C’era una volta a est dell’Europa un grande spazio di armonia e unione volontaria e pacifica di 15 repubbliche.

Almeno così veniva presentata l’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (Urss) nei discorsi ufficiali. La dissoluzione rapida degli anni Novanta mise però in luce le fragilità istituzionali e le intricate tensioni interne di questo edificio.

A distanza di tre decenni, l’invasione russa dell’Ucraina dimostra che quella pagina di storia rimane socchiusa anche per gli stati non direttamente coinvolti in questa guerra di invasione.

Lo è sicuramente per la Repubblica Moldova, stato con una frontiera con l’Ucraina di 1.222 km, interrotta dal segmento della Transnistria, autoproclamata repubblica filorussa.

È proprio in riferimento alla Transnistria che lo spettro del passato sovietico continua ad aleggiare con insistenza sul presente della Repubblica Moldova.

Infatti, a dicembre 2022 il direttore del Servizio moldavo di intelligence e sicurezza annunciava un possibile scenario di allargamento dell’invasione russa verso la Repubblica Moldova al fine di creare un corridoio terrestre con la Transnistria, un supporto logistico importante per l’esercito russo.

Il puzzle storico

Per capire la complessità dei rapporti fra Chişinău e Tiraspol bisogna ricordare che il distacco della Repubblica Moldova dall’Urss coincide con la simbolica denuncia del Patto Molotov-Ribbentrop e la conseguente assegnazione di una parte del territorio della Moldavia storica (la Bessarabia e la Bukovina del Nord) all’Unione sovietica.

Il Patto Molotov-Ribbentrop diventa la base per un découpage territoriale strategico: nasce la Repubblica socialista sovietica moldava dall’unione di una parte della Bessarabia con un pezzo della Repubblica socialista sovietica autonoma moldava (inclusa la regione della Transnistria) e i territori rimanenti confluiscono verso la Repubblica socialista sovietica ucraina.

I leader del Partito comunista ucraino di allora, fra i quali spicca Nikita Chruščëv, ottengono così il controllo sulla strategica città di Odessa e sul nord della Moldova storica.

All’interno delle nuove frontiere, viene avviato un processo di sovietizzazione accelerato, volto a cambiare non soltanto le caratteristiche politiche ed economiche della neonata Repubblica socialista sovietica moldava, ma anche la sua composizione etnica.

Jeff Chinn ricorda che a differenza degli stati baltici, dove le lingue nazionali avevano continuato ad essere utilizzate dopo l’incorporazione fra gli stati nell’Unione Sovietica, la lingua rumena fu esclusa da quasi tutti gli aspetti della vita pubblica.

Con la dissoluzione del colosso sovietico, emergono rapidamente le tensioni dovute al découpage territoriale iniziale e alle varie ingegnerie socio-economiche che caratterizzano il periodo successivo.

Il progetto di riunificazione con la Romania mostra delle crepe profonde e verrà seppellito dal referendum del 27 febbraio 1994; ciò diventa, tuttavia, il contesto fertile per forti tensioni con le diverse comunità etnico-linguistiche, come la comunità di lingua turca dei Gagauzi del sud del paese.

Esplode anche la tensione con le popolazioni slavofone, minoritarie a livello nazionale, ma maggioritarie nella regione della Transnistria. Se la minaccia secessionistica della comunità gagauza rientra rapidamente all’inizio degli anni Novanta, i rapporti con le comunità slavofone si incancreniscono sfociando in un conflitto aperto che porta all’autoproclamazione della Repubblica Moldava di Pridniestrov (Transnistria), ad oggi priva di riconoscimento internazionale, ma con fitti intrecci politici, militari, economici e culturali con Mosca.

Oscillazioni 

Dall’indipendenza ad oggi, la politica di Chișinău ha regolarmente oscillato fra periodi di avvicinamento alla Russia e periodi di apertura occidentale.

I rapporti con l’Ucraina si sono progressivamente normalizzati sulla base del Trattato di buon vicinato, amicizia e collaborazione.

L’Ucraina diventerà, infatti, un attore chiave nel tentativo di risoluzione pacifica della situazione in Transnistria. L’elezione di Maia Sandu alla presidenza della repubblica nel 2020 e la maggioranza parlamentare ottenuta alle elezioni del 2021 riportano la politica estera della Repubblica Moldova nell’orbita dell’occidente.

Lo dimostra simbolicamente l’invito ai presidenti della Polonia, della Romania e dell’Ucraina a partecipare alle festività legate al 30° anniversario dell’indipendenza nell’agosto del 2021.

Lo dimostra, soprattutto, la condanna dell’aggressione russa in Ucraina e la solidarietà dimostrata nell’accoglienza dei rifugiati ucraini. La posizione di Chisinau è, tuttavia, delicata in quanto sceglie di non aderire a sanzioni internazionali contro la Russia per tutelare le sue vulnerabilità economiche (energetiche) e di sicurezza (la questione della Transnistria).

Rimane ferma, però, nella lotta contro la propaganda putiniana e, nel dicembre 2022, sospende le licenze di sei emittenti televisive filorusse appartenenti all'oligarca Ilan Șor e al movimento filorusso.

A un anno dall’inizio dell’invasione, il bilancio per la Repubblica Moldova rimane incerto: se da un lato si saluta lo status di paese candidato all’Unione europea, dall’altro emergono gli effetti negativi sull’economia, quali l’aumento dell’inflazione e il blocco dei collegamenti commerciali tradizionali.

Considerata la vulnerabilità energetica, una soluzione intermedia è stata quella di cedere alla Transnistria il gas che Gazprom consegna alla Repubblica Moldava, in cambio dell’energia elettrica fornita dalla centrale di Cuciurgan gestita dal regime separatista di Tiraspol.

Allo stesso tempo, Chișinău ha esteso – in deroga alla Legge sulla protezione dell’aria atmosferica – l’autorizzazione ambientale dello stabilimento di Ribnita, anch’esso gestito da Tiraspol.

Da questo punto di vista, numerosi analisti hanno sottolineato come la guerra in Ucraina abbia incoraggiato soluzioni creative nella gestione dei rapporti fra Chișinău e Tiraspol. Lo dimostra, del resto, anche la valutazione positiva di queste iniziative da parte dell’ambasciatore degli Stati Uniti in Repubblica Moldova.

Non c’è un piano

Rimane assai chiaro, però, che le autorità di Chișinău non hanno un piano chiaro per risolvere la questione della Transnistria.

Nel dibattito pubblico si teme che un collasso economico della Repubblica autoproclamata possa generare un ampio flusso di migranti, con importanti costi sociali ed economici per la già fragile economia moldava.

Rimane, altresì, il potenziale destabilizzatore dei circa 1.500 soldati russi nel territorio della Transnistria, la cui missione – ufficialmente – è la protezione delle munizioni del deposito di Cobasna.

Secondo alcuni analisti essi sono però altrettanto presenti nei programmi di addestramento delle formazioni di milizia e difesa dei separatisti della Transnistria. Si tratta, infatti, di un potenziale di supporto importante per l’esercito russo qualora riuscisse a conquistare Odessa e a garantire, così, un punto di collegamento territoriale con la Transnistria.

Non sorprende, allora, l’insistenza delle autorità ucraine nel chiedere a Chișinău una strategia più chiara sulla regione, ricordando come l’auspicata adesione all’Ue non possa essere fatta senza risolvere il conflitto in Transnistria.

In questo contesto, la Romania rimane relativamente in ombra, penalizzata da una strategia basata su contatti politici con uomini politici moldavi successivamente compromessi da accuse di corruzione o, addirittura, affiliazione con la Russia.

A 31 anni dall’indipendenza, non si può affatto dire a proposito degli eredi delle repubbliche sovietiche di una volta: «E vissero felici e contenti».

Il passato determina ancora le politica interna ed esterna delle autorità di Chișinău e la guerra in Ucraina mette ben in vista la spina nel fianco che Tiraspol rappresenta per la Repubblica Moldova e i suoi vicini.

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