A pochi giorni dal tour in medio oriente di Joe Biden, il presidente iraniano Ebrahim Raisi riceve oggi a Teheran il capo di Stato russo Vladimir Putin e l’omologo turco Recep Tayyip Erdogan.

La scelta di incontrarsi nella capitale iraniana, così come di programmare il trilaterale proprio in questi giorni, non è certo casuale. L’obiettivo di Putin, che compie il suo secondo viaggio all’estero dallo scoppio della guerra in Ucraina, è quello di rafforzare i legami con l’Iran, ugualmente colpito dalle sanzioni americane e isolato sul piano internazionale, e con la Turchia, unico paese Nato con cui Mosca intrattiene tutt’ora buoni rapporti.

Diversi i temi all’ordine del giorno: dalla Siria, alla guerra in Ucraina, passando per i rapporti economici e diplomatici in un’ottica di rafforzamento di un asse che - soprattutto per la Russia - deve rappresentare un’alternativa a quell’Alleanza atlantica di cui fa comunque parte la stessa Turchia, oggi presente a Teheran.

Iran-Russia

Il trilaterale è un chiaro messaggio per il presidente Usa, che negli ultimi giorni ha viaggiato tra Israele ed Arabia Saudita per spingere verso la normalizzazione dei rapporti tra Tel Aviv e Riad. In chiave ancora una volta anti-Iran, paese percepito tanto da Israele quanto dall’Arabia saudita come la principale fonte di destabilizzazione della regione e con cui gli Stati Uniti faticano ad arrivare ad un compromesso sul nucleare. I colloqui a Doha si sono conclusi con un nulla di fatto e di recente gli Usa hanno anche alzato i toni contro l’Iran, con il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan che ha lanciato l’allarme sull’invio da parte di Teheran di centinaia di droni all’esercito russo impegnato in Ucraina. Un’accusa che non trova in realtà d’accordo gli analisti, che dubitano che l’Iran abbia a disposizione tutti questi velivoli senza pilota da inviare a Mosca, ma che fa il gioco del Cremlino, interessato a portare Teheran ancora di più dalla sua parte.

D’altronde la stessa Repubblica islamica sembra a sua volta propensa a rafforzare i legami con la Federazione in opposizione non solo all’occidente, ma anche a quella Nato araba che invece si sta da tempo cercando di creare in medio oriente e che punta a isolare ulteriormente il paese degli Ayatollah. Negli ultimi mesi Teheran ha chiesto di poter entrare a far parte dei Brics, il gruppo che riunisce le economie emergenti e che comprende anche la Russia, e ha mostrato interesse verso l’avvio della produzione congiunta di automobili con Mosca e Ankara. Ma sul tavolo vi è anche la possibile adesione di Teheran a un sistema di pagamento alternativo allo Swift, da cui entrambi i paesi sono esclusi a causa delle sanzioni occidentali, e che sancirebbe un significativo rafforzamento dei legami tra Russia e Iran.

La Siria

Terzo attore presente a Teheran è il presidente Erdogan. Tra Putin e il capo di stato turco è previsto anche un incontro bilaterale sull’Ucraina per parlare della ripresa dell’export del grano ucraino, indispensabile per scongiurare una nuova crisi alimentare. Erdogan continua a essere l’unico leader in ambito Nato in grado di trattare con la Russia, nonostante il sostegno anche militare offerto al presidente Zelensky. La Turchia condanna da sempre la minaccia russa all’integrità territoriale dell’Ucraina e di recente l’azienda Bayraktar, appartenente al genero di Erdogan, ha anche donato tre nuovi droni TB2 all’esercito di Kiev, ma tutto ciò sembra non aver avuto ripercussioni sulle relazioni diplomatiche tra i due paesi. Pur attestandosi su posizioni diverse in più scenari, Russia e Turchia sono sempre riuscite a trovare un compromesso e a portare avanti i propri interessi, come dimostrano le intese raggiunte in Nagorno, Libia e Siria.

Proprio quest’ultimo dossier è al centro del trilaterale che si tiene oggi a Teheran. Russia, Turchia e Iran fanno parte del cosiddetto gruppo di Astana, istituito nel 2017 per gestire le diverse zone di influenza in Siria e trovare una soluzione diplomatica al conflitto senza coinvolgere gli Stati Uniti, ugualmente presenti nel paese mediorientale in funzione anti-Isis. Al centro dell’incontro vi è la nuova operazione militare annunciata più di un mese fa da Erdogan e che dovrebbe interessare l’area compresa tra Manbij a est e Tel Rifaat a ovest. Il presidente turco punta ad allargare la zona della Siria occidentale sotto il suo controllo con un duplice obiettivo: allontanare dal confine i curdi, percepiti come una minaccia, e rimpatriare “volontariamente” almeno uno dei quasi cinque milioni di rifugiati siriani giunti in Turchia dall’inizio della guerra. Per farlo, però, Erdogan ha bisogno del benestare di Russia e Iran, alleati del presidente Bashar al Assad. Al momento Mosca e Teheran sembrano poco propensi ad avvallare i piani di Erdogan, ma potrebbero cedere in cambio di alcune concessioni su altri fronti, come ad esempio quello ucraino.  

Più insicurezza

Russian President Vladimir Putin, right, speaks to Iran's President Ebrahim Raisi on the sideline of the summit of Caspian Sea littoral states in Ashgabat, Turkmenistan, Wednesday, June 29, 2022. (Mikhail Klimentyev, Sputnik, Kremlin Pool Photo via AP)

Ma una nuova operazione militare contro la Siria del nord, spiega a Domani il presidente del Partito dell’Unione democratica (Pyd) Salih Muslim, «aggraverebbe l’emergenza umanitaria e destabilizzerebbe ulteriormente il paese, mentre l’Isis sfrutterebbe la situazione per rafforzare la sua presenza». Come denunciato dallo stesso Pentagono, l’intervento turco metterebbe a repentaglio le operazioni anti-terrorismo condotte dalle forze curdo-arabe (le Sdf) con il sostegno degli Stati Uniti, a tutto vantaggio delle cellule dello Stato islamico ancora attive nel paese. Intanto, in attesa di sapere cosa si deciderà durante l’incontro a Teheran, che coincide con il decimo anniversario della rivoluzione del Rojava, l’Amministrazione autonoma della Siria del nord-est ha dichiarato lo stato di emergenza e mobilitato le proprie forze.

Tanto il trilaterale a Teheran quanto il tour diplomatico di Biden sembrano quindi aver creato più insicurezza che non sicurezza nella regione mediorientale. La normalizzazione delle relazioni tra Israele e i paesi arabi promossa dagli Usa è percepita come una minaccia dall’Iran, spinto pertanto ad avvicinarsi ulteriormente alla Russia, mentre l’incontro nella capitale iraniana sfida il sistema di alleanze costruito da Biden e rappresenta un pericolo per il Rojava e per la coalizione anti-Isis. Il tutto mentre la Turchia si destreggia tra un fronte e l’altro, ricavando più vantaggi possibili sia sul quello mediorientale che su quello occidentale grazie al ruolo di mediatore che si è abilmente ritagliata in Ucraina.

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