Il confronto bellico tra Russia e Ucraina passa anche per i cieli. A contendersi lo spazio aereo ucraino sono i droni, velivoli a pilotaggio remoto diventati centrali nei conflitti moderni e spesso descritti dagli esperti come dei veri e propri game changer per ottenere la vittoria sul campo.

I droni turchi

Fin dall’inizio del conflitto l’esercito ucraino ha messo in campo i droni acquistati dalla Turchia e la cui produzione, secondo accordi presi in precedenza con il governo di Ankara, si sarebbe dovuta spostare sul territorio ucraino. Lo scoppio della guerra però ha messo un freno al progetto, soprattutto dopo la distruzione da parte delle forze russe dello stabilimento designato per la realizzazione dei droni turchi.

Ad oggi non è ancora chiaro su quanti velivoli a pilotaggio remoto possa contare effettivamente Kiev, ma secondo diverse stime nell’arsenale ucraino ci sarebbero circa venti Bayraktar. I TB2 sono droni realizzati dall’azienda turca Bayktar di proprietà di Selçuk Bayraktar, genero del presidente Recep Tayyip Erdogan.

Prodotto di punta dell’industria della difesa turca, i Bayraktar sono stati impiegati in diversi teatri di guerra prima di arrivare nelle mani dei soldati ucraini e si sono dimostrati fondamentali per rallentare l’avanzata delle forze russe. L’Ucraina li aveva già impiegati in alcune operazioni condotte prima dello scoppio del conflitto contro le milizie dell’autoproclamata repubblica del Donbass.

I Bayraktar rientrano nella categoria dei droni a media altitudine e lunga durata: sono in grado di volare per un massimo di 27 ore e possono colpire il proprio obiettivo a una distanza di 300 chilometri. I TB2 trasportano un carico di 150 chilogrammi tra mini bombe a guida laser, missili anticarro a lungo raggio e razzi.

Meno costosi rispetto al Predator di produzione americana e più leggeri se comparati con i concorrenti israeliani, cinesi e statunitensi, i droni turchi sono già in dotazione alle forze armate di dieci diversi paesi e la lista dei governi interessati al loro acquisto continua ad allungarsi.

Il successo dei Bayraktar in medio oriente e in Nagorno è però dipeso anche dall’arretratezza dei sistemi di difesa degli avversari. I droni turchi sono vulnerabili agli attacchi aerei ed elettronici, per cui sono maggiormente esposti in un contesto come quello ucraino.

Le difese russe sono molto più all’avanguardia rispetto a quelle delle milizie del generale Khalifa Haftar in Libia o dell’esercito dell’Armenia e il contesto attuale rende più vulnerabili anche le stazioni di controllo a terra.

Nonostante ciò, il loro impiego ha garantito un vantaggio iniziale alla resistenza ucraina, sorprendendo la controparte russa. Nel lungo periodo, però, non sono sufficienti per mantenere o riconquistare il controllo dello spazio aereo, per il cui predominio sono necessari strumenti più complessi dei velivoli a pilotaggio remoto.

Il contributo americano

Ma l’arsenale dell’Ucraina a breve potrebbe migliorare ulteriormente. Nell’ultimo pacchetto di aiuti approvato da Washington per sostenere l’esercito ucraino rientrano anche i droni kamikaze Switchblade, velivoli a pilotaggio remoto dotati di una piccola carica e in grado di restare in volo su un’area per un certo periodo di tempo prima di colpire l’obiettivo.

Noti con il nome tecnico di loitering munition, gli Switchblade sono stati impiegati per la prima volta in Afghanistan dalle forze speciali statunitensi e sono dotati di telecamere, sistemi di guida e carica esplosiva. Si dividono in due varianti: la 300 e la 600.

La prima versione, dal costo di seimila dollari al pezzo, è impiegata per attacchi mirati contro le unità di fanteria ed è dotata di una testata esplosiva simile a una granata da 40 millimetri. Lungo 610 millimetri e con un peso di 2,7 chili, lo Switchblade 300 ha inoltre il vantaggio di essere leggero e facilmente trasportabile, richiedendo così l’impiego di un solo soldato. Inoltre, grazie a un certo grado di intelligenza artificiale, lo Switchblade può colpire in modo semiautomatico. A causa delle dimensioni ridotte, però, ha un’autonomia di soli dieci minuti.

La versione 600 pesa invece circa 23 chilogrammi, può restare in volo 40 minuti prima di colpire l’obiettivo ad una distanza massima di 80 chilometri. Questo drone è progettato per trasportare una testata in grado di neutralizzare i veicoli corazzati pesanti come i carri armati.

Gli Switchblade 600, dal costo di 12mila dollari l’uno, sono facili da usare e richiedono quindi poca formazione prima di essere impiegati. Un dettaglio importante nel contesto ucraino, data l’impossibilità per gli addestratori occidentali di entrare in contatto con le truppe di Kiev. I modelli americani hanno quindi il vantaggio di essere più maneggevoli rispetto ai Bayraktar, ma hanno un impatto inferiore.

I droni russi

L’esercito ucraino non è l’unico ad aver impiegato i droni per contrastare i propri avversari. Anche la Russia, seppure non immediatamente, ha messo in campo gli Orion, aerei robot sviluppati dalla Kronstadt Group e simili al Predator americano. Ad oggi, l’esercito di Mosca può contare su trenta esemplari, già usati nella guerra in Siria per sostenere le truppe di Bashar al Assad nella guerra contro lo Stato islamico.

Gli Orion hanno un’autonomia in volo di ventiquattro ore e possono lanciare quattro piccoli missili anticarro, ma a causa delle loro dimensioni (hanno ali di 16 metri) sono lenti, poco manovrabili e possono essere abbattuti dalle mitragliere della fanteria.

La Russia però può contare anche sui droni kamikaze realizzati dalla Zala Aero Group, società specializzata nello sviluppo di sistemi senza pilota e appartenente al gruppo Kalashinkov. I modelli impiegati dall’esercito di Mosca in Ucraina sono due: il Kyb e il Lancet, entrambi usati in precedenza nella guerra in Siria e in Nagorno Karabakh dalle forze armene.

Il primo è dotato di una singola testata da 3 chili, può raggiungere una velocità di 130 chilometri orari ed è in grado di sorvolare l’area dove si trova il suo bersaglio per 30 minuti. La distanza massima che può percorrere è di 64 chilometri.

Trattandosi di un drone kamikaze, una volta individuato il target - che può essere impostato manualmente o selezionato dal drone stesso tramite sistemi di bordo - il velivolo si getta in picchiata ed esplode al contatto con l’obiettivo. Uno dei vantaggi del Kyb è la capacità di volare a bassa quota, che gli permette di sfuggire ai tradizionali sistemi di difesa aerea.

La Zala Aero Group produce anche il drone Lancet, di cui esistono le versioni Lancet-1 e tre. Il primo ha un raggio d’azione di 40 chilometri, pesa cinque chili e può trasportare un carico di un chilo. Il Lancet-3 ha lo stesso raggio d'azione, ma il suo peso massimo è di 12 chili, con un carico utile di tre, e può piombare sull’obiettivo a una velocità di 300 chilometri orari.

Il ruolo della Cina

La Russia però non sembra soddisfatta del suo arsenale di droni. Da qui la decisione di chiedere aiuto alla Cina, unica potenza non schieratasi contro l’invasione di Mosca. Secondo indiscrezioni del Financial Time, la Federazione russa avrebbe chiesto aiuto economico e militare a Pechino per far fronte ai problemi derivanti dalle sanzioni imposte dall’Occidente e per abbattere la resistenza dell’esercito ucraino. Nello specifico, la Cina potrebbe fornire alla Russia i Wing Loong, droni di media altitudine e lunga durata in grado di trasportare 12 missili aria superficie.

I velivoli senza pilota cinesi sono già presenti nell’arsenale di diversi paesi del Medio oriente e dell’Africa e rappresentano un prodotto di punta dell’export militare di Pechino. A favorirne la proliferazione sono principalmente due fattori: da una parte i Wing Loong sono circa 15 volte più economici rispetto ai velivoli americani e israeliani, che restano ancora i migliori sul mercato; dall’altra la Cina non ha problemi a fare affari con stati autoritari. Anche se nei confronti della Russia sembra avere qualche remora. 

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