Oggi, martedì 9 agosto, ci sono le elezioni presidenziali in Kenya. La corsa è aperta per decidere chi succederà al presidente Uhuru Kenyatta che ha caratterizzato la vita politica del paese negli ultimi dieci anni. L’ormai prossimo ex presidente non può più ricandidarsi a causa della legge che limita la presidenza ai due mandati. Rimane però ancora una figura influente, mentre si teme che le elezioni possano portare a disordini, come già accaduto in passato, in un paese solitamente stabile ma che soffre molto i passaggi elettorali. Alle elezioni del 2007 infatti ci sono stati scontri che hanno portato a più di mille morti e 600mila sfollati

(AP Photo/Brian Inganga)
(AP Photo/Brian Inganga)

I candidati 

I principali candidati che si contendono la presidenza sono Raila Odinga, 77 anni, storico avversario di Kenyatta e leader dell’opposizione, e l’attuale vicepresidente William Ruto, 55 anni.

A stupire però sono state le scelte di Kenyatta che a partire dal 2018 ha portato avanti un percorso di riappacificazione con il suo rivale, culminato con l’appoggio allo stesso Odinga in queste elezioni, a discapito dell’attuale vicepresidente Ruto. 

La campagna elettorale 

La campagna elettorale si sta combattendo principalmente su temi economici. Uno dei temi più sentiti è come cercare di contrastare l’aumento del costo della vita, in un momento di crisi per il paese a causa dell’inflazione sui beni alimentari e sull’energia. L’economia keniota è comunque stabile e in crescita rispetto alla media dell’Africa subsahariana.

Ma anche su temi legati alla corruzione, indipendenza della magistratura e sugli abusi cleptocratici dei vari candidati. Ruto ha infatti cercato di delegittimare la coalizione di Odinga per l’influenza che Kenyatta avrebbe su di loro, ricordando il fatto che l’attuale presidente fa parte di una famiglia che si è arricchita grazie alla politica in Kenya. 

La prima vicepresidente donna 

Una novità che ha destato scalpore nella politica keniota è stata la scelta di candidare come vicepresidente nella coalizione di Odinga, Martha Karua, 64 anni, ex attivista per i diritti umani durante gli anni della dittatura tra gli anni Ottanta e Novanta, e iconica iron lady dei diritti delle donne nella politica del paese. Karua era già stata ministro della giustizia, ma si era dimessa in contrasto con delle scelte del suo governo nel 2009. Aveva inoltre già provato a candidarsi presidente arrivando però ad uno scarso 1 per cento. 

Ora è parte di questa inaspettata alleanza con alcune delle figure politiche che aveva contrastato durante i suoi anni in politica: Odinga, che ha accusato di pulizia etnica dopo le violenze post-elettorali del Kenya del 2007, e il presidente uscente Uhuru Kenyatta, che ha accusato di non aver affrontato la corruzione.

La scelta ha fatto discutere il mondo femminista keniota, anche se c’è chi crede che questo sia l’unico modo per cercare di avere un’influenza nel prossimo governo e rappresenterebbe comunque un momento importante per il paese. 

In Kenya vige la legge che almeno un terzo del parlamento dovrebbe essere composto da donne, ma la regola non viene rispettata. In queste settimane sono stati segnalati diversi episodi di violenza contro candidate donne in tutto il paese, come riportato da Al Jazeera. 

(AP Photo/Brian Inganga)

Le caratteristiche del Kenya

Il Kenya ha la terza economia dell’Africa subshariana con un Pil di 109 miliardi di dollari nel 2021, superata solo da Nigeria e Sudafrica e rappresenta un importante centro economico per l’area del East African Community, un mercato di 180 milioni di abitanti, di cui fanno parte Tanzania, Uganda, Rwanda, Burundi e Sud Sudan. Dal 2010 al 2021 ha registrato una crescita media del 4,7 per cento, superiore alla media della regione.

Risulta poi davanti all’Italia nella graduatoria della Banca Mondiale (Ease of Doing Business 2020), come contesto favorevole alle attività imprenditoriali. Il Pil del paese prima della crisi in Ucraina sarebbe dovuto crescere del 6 per cento e negli anni si è investito molto nello sviluppo infrastrutturale e tecnologico. L’area di Nairobi infatti è conosciuta anche come “Silicon Savannah”.

Parte delle fortune dell’economia keniota dipende dalla relativa stabilità politica. A differenza di molti dei paesi della regione, il Kenya non ha mai vissuto guerre civili o colpi di Stato. La politica del paese si basa su un forte presidenzialismo, che ha però lasciato spazio a libere elezioni e anche a una certa alternanza. Le divisioni etniche contano molto anche nella società e nella politica del paese ci sono infatti 111 gruppi etnici riconosciuti, di cui cinque fondamentali, chiamati per l’appunto i “big Five”:

  • i Kikuyu, 22 per cento della popolazione,
  • i Kamba 10 per cento,
  • i Luo 11,
  • i Luhya 14 
  • e Kalenjin 13 per cento.

I momenti però dove si sono registrati maggiori problemi sono però proprio i periodi elettorali dove si sono registrati episodi di violenza. Nel 2007 dopo le elezioni sono rimaste uccise almeno mille persone e 600mila hanno dovuto abbandonare le loro case, in quello che aveva in parte le caratteristiche di uno scontro etnico. 

Ora si teme che ci possano essere altri scontri di questo tipo, anche perché i Kikuyu, classe dirigente del paese, che esprimevano il presidente con Kenyatta, perderanno la leadership. L’elezione infatti vedrà scontrarsi Ruto (un Kalenjin) e Odinga (un Luo). Chi sosterranno i Kikuyu e se ci saranno violenze si vedrà tra pochi giorni, dopo il voto del 9 agosto. 

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