Di fronte alle esternazioni del ministro Giancarlo Giorgetti sull’eliminazione delle tasse per chi fa figli, a quelle del ministro Francesco Lollobrigida sulla sostituzione etnica, a quelle qualche settimana fa del presidente del Senato Ignazio La Russa su via Rasella come quelle dell’interno governo sulla strage di Cutro la domanda che può scaturire è se sia sviluppato un senso di permanente impunità istituzionale o se sia semplicemente che la destra post fascista pensa a parla così o se sia una strategia comunicativa?

In realtà le tre ipotesi non sono in contrasto se si analizza cos’è stato e cos’è il neofascismo; e si riflette sul perché questo discorso moralmente squallido e squinternato da un punto di vista della cultura politica riesca a essere ritenuto plausibile da chi lo fa, riscuotere consensi e aprire comunque dibattiti.

La prima ipotesi è l’analfabetismo istituzionale o l’ignoranza tout court. Arriva al potere una classe politica spesso improvvisata, con una cultura democratica praticamente inesistente, che ha giurato sulla Costituzione con le dita incrociate dietro, con un curriculum formativo, professionale e politico che spesso si riassume nella mera militanza in piccole formazioni neofasciste (il caso Lollobrigida è plateale).

Più parvenu che underdog, il passaggio nelle stanze del potere non è avvenuto negli ultimi mesi, ma da almeno un ventennio: per dire Lollobrigida era già assessore regionale nel 2006, Giorgia Meloni parlamentare dal 2006, La Russa parlamentare dal 1992. Sono stati tutti sdoganati dalla svolta di Fiuggi e dal patto Berlusconi-Fini, ritrovandosi potenzialmente orfani di una poltrona al momento del «che fai? Mi cacci». Gianfranco Fini fu cacciato e la finzione della destra gaullista, competente e ripulita dal fascismo, potè esaurirsi lì.

A quel punto il gioco fu l’opposto: dopo che Luca Telese e Walter Veltroni avevano riabilitato i “cuori neri”, dopo che il settennato di Carlo Azeglio Ciampi aveva rispolverato l’ambiguo amor di patria, dopo che Luciano Violante aveva voluto essere tenero anche con i ragazzi di Salò, diventò meno problematico dichiararsi fascisti. Sempre in modo proditorio, con un busto di Mussolini in salotto, una foto al campo Hobbit nel portafoglio, un monumento a Rodolfo Graziani da inaugurare.

L’ipotesi nostalgica

La seconda ipotesi è quella nostalgica, ovvero che il neofascismo non sia che la versione liofilizzata del fascismo storico. Per anni ha ridotto i suoi capisaldi ideologici a quattro temi: no aborto, no negri, no froci, no drogati. Ma siccome per anni gli stessi discorsi razzisti e discriminatori hanno avuto ampia diffusione anche nel mondo progressista appena rimbellettati – nazionalismo, sicurezza, famiglia tradizionale – a un certo punto l’orgoglio neofascista del «sono una madre, sono italiana, sono cristiana» ha potuto facilmente sostituirsi a retoriche più ambigue.

Nel 2008 (fine dell’èra finiana) l’ex militante di Terza posizione Gabriele Adinolfi scriveva un testo intitolato Sorpasso neuronico, si rivolgeva a quella galassia dispersa dei neofascisti: «Bisogna distruggere tutto quello che c’è di estrema destra e recuperare tutto quello che c’è di fascista». «I passaggi obbligati sono: il superamento del pregiudizio democratico; la concezione degli altri soggetti non come concorrenti ma come complementari». Queste battaglie che nel neofascismo erano tutte di retroguardia, diventano egemoniche e acquistano consenso proprio se integrate tra loro, coltivando alleanze con altre forze politiche. Ieri Guido Caldiron su Radio onda rossa e Giulia Siviero su Twitter sostenevano una cosa molto simile e condivisibile: la destra plurale italiana (post fascista, razzista, sessista) è la stessa dalla fine del Novecento in poi ed è l’esempio perfetto di quello che potremmo definire “fallimento intersezionale”.

Vediamo ogni giorno svilupparsi questa sintesi: la riviviscenza di un patriarcato la cui ideologia sulla natalità somiglia a quella dei Racconti dell’ancella, il ritorno di un suprematismo razziale con foto coloniali con bambini africani e complottismo da sostituzione etnica, lotta di classe feroce contro i poveri (proprio ieri è stato abolito il Decreto dignità che garantiva un reddito di sussistenza a centinaia di migliaia di persone). Del resto l’ideologia è chiara nel suo orizzonte distopico: no aborto perché le donne italiane devono dare figli alla patria per fornire manodopera a basso costo.

Strategia comunicativa

La terza ipotesi è abbiamo a che fare con una reiterata strategia comunicativa. Buttarla quotidianamente in caciara per evitare il confronto sui problemi reali o alle stragi come Cutro, distrarre con revisionismi squallidi di fronte al calendario civile, che sia la commemorazione delle Fosse ardeatine o il 25 aprile; è così? L’idea che questa comunicazione sia solo un’ammuina benaltrista non rende conto dell’educazione neofascista di questi ultimi decenni.

Dal più piccolo al più autorevole dei militanti, tutti sanno padroneggiare la cosiddetta “finestra di Overton” ossia quella tattica di propaganda per cui lanciare nel dibattito pubblico una dichiarazione tanto irricevibile da sembrare surreale – il battaglione nazista di via Rasella definito una banda, oppure la sostituzione etnica o quel «le crea frustrazione?» con cui Lollobrigida rispose un mesetto fa ai mancati chiarimenti su Cutro – serve a far passare un’idea oscena dal campo dell’inconcepibile a quello dell’estremo e via via verso l’accettabilità, la popolarità, e infine farla diventare legge. È già successo, sta già succedendo.

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