Una “significativa avanzata dell’estrema destra” che riflette l’insoddisfazione degli elettori nei confronti delle “élite lontane” di Bruxelles, nonché dei governi nazionali. È questa la lettura che i media ufficiali di Pechino danno dei risultati del voto dello scorso fine settimana per il rinnovo del parlamento europeo.

Un’interpretazione che risente della necessità della propaganda di evidenziare il “disordine” delle democrazie, che viene contrapposto all’armonia del socialismo con caratteristiche cinesi. Inoltre, secondo il Global Times, «chi diventerà il prossimo presidente degli Stati Uniti avrà un impatto più diretto e influente sui legami dell’Ue con la Cina rispetto alle elezioni parlamentari dell’Ue». Eppure le relazioni Ue-Cina non possono essere viste solo attraverso la lente statunitense. Nel 2023 la Cina si è confermata il primo partner commerciale dell’Unione, con un interscambio pari a 739 miliardi di euro. Sulle relazioni tra i due blocchi aleggia lo spettro dell’inchiesta della Commissione, che a breve potrebbe aumentare i dazi sulle auto elettriche made in China importate nell’Ue, una decisione che rischia di peggiorare le relazioni bilaterali.

Nell’attesa di questo importante verdetto, per avere un punto di vista cinese sulle conseguenze delle elezioni europee abbiamo intervistato Jing Men, direttrice del Centre for European Studies della School of Politics and International Relations della East China Normal University di Shanghai.

Dopo le elezioni del 6-9 giugno, si potrebbe formare ancora una maggioranza tra popolari, socialisti e liberali, ma in stati fondamentali come Francia e Germania l’avanzata della destra ha prodotto un terremoto politico. Quali ripercussioni possono avere il successo delle destre e la frammentazione politica sull’aspirazione dell’Unione europea a diventare una superpotenza nell’era della rivalità Cina-Usa?

Non sono sicura che l’Ue abbia l’aspirazione di diventare una superpotenza nell’era della rivalità Cina-Usa. L’Ue intende perseguire un’autonomia strategica rispetto alla rivalità Cina-Usa, ma a causa della guerra Russia-Ucraina l’Ue è diventata più dipendente dagli Stati Uniti e dalla Nato. E così l’autonomia strategica si è trasformata in una parola vuota. L’ascesa dei partiti radicali crea maggiori difficoltà all’Ue nello sviluppare una solidarietà europea, gettando un’ombra sul futuro sviluppo dell’Ue.

Qual è il suo giudizio sulla politica della Commissione von der Leyen nei confronti della Cina? Si aspetta che il prossimo esecutivo comunitario continuerà con la politica del cosiddetto “de-risking” o ci sarà qualche cambiamento?

Da quando von der Leyen è diventata presidente della Commissione europea, ha adottato una politica più assertiva nei confronti della Cina, portando le relazioni bilaterali ulteriormente verso una traiettoria discendente. Tuttavia, anche se von der Leyen non sarà la prossima presidente della Commissione, la percezione negativa dell’Ue sulla Cina non verrà facilmente invertita. Le relazioni Ue-Cina continueranno a essere travagliate.

Con l’indebolimento di Macron e Scholz, la Cina non rischia di rimanere senza interlocutori nell’Unione europea?

I leader politici vanno e vengono. Nel bene o nel male, le relazioni Ue-Cina continueranno a evolversi. Gli interlocutori tra Ue e Cina sono certamente necessari, ma ciò che è più importante sono gli interessi comuni tra le due parti. Se Bruxelles e Pechino concordano sull’esistenza di interessi comuni, non esiteranno a lavorare assieme. Se invece Bruxelles percepirà Pechino più come un concorrente, gli interlocutori non riusciranno a invertire l’attuale tendenza.

Qual è la ragione o le ragioni fondamentali per cui, dallo scambio di sanzioni nel 2021, le relazioni tra Cina e Ue si sono tanto raffreddate?

Il motivo fondamentale è che l’Unione europea ha ridefinito il suo rapporto con la Cina, da “partner” a “rivale sistemico”. Per questo motivo l’Ue è cauta riguardo alla sua cooperazione con la Cina. Al contrario, l’Unione europea pone l’accento sulla sicurezza economica e tende a seguire una politica di “de-risking”.

Non crede che sul piano ideologico ci sia una certa comunanza tra il “sovranismo” tipico di alcune destre europee – cioè l’idea del ritorno a Stati nazionali forti, con leadership forti capaci di rifiutare “ingerenze esterne”, politiche, economiche e giurisdizionali – e l’idea di “sovranità” promossa dalla diplomazia di Pechino?

Per la verità, ci vedo più differenze che punti in comune. Gli stati membri dell’Ue sono stati integrati in un mercato unico in cui parte della sovranità è stata affidata alle istituzioni europee, secondo una serie di trattati giuridicamente vincolanti. Ora che alcuni partiti radicali in alcuni stati membri intendono invertire tale processo, ciò creerà grandi difficoltà al futuro dell’integrazione europea. La Cina, al contrario, non ha trasferito la propria sovranità ad alcuna organizzazione regionale.

Siamo in attesa del verdetto della Commissione sulle auto elettriche importate dalla Cina. Pechino ha avvertito che, se l’Ue aumenterà i relativi dazi, reciprocherà. Esiste il rischio di una guerra commerciale tra Ue e Cina?

Quello delle guerra commerciale è lo scenario peggiore. Tuttavia, la guerra commerciale non è conforme agli interessi né dell’Ue, né della Cina. In passato ci sono state controversie commerciali tra l’Ue e la Cina, che i due blocchi sono riusciti a risolvere tramite negoziati. La speranza è che anche questa volta Bruxelles e Pechino riescano a trovare una soluzione.

In definitiva, la leadership di Pechino come giudica il processo di integrazione europea e con quale tipo di Unione europea preferirebbe avere a che fare?

Pechino ha sempre sostenuto il processo di integrazione europea perché, dal suo punto di vista, un’Ue più forte è nell’interesse della Cina, che è quello di dar vita a un mondo multipolare. Pechino vorrebbe vedere un’Ue più indipendente dall’influenza degli Stati Uniti. La speranza della Cina è di cooperare con l’Ue per ostacolare l’egemonia statunitense.

© Riproduzione riservata