Dopo la seconda visita lampo di sabato a Kiev della presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, nei prossimi giorni toccherà ai leader di Italia, Germania e Francia. L’Europa a tre cilindri e non più a due, va a Kiev per mostrare solidarietà all’Ucraina in guerra e dimostrare che il tentativo del Cremlino di dividere l’Europa è fallito. Ma il trio europeo, in procinto di andare a Kiev, è così coeso nei suoi obiettivi strategici? Non pare proprio. Il presidente francese, Emmanuel Macron, è prudente sull’ingresso di Kiev nella Ue proprio perché la Francia è prostrata e sta andando al voto legislativo a due turni. Se il presidente dovesse perdere la maggioranza parlamentare, si andrebbe alla cosiddetta “coabitazione” con Jean-Luc Mélenchon della France Insoumise, cioè un pasticcio istituzionale dove l’inquilino dell’Eliseo in carica va a Bruxelles con il premier al seguito che, essendo espressione della gauche, la pensa in modo opposto. 

È già accaduto tre volte in Francia e l’ultima con il gollista Jacques Chirac e il socialista Lionel Jospin, ed è stato un motivo di ulteriore rallentamento, se non di paralisi, del già complesso sistema decisionale europeo. Se al ballottaggio del 19 giugno l’area politica di Macron uscisse sconfitta, il presidente in carica sarebbe di fatto azzoppato.

Macron spera di rinnovare il successo delle presidenziali prima di andare a Kiev. Quello delle legislative è un appuntamento cruciale per il presidente che, dopo la conferma all’Eliseo, vede a rischio la maggioranza di deputati sulla quale il governo poteva contare fino ad ora.

La prudenza di Scholz

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Anche il cancelliere tedesco, Olaf Scholz è prudente sul fronte delle sanzioni per l’import di petrolio e gas russo dove ha usato strumentalmente il veto ungherese di Viktor Orbán per evitare di prendere decisioni dolorose per la prima manifattura europea.

Scholz è ancora sotto l’ombra lunga della politica estera di amicizia e collaborazione di Angela Merkel verso Mosca, politiche utili per non far deragliare le fruttuose politiche mercantilistiche.

In questo quadro molto divisivo la prossima settimana la Commissione europea formulerà la sua opinione, sulla domanda di adesione dell’Ucraina. Poi toccherà al Consiglio europeo prendere la decisione all’unanimità.

Non sarà un confronto facile perché diversi paesi Ue sono cauti. In particolare tra i contrari, o comunque molto scettici, ci sono i pesi massimi, Germania e Francia.

Il presidente francese, Emmanuel Macron, già lo scorso mese aveva dichiarato che, pur concedendo lo status di paese candidato, ci vorranno anni se non decenni per concretizzare l’adesione. Per questo ha proposto la creazione di una «nuova comunità politica europea» che possa accogliere tutti quelli che vogliono unirsi al progetto europeo. Ma per Roberta Metsola, presidente del parlamento europeo la nuova comunità sarebbe «una specie di parcheggio per gli stati che vogliono unirsi all’Ue».

Il motore franco-tedesco in panne

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In questa situazione di semiparalisi del motore franco-tedesco Mario Draghi, come fece da governatore europeo nella crisi dei debiti sovrani con il suo “whatever it takes” il 26 luglio 2012, ha preso in mano il filo della trattativa con Vladimir Putin alla sua maniera: cercando di concentrarsi su obiettivi strategici come l’ingresso di Kiev nella Ue. Il premier nei giorni scorsi ha spiegato che fra i grandi paesi per ora solo l’Italia è a favore. L’Ucraina è consapevole delle difficoltà.

L’incontro della delegazione europea con il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky dovrebbe avvenire prima del summit del G7, in programma a fine giugno, tenendo conto che il 23 e 24 giugno c’è il Consiglio europeo che avrà all’ordine del giorno la richiesta di Kiev di ottenere lo status di candidato all’adesione all’Ue.

La partnership Pechino-Russia

Sull’Ucraina è intervenuta anche Pechino. Il ministro della Difesa, Wei Fenghe, parlando al vertice sulla sicurezza dello Shangri-La Dialogue di Singapore, ha affermato che «la Russia è un partner importante ma non un alleato. Pechino ha sostenuto i colloqui di pace e si è opposta alla fornitura di armi, mostrando pieno scetticismo sull'efficacia delle sanzioni».

Intanto i russi continuano ad avanzare nel Donbass. Bombardamenti russi sull’impianto chimico Azot nella città strategica di Severodonetsk hanno provocato lo scoppio di un violento incendio dopo una perdita di tonnellate di petrolio. All’interno dello stabilimento si trovavano circa 800 persone tra militari e civili.

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