Piano di pace a rischio: i continui attacchi israeliani causano decine di morti al giorno. Doha: «Ora sforzi internazionali e concertati per preservare l’accordo». Il caso Al Majid, un’organizzazione controversa che ha esfiltrato 153 gazawi con un volo privato con destinazione Sudafrica
Il piano di pace di Trump rischia di svanire ancor prima che la fase uno sia completata. I bombardamenti israeliani di mercoledì 19 sera e giovedì 20 mattina hanno causato 33 morti, tra loro anche 12 bambini e 8 donne, e quasi 90 feriti. A denunciare l’escalation è stato proprio uno dei paesi mediatori, il Qatar, che ha condannato i brutali attacchi dell’Idf.
«È un’azione che rischia di minare l'accordo di cessate il fuoco. La diplomazia del Qatar – si afferma al ministero degli Affari esteri di Doha – afferma la necessità di sforzi concertati a livello regionale e internazionale per preservare e sostenere l'accordo».
Dov’è la linea gialla?
La mossa del governo di Benjamin Netanyahu ha destabilizzato, per la verità, anche gli altri partner. Pur convinti ad andare fino in fondo, tutti, hanno voluto comunque sottolineare che l’obiettivo è sostenere la causa palestinese e che ulteriori rotture del patto potrebbero essere molto rischiose. A maggior ragione se i raid sono motivati da pretestuose manovre sul campo.
Secondo l’accusa delle autorità palestinesi, infatti, nel corso delle ultime 24 ore l’Idf avrebbe unilateralmente deciso di spostare di circa 300 metri in avanti la così detta linea gialla che separa Gaza dall’area occupata dai militari. L’avanzamento delle truppe era stato notato dai giornalisti di Gaza ed è stato, poi, denunciato da Hamas che ha, dunque, esortato i mediatori internazionali, a intervenire.
Intanto, a vigilare sul piano di pace c’è anche l’Unione europea, che non vuol lasciare lo scettro esclusivo del comando a Trump. Da giovedì 20, infatti, a Bruxelles si sono riunite oltre 60 delegazioni per discutere di ricostruzione, governance e sicurezza nella Striscia. In particolare, sono Francia e Arabia Saudita a co-presiedere una riunione del Palestine Donors Group che, tra le altre cose, dovrebbe approfondire le possibili riforme dell’Anp in previsione di un governo di transizione. Peccato che Israele, almeno per ora, rifiuti categoricamente la possibilità che l’Anp abbia un ruolo nel governo di Gaza e si prepari ad andare a uno scontro diretto.
«Il gruppo dei donatori mira a riformare l'Autorità palestinese, per rafforzarla in modo che sia al comando quando arriverà il momento», ha invece ribadito il ministro francese per l’Europa e gli affari esteri Jean-Noël Barrot. L’altra pratica che l’Ue sta cercando di portare avanti è quella della formazione dei prossimi agenti di pubblica sicurezza di Gaza. Secondo il piano, Bruxelles potrebbe utilizzare la sua missione di polizia con sede in Cisgiordania, Eupol Copps, per prendere l'iniziativa nella costruzione di una nuova forza di polizia per la Striscia per un totale di 13mila dipendenti.
Nei palazzi le discussioni vanno avanti, ma nel frattempo la situazione a Gaza è pessima. Mentre si seppelliscono ancora morti, aumentano sempre di più i feriti, soprattutto quelli gravi; quelli che avrebbero bisogno di cure specifiche e dovrebbero, quindi, essere evacuati. Ma Israele ha bloccato tutte le esfiltrazioni mediche, nonostante i solleciti internazionali. L’ultimo è arrivato proprio giovedì 20 da ben cinque organizzazioni israeliani che hanno presentato una petizione all'Alta Corte di giustizia chiedendo che Israele riprenda immediatamente l'evacuazione dei pazienti dalla Striscia di Gaza per cure salvavita, almeno negli ospedali della Cisgiordania e di Gerusalemme Est.
Secondo la petizione, circa 16.500 residenti di Gaza, molti dei quali bambini, anziani e donne, sono attualmente a rischio di morte perché le cure mediche di cui hanno urgente bisogno non sono più disponibili nella Striscia. Anche se non ci sono più i bombardamenti a tappeto e pian piano qualche camion entra, il livello di distruzione e trauma è talmente alto che in tanti stanno pensando di andarsene da Gaza. Magari non per sempre, magari solo per un po’.
L’ombra dei trafficanti
Per chi sta cercando un modo, potrebbe esserci l’aiuto di Al-Majd, una dubbia e poco trasparente organizzazione che, come si legger sul sito, è specializzata nel fornire aiuti e sforzi di salvataggio alle comunità musulmane nelle zone di guerra. È stata proprio questa organizzazione, infatti, a organizzare un volo privato con 153 gazawi a bordo, partito da Israele e diretto dapprima a Nairobi e poi a Johannesburg.
Nessun visto di uscita da Israele, nessun visto di ingresso in Sudafrica e proprio per questo, il gruppo è stato trattenuto a bordo per quasi 12 ore, fin quando le autorità sudafricane hanno permesso ai gazawi di scendere concedendo un visto provvisorio. Del viaggio, dunque, si sa quasi nulla e l’organizzazione alle spalle sembra essere una copertura.
Sul sito è spiegato che Al-Majd è stata fondata nel 2010 in Germania ma ha sede a Gerusalemme Est, però nel registro delle organizzazioni israeliane e palestinesi non c’è nessun ente con questo nome. Anche i responsabili del sito sono dei fantasmi, anche se i voli finora organizzati e atterrati sono almeno due, uno in Sudafrica, l’altro in Indonesia. Il rischio è che dietro ci siano trafficanti, pronti a spillare un mucchio di soldi da tanti in cambio di pochi viaggi, rischiosi e irregolari.
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