovamente un terreno fertile per il terrorismo islamista di diverso segno e rappresentano un fattore di forte preoccupazione per la sicurezza di Israele. Tuttavia stanno emergendo nella società iraniana nuove istanze che potrebbero disegnare uno scenario nuovo nella complessa regione medio-orientale. Se il desiderio di libertà che sta emergendo da parte di frange sempre più ampie della popolazione iraniana dovesse – nonostante le terribili forme di repressione del regime – dare vita a una nuova stagione non più improntata al fanatismo religioso, certamente ne beneficerebbe l’equilibrio dell’intera regione, oggi condizionata dalla sanguinosa guerra in Yemen e dalle drammatiche situazioni di paesi come Siria e Libano.

Afghanistan

Il mondo sembra aver rapidamente dimenticato il dramma che l’Afghanistan sta vivendo con il ritorno al potere dei Talebani, frutto di un ritiro delle truppe occidentali voluto da Trump per ragioni elettorali e concluso frettolosamente da Biden per motivi della medesima natura. Aver chiuso gli occhi di fronte a uno scenario ampiamente prevedibile è una grave responsabilità dell’occidente. Oltre a un ormai vistoso arretramento sul fronte dei diritti umani e della modernizzazione che era in atto, il paese rischia di diventare nuovamente il rifugio del terrorismo internazionale, oltre che fonte di continue fughe di disperati verso l’Europa.

Conflitti congelati

Le situazioni di Georgia, Transnistria, Nagorno-Karabakh, le tensioni crescenti nei Balcani occidentali, in particolare tra Serbia e Kosovo, e la stessa presenza russa in Siria e nel Mediterraneo rappresentano serie minacce ai confini dell’Europa. Esse sono state volute o favorite da Putin, nel suo intento di esportare instabilità ai confini del proprio impero ed egli è in grado di controllarle o di influenzarle pesantemente. L’imprevedibilità delle mosse dello stesso Putin, ormai messo alle strette da una guerra in Ucraina che gli si sta ritorcendo contro, lancia inquietanti ombre sul destino di questi conflitti locali o regionali, che potrebbero riaccendersi in modo rapido e violento.

Africa

Il fronte africano è sempre più caldo, politicamente ed economicamente. Solo l’Europa può contrastare la dilagante manovra neo-coloniale che ha come protagonista principale la Cina, ma che negli ultimi anni ha visto un crescente protagonismo della Turchia e della stessa Russia.

Se gli scandali che stanno minando la credibilità delle istituzioni europee – e che coinvolgono proprio paesi della regione mediterranea e persino ong umanitarie – dovessero rallentare ulteriormente il già faticoso processo di sostegno europeo allo sviluppo dell’Africa, la situazione di dominio geopolitico sul continente da parte del blocco orientale potrebbe diventare irreversibile.

Mi rendo conto di aver spaziato su fronti molto variegati che, tuttavia, presentano un denominatore comune: la contrapposizione tra democrazie e autocrazie. Nel governo degli sviluppi di questi scenari, sono proprio le democrazie occidentali ad avere la più forte responsabilità, a partire da Stati Uniti d’America e Unione europea.

Tre condizioni

In questo senso, vedo – tra le altre – tre condizioni importanti, se non essenziali: Usa e Ue devono smettere di rapportarsi nella logica di contrapposizione politico-economica iniziata da Trump per tornare a concepirsi come le due facce della stessa medaglia: quella di alfieri dei valori democratici. In questo senso c’è un buon punto di partenza, ed è quella Alleanza Atlantica che costituisce una delle poche certezze di oggi: nonostante alcuni inevitabili limiti, la capacità della Nato di adattarsi a scenari in continua evoluzione ne consolida l’autorevolezza, facendone probabilmente il più importante security provider presente oggi sulla scena globale; il multilateralismo deve cominciare a reinventarsi, rinnovandosi profondamente nelle proprie regole e nelle proprie strutture, a partire da Onu e Ue, prigioniere rispettivamente del diritto di veto e del principio del consenso, che troppo spesso ne rendono scarsamente efficace l’azione; la terza condizione è certamente la più difficile: le nostre democrazie devono uscire dalla logica, non scritta ma purtroppo reale, secondo la quale la politica internazionale di un paese subisce pesantemente il condizionamento dei problemi di politica interna, si tratti delle elezioni o del gradimento dei leader. Il combinato di pandemia e guerra dovrebbe ormai aver fatto capire che deve accadere il contrario, cioè la situazione internazionale deve guidare le scelte di politica interna di un governo degno di questo nome.

Per affrontare questi difficili scenari servono leader veri. Giova sempre ricordare che la più celebre frase di Alcide De Gasperi fu proprio quella pronunciata davanti ai potenti del mondo nella conferenza di pace di Parigi il 10 agosto 1946. Egli si presentò come leader di un paese nemico e sconfitto con un discorso storico, aperto da un commovente incipit: «Prendendo la parola in questo consesso mondiale, sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me». Solo un gesto spezzò il gelido silenzio che aveva accolto la fine del suo intervento: una stretta di mano, l’unica. Ma la più importante: quella del segretario di Stato americano James Byrnes.

Da quelle parole e da quella stretta di mano ebbe inizio la ricostruzione dell’Italia. Che il 2023 porti al mondo il dono di statisti all’altezza dei tempi, che, come De Gasperi, sappiano anteporre l’interesse per il bene comune ai propri, sempre egoistici e spesso miserevoli, obiettivi personali.  

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