La videoconferenza del 10 novembre tra il presidente Emmanuel Macron, i cancellieri tedesco e austriaco Angela Merkel e Sebastian Kurz, il premier olandese Mark Rutte, Ursula von der Leyen e Charles Michel per l’Ue, che aveva come tema il terrorismo in Europa alla luce dei recenti attacchi in Francia e Austria, ha prodotto qualche proposta sul controllo di internet e il rapporto con le comunità musulmane; ma il momento è stato più simbolico che operativo.

Von der Leyen ha annunciato un piano per promuovere l’integrazione di migranti e rifugiati; si scontrerà col rifiuto di paesi come Ungheria e Polonia a fare la loro parte.

La proposta di creare un organismo europeo per la formazione degli imam, arrivata dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel, incontra forte scetticismo tra gli esperti di radicalizzazione. Non è chiaro quale dottrina e interpretazione dell’islam questi imam europei dovrebbero studiare: sunnita, salafita quietista, sufi, della Fratellanza musulmana o una delle correnti sciite.

Inoltre, una scuola europea rappresenterebbe un tentativo di formalizzare una figura di semplice guida della preghiera e le persone a rischio radicalizzazione non seguirebbero questi imam istituzionali. La proposta pare perciò poco solida.

Gli imam radicali in Europa non costituiscono più la causa principale di radicalizzazione da anni. Le reti che operavano nelle moschee nei primi anni Duemila a Londra, Parigi, Milano o Berlino sono state smantellate. Gran parte dei radicalizzati di questi anni è vittima della propaganda online, oppure di gruppi di amici con predicatori improvvisati.

L'assenza

L’Italia non ha partecipato alla conferenza. Non è considerata dai partner europei come un paese strategico nella lotta al terrorismo, forse perché è l’Italia stessa a non considerare il contrasto del fenomeno come una priorità di sicurezza nazionale.

Prova ne è l’assenza di una legge sulla prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo, manca una strategia che coinvolga tutti gli attori sociali: famiglie, scuole, sport, associazionismo, comunità religiose, forze dell’ordine, assistenti sociali.

In questa percezione dell’Italia, le dichiarazioni di Luigi Di Maio non aiutano. Il ministro degli Esteri ha invocato un Patriot Act europeo, proposta giudicata inutile dagli esperti. Il Patriot Act americano, che autorizza misure molto invasive, si applica a un ordinamento giuridico uniforme ed è stato varato dopo l’11 settembre, in una situazione emergenziale. Un provvedimento simile a livello europeo non ha senso: persino per l’esecuzione dell’European investigation order (Eio) restano grandi ostacoli procedurali.

Per certi versi, è paradossale anche l’atteggiamento della ministra Luciana Lamorgese, che insiste sull’assenza di qualsiasi legame fra terrorismo e immigrazione, sostenendo che l’Italia non abbia responsabilità nel caso di Nizza. Salvo poi passare 40 minuti in conferenza stampa con l’omologo francese Gérald Darmanin, per spiegare come intenda aumentare la cooperazione antiterrorismo con la Tunisia e creare brigate miste al confine di Ventimiglia.

Benché l’Italia sia paese di primo approdo di alcuni terroristi infiltrati nel flusso migratorio, le statistiche dimostrano che la grande minaccia arriva da radicalizzati europei. L’Italia ha ancora numeri molto bassi al riguardo, il processo di integrazione è più recente e le seconde generazioni sono limitate, il numero di radicalizzati è minimo se comparato a quello della Francia (circa 22mila) o di altri paesi europei. Questo fattore, unito all’assenza di grandi attentati sul territorio italiano, forse ha contribuito a non coinvolgere il nostro paese martedì.

Le frontiere

Il fatto che il ministro dell’Interno francese Darmanin sia stato in visita prima in Italia, poi in Algeria e Tunisia, suggerisce che la Francia ci consideri con un ruolo più simile a quello dei paesi del Maghreb, legato al controllo delle frontiere, rispetto a quello dei paesi nordici, incentrato su misure di prevenzione interna.

L’agenzia europea Frontex nel 2016 aveva solo 750 dipendenti, entro il 2027 dovrebbe arrivare a diecimila. Sino al 2019, aveva molti ostacoli legali nel raccogliere e utilizzare dati personali dei migranti irregolari. L’anno scorso è stato siglato un piano d’azione tra Europol e Frontex per una condivisione delle informazioni nel database europeo di Europol, e per la creazione dell’European travel information and authorisation system gestito da Frontex; fornirà assistenza ai paesi membri sulla sicurezza esterna.

L’Italia, oltre a varare una legge sulla radicalizzazione, potrebbe fare la sua parte con un ruolo più assertivo nel controllo dell’immigrazione irregolare, il monitoraggio dei centri d’accoglienza, l’espulsione con accompagnamento alla frontiera e lo scambio sistematico, non più episodico, di intelligence con la sponda sud del Mediterraneo.

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