I leader della vecchia Europa fanno muro dopo la richiesta del segretario Nato, Jens Stoltenberg, di dare il via libera agli attacchi con armi Nato in territorio Russo. «Io non so perché Stoltenberg dica una cosa del genere. Penso che bisogna essere molto prudenti», ha detto ieri la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Altrettanta freddezza arriva dalla Germania, il cui governo fino ora ha bloccato il trasferimento di armi a lungo raggio in Ucraina proprio per il timore che vengano usate per attaccare bersagli in Russia.

Proprio nei giorni in cui l’amministrazione Usa sembra pronta a dare il suo via libera – anche se il presidente Joe Biden è ancora scettico – gli europei irrigidiscono le loro posizioni nel timore che usare armi Nato per colpire obiettivi in Russia possa generare un’escalation imprevedibile. Ma senza questo via libera e senza un ulteriore impegno degli alleati, Kiev sembra destinata a una lenta sconfitta sul campo di battaglia.

Le armi Nato

La questione degli attacchi sul suol russo non si può comprendere appieno senza considerare l’annuncio fatto ieri dal presidente ucraino, Volodymyr Zelensky: l’esercito russo starebbe preparando una nuova offensiva nella regione di Sumy, appena due settimane dopo l’inizio di un nuovo attacco a Kharkiv, a circa un centinaio di chilometri di distanza. Per ora, gli analisti escludono un collasso del fronte ucraino e la perdita di grandi città. Ma questi nuovi attacchi confermano che il regime russo ha il potenziale per proseguire il conflitto a questo livello di intensità per un tempo apparentemente indefinito, mentre le forze armate ucraine sono a corto di uomini, materiali e munizioni.

È sotto questa lente che va letta l’offensiva diplomatica lanciata dalle autorità ucraine e dai loro più decisi sostenitori affinché Stati Uniti e Nato diano un esplicito via libera all’utilizzo degli armamenti occidentali per attaccare in profondità il territorio russo. Dal punto di vista tattico-militare, significa la possibilità di utilizzare missili come i francesi Scalp e i britannici Storm Shadow, lanciati da aerei e con oltre 250 chilometri di raggio, e gli Atacms americani, lanciati dai veicoli terrestri Himars e Mars, con un raggio di 300 chilometri, per colpire i punti di concentramento, gli snodi logistici e persino le postazioni di artiglieria delle truppe russe impegnate nelle nuove offensive, che si trovano immediatamente al di là del confine.

Con missili a lungo raggio francesi, britannici e americani, Kiev potrebbe anche colpire alcune delle basi aeree russe più vicine al confine, costringendo l’aviazione del Cremlino ad allontanarsi ulteriormente dai suoi bersagli e a investire ulteriori risorse nella difesa aerea, rendendo così meno difficili gli attacchi aerei che continuano a prendere di mira le città ucraine, causando spesso numerose morti tra i civili, come quello avvenuto sabato contro un centro commerciale di Kharkiv, in cui sono morte almeno 14 persone.

Gli ucraini dicono che in questo tipo di azioni non ci sono rischi di escalation: da oltre due anni usano i loro armamenti per colpire obiettivi in territorio russo e hanno già usato missili antiaerei americani per abbattere aerei in volo sul territorio russo. Chi scatenerebbe una guerra atomica solo perché perché qualche centro di comando in più viene distrutto oltre il confine?

Il via libera agli attacchi non produrebbe da solo vantaggi determinanti in grado di cambiare l’esito del conflitto. La Russia ha dimostrato di essere in grado di difendersi e attaccare in Donbass e Ucraina meridionale, dove Kiev usa regolarmente le armi a lungo raggio fornite dalla Nato per colpire le retrovie nemiche, visto che il teatro di operazioni si trova quasi interamente sul suolo ucraino occupato. Ma il via libera fornirebbe comunque agli ucraini un vantaggio in più in un momento in cui hanno bisogno di tutto l’aiuto che riescono a raccogliere.

Per questa ragione, sono in molti a ritenere che è il momento di abbandonare una restrizione tattica ormai superata. Il governo del Regno Unito ha già dato il suo via libera e ieri lo ha fatto quello della Svezia.

L’escalation

Molti altri leader europei e lo stesso presidente Biden, però, restano comunque scettici se non ostili all’idea di abolire il divieto e temono l’uso di armi Nato in Russia possa innescare una nuova spirale di escalation dagli esiti imprevedibili. In diverse occasioni, Kiev ha finito involontariamente con l’alimentare questi timori.

Pochi giorni fa, l’aviazione ucraina ha colpito un radar che fa parte del sistema di allarme nucleare russo, un’infrastruttura chiave per consentire l’avvistamento di un attacco con missili atomici intercontinentali e quindi permettere una risposta prima che sia troppo tardi. Come avrebbe reagito un leader paranoide come Putin se a colpire uno di questi sistemi fosse stato un missile di fabbricazione americana?

L’appetito nei confronti dei rischi del governo ucraino è già stato in passatto oggetto di dibattito tra le agenzie di intelligence e nei corridoio diplomatici. Il sabotaggio del gasdotto Nord Stream, che in molti attribuiscono alle forze armate ucraine, le incursioni in territorio russo degli oppositori del regime armati dall’intelligence ucraina e gli attacchi contro raffinerie e centrali elettriche sono tutte operazioni che sono state sconsigliati più o meno pubblicamente dagli alleati dell’Ucraina, ma che comunque le autorità di Kiev hanno ritenuto fosse prioritario portate avanti.

Il punto è che con una situazione militare sempre più complicata e un regime russo che appare in grado di mantenere l’attuale sforzo bellico senza difficoltà, almeno sul breve-medio periodo, Kiev ha bisogno di un coinvolgimento ancora più massiccio dell’occidente.

Ma questo coinvolgimento non sembra politicamente appetibile. Le aperture del presidente francese Emmanuel Macron all’invio di truppe in Ucraina sono state accolte con una reazione sdegnate di quasi tutti i leader dell’alleanza. Gli Stati Uniti hanno bloccato i loro aiuti militari per oltre sei mesi a causa delle loro divisioni politiche interne e la situazione in futuro non sembra destinata a migliore. Persino alleati strettissimi di Kiev, almeno a parole, come i polacchi, si rifiutano di abbattare droni senza pilota e missili che colpiscono l’Ucraina passando vicinissimi al loro confine.

Questo è il secondo aspetto, politico più che militare, dell’intera questione. In questo scenario, potrebbe diventare un’opzione non così peregrina per Kiev cercare di “forzare” la mano agli alleati, colpendo obiettivi in Russia che spingano il regime di Putin a una reazione tale da causare a loro volta una risposta della Nato.

Negoziati

Secondo un’esclusiva dell’agenzia Reuters, la scorsa settimana diversi funzionari del Cremlino avrebbero segnalato la disponibilità di Putin ad aprire negoziati sull’Ucraina. Senza l’arrivo di un fattore esterno che cambi l’equilibrio sui campi di battaglia, l’incerta strada di un negoziato alle condizioni di Putin, presto o tardi, sarà l’unica alternativa per Kiev. Ma per ora, le basi di partenza di una qualsiasi trattative sono inaccetabili per la leadership ucraina e per una parte sostanziale della sua popolazione. Oltre alla rinuncia ai territori attualmente sotto occupazione, cioè un quinto dell’intera superficie ucraina, gli emissare di Putin chiedono la rinuncia formale all’adesione alla Nato e un ridimensionamento delle forze armate ucraine. In sostanza, la piattaforma di richieste che costituiva la base della proposta russa durante i colloqui di pace della primavera-estate 2022.

A questo potrebbe anche aggiungersi la richiesta di rimuovere Zelensky. Putin ha già dichiarato che, con il suo mandato scaduto la settimana scorsa, il presidente ucraino è formalmente «illegittimo» e che con lui la Russia non può trattare, poiché qualsiasi leader ucraino successivo potrebbe sconfessare gli eventuali accordi di pace.

In altre parole, condizioni che appaiono impossibili da accettare. Il che significa che la guerra è destinata a continuare. E a Kiev non resta che sperare che cambi qualcosa.

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