Il rapporto delle Nazioni Unite: «È una carestia provocata dall’uomo». Netanyahu reagisce parlando di «bugia assoluta». Fao, Oms, Wfp e Unicef chiedono un cessate il fuoco immediato e una «risposta umanitaria senza precedenti»
A Gaza mezzo milione di persone, di cui 132mila bambini sotto i 5 anni, muore di fame per colpa delle autorità israeliane. Come se non bastassero le immagini circolate negli ultimi mesi di minori, donne e anziani ridotti all’osso, ora c’è la conferma ufficiale proveniente da un organismo delle Nazioni Unite.
Per la prima volta il rapporto dell’Integrated food security phase classification (Ipc) dice che a Gaza è in corso una carestia (ieri altre due persone sono morte per fame). Secondo il report, l’insicurezza alimentare ha raggiunto il livello massimo di gravità a Gaza City e dintorni, ma entro la fine di settembre raggiungerà «condizioni catastrofiche» anche a Deir al-Balah e Khan Younis.
Parole per l’inferno
«Proprio quando sembrano non esserci più parole per descrivere l'inferno che sta vivendo la popolazione di Gaza, ne è stata aggiunta una nuova: carestia», ha detto il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres. «Non è un mistero, è una catastrofe provocata dall’uomo, una condanna morale e un fallimento della stessa umanità», ha aggiunto, richiamando lo Stato ebraico alle sue responsabilità. «In quanto potenza occupante, Israele ha obblighi innegabili ai sensi del diritto internazionale, tra cui garantire cibo e forniture mediche alla popolazione».
Parole dure – pronunciate anche dai governi di Spagna e Regno Unito – che arrivano in un momento cruciale della guerra con la nuova offensiva dell’Idf che punta a occupare anche Gaza City e mette in pericolo di vita circa un milione di persone. Secondo i media israeliani, l’esercito dovrebbe lanciare la sua nuova offensiva a metà settembre, circa due settimane dopo che i riservisti richiamati saranno chiamati in servizio.
Per arrestare la conta dei morti la Fao, l’Unicef, il Wfp (Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite) e l'Oms (Organizzazione mondiale della sanità) hanno chiesto ieri un nuovo cessate il fuoco immediato e «una risposta umanitaria senza impedimenti». «Facciamo arrivare cibo e altri rifornimenti senza impedimenti e nella quantità massiccia richiesta. È troppo tardi per troppi, ma non per tutti a Gaza», è invece la richiesta del responsabile umanitario delle Nazioni Unite, Tom Fletcher.
Immediata la risposta di Tel Aviv. «Israele non ha una politica contro la carestia. Israele ha una politica di prevenzione della carestia», ha detto il premier Benjamin Netanyahu smarcandosi da ogni accusa e accusando il report di essere una «bugia assoluta». «Gli unici a essere deliberatamente affamati a Gaza sono gli ostaggi israeliani», ha detto.
Ma le immagini provenienti dalla Striscia e le testimonianze raccolte dagli organi di stampa mostrano una realtà molto diversa da quella raccontata dal primo ministro, secondo cui il rapporto delle Nazioni Unite «ignora gli sforzi umanitari di Israele e il furto sistematico di aiuti da parte di Hamas». Anche qui, diverse inchieste giornalistiche hanno confutato queste accuse. A contribuire alla carestia ci sono una serie di fattori tra cui il divieto di ingresso degli aiuti umanitari a Gaza, e la messa al bando dell’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi Unrwa per mano di Israele.
La mattanza
L’impressione è che senza contromisure concrete contro Tel Aviv o una chiamata a Netanyahu proveniente dalla Casa Bianca non c’è appello che possa fermare le decisioni del gabinetto di guerra israeliano. In mattinata il ministro della Difesa Katz ha annunciato che a Gaza si «apriranno presto le porte dell’inferno». Ma nella Striscia, le porte degli inferi sono aperte almeno da 23 mesi.
Solo nella giornata di ieri altri 65 palestinesi sono stati uccisi nei raid dell’Idf, tra questi almeno 36 persone proprio a Gaza City e cinque persone mentre erano in cerca degli aiuti umanitari. Per Hamas, che spera ancora in una tregua, le parole di Katz sono l’«ammissione del tentativo di pulizia etnica».
In Israele proseguono le proteste in favore di un accordo che fermi la guerra e riporti gli ostaggi a casa. Ieri alcuni attivisti hanno bloccato l’autostrada 6, all’altezza dello svincolo di Elyakin, allestendo una finta tavolata per la cena di Shabbat. Hanno chiesto al premier di tornare al tavolo delle trattative. Ma per il momento Netanyahu è sordo anche alle loro richieste.
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