L’ultima tendenza a livello internazionale, avviata dagli Stati Uniti e in corso ora anche in Europa, è quella di ridurre la durata dell’isolamento in caso di contagio da Covid. Hanno iniziato gli Usa dimezzando i tempi da dieci a cinque giorni. In Unione europea l’Italia è tra i primi paesi che si sono avviati verso un taglio secco della quarantena.

La Spagna ha scelto ieri una strada intermedia: isolamento di sette giorni invece dei soliti dieci. L’obiettivo dichiarato di queste iniziative è evitare la paralisi: mentre i vaccini hanno ridotto notevolmente casi gravi e decessi, al contempo i contagi, che con Omicron si diffondono più che mai, hanno raggiunto livelli inediti.

Il dibattito internazionale

Il contesto della pandemia cambia, e così anche politiche. La questione in agenda ora non è più solo come evitare che le terapie intensive si saturino, ma anche come garantire che il personale sanitario e dei servizi essenziali non si ritrovi in larga parte chiuso in casa portando i paesi al blocco. Ma la scelta di ridurre il tempo di isolamento, ancor più se non c’è un test negativo che conferma la guarigione, trova resistenze nella comunità scientifica, a cominciare dagli Usa dove il trend è iniziato. La prima ragione riguarda l’efficacia stessa. «Se si esce troppo presto dall’isolamento si creano ulteriori occasioni di contagio e questo finisce per accelerarli invece di arginarli», è il commento di Yonatan Grad, immunologo ad Harvard: «Mi pare una scelta più dettata dall’economia che dalla scienza». E questa è la seconda ragione di perplessità, anche in Europa. In Germania i media tornano a discutere del rischio «che l’economia prenda il sopravvento sulla salute»: la questione è posta anche dagli epidemiologi berlinesi, come Tobias Kurth che ammonisce: «Questa è una politica economica, non certo di salute pubblica».

Gli Usa apripista

(Joe Biden. Foto AP)

La decisione di Washington di tagliare la durata dell’isolamento è stata ufficializzata lunedì. Proprio il 27 dicembre gli Stati Uniti hanno superato il livello di contagi giornalieri mai raggiunti da inizio pandemia: oltre mezzo milione. Nello stesso giorno i decessi sono stati la metà rispetto al picco raggiunto a gennaio 2021; ma il livello di contagi ha comunque sottratto forza lavoro, anche negli ospedali. L’agenzia federale che si occupa di salute pubblica, il Centers for Disease Control and Prevention, ha motivato così la decisione di ridurre il tempo di quarantena per positivi asintomatici da dieci a cinque giorni: «Sulla base di quel che sappiamo sul Covid e su Omicron, la trasmissione del virus avviene soprattutto agli esordi della malattia, di solito uno-due giorni prima che si manifestino i sintomi e nei due-tre seguenti». Il Cdc non ha pubblicato i dati su cui si è basato, e gli studi noti che citano questa tempistica non escludono che dopo il terzo giorno si possa comunque infettare altri. Il nuovo schema negli Usa funziona così: tutti coloro che risultano positivi al test, vaccinati e non, devono stare a casa per cinque giorni. Se per quella data non hanno sintomi, sono liberi, con mascherina. I vaccini cambiano le cose invece nel caso in cui si è stati a contatto con un positivo e per cautela ci si deve mettere in quarantena. Se le prime due dosi sono state fatte entro sei mesi, o si ha pure il richiamo, allora non bisogna neppure stare a casa: basta portare la mascherina per dieci giorni e, «se possibile», fare un tampone al quinto. Solo se si ha febbre è indicato esplicitamente di restare isolati.

Non vaccinati e senza test

(Una indicazione che i tamponi sono esauriti a Dummerston, negli Usa, il 29 dicembre. Foto AP)

Chi non è vaccinato, o non nei tempi indicati, deve stare a casa per cinque giorni, ma «se non può chiudersi, usi la mascherina». Anche per questa categoria il test al quinto giorno è solo un optional. Proprio il fatto che l’agenzia federale non pretenda un tampone negativo prima del “liberi tutti” è il principale motivo di opposizione da parte degli scienziati. La direttrice dell’agenzia federale, Rochelle P. Walensky, giustifica la scelta col fatto che «i test rapidi non sono abbastanza efficaci per una diagnosi». Il motivo reale è che anche gli Usa sono a corto di tamponi, e se le istituzioni ne pretendono l’utilizzo poi devono anche garantirli.

Le decisioni in Europa

(Il premier spagnolo. Foto AP)

Ieri in Spagna il ministero della Salute ha deciso di portare i giorni di isolamento dei contagiati da dieci a sette. Per il premier Pedro Sánchez si tratta di un «equilibrio tra salute pubblica, salute mentale e crescita economica». Il presidente Emmanuel Macron, in una Francia che si confronta con un livello di contagi giornalieri mai visti prima né nel paese né in Europa, cioè 200mila, punta molto sul lavoro da casa: tra le misure introdotte lunedì c’è l’obbligo di smart working per almeno tre giorni a settimana per ogni professione in cui sia possibile. Ma visto che, come stima lo stesso ministro della Salute, «con questi numeri il dieci per cento di francesi è a contatto con un positivo», sono alte le chance che anche la Francia stringa i tempi di quarantena. Al di là della Manica, c’è il primo paese ad averlo fatto in passato, e cioè il Regno Unito. È stato Boris Johnson un anno fa a portare i giorni da 14 a 10. Ieri, con Omicron che rischia di svuotare del 40 per cento il personale degli ospedali londinesi, ha ridotto ulteriormente a sette giorni. Ma la fronda anti restrizioni lo incalza perché passi a cinque come gli Usa.

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