Il giorno dopo la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che chiede (non impone) il cessate il fuoco a Gaza e approvata con l’astensione degli Usa, molti analisti si interrogano sull'entità dell’isolamento internazionale di Israele e sul grado di intensità dello strappo fra il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, e il presidente americano, Joe Biden. Che Tel Aviv sia più isolata internazionalmente è evidente, ma forse c’è stata un po’ di enfasi ed esagerazione nella narrazione della rottura, visto che anche in passato ci furono tra George W. Bush e Ariel Sharon momenti di grave tensione con scambi di vedute altrettanto pesanti.

La verità è che il rapporto Usa-Israele è molto più profondo dei dissidi contingenti dei protagonisti della politica. Detto questo, va segnalato che il problema di fondo per la Casa Bianca resta la permanenza al potere di Benjamin Netanyahu che con altrettanto perseveranza sta cercando di rimanere in sella dopo vent’anni al potere quasi ininterrotti.

Intervento a Rafah

La riprova che il dissidio tra i due alleati sia nella strategia bellicista perseguita da Netanyahu su Rafah per ultimare l’opera di distruzione di Hamas, basta riferirsi a quanto detto dal segretario di Stato, Antony Blinken al ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant in visita a Washington.

Blinken ha ripetuto, come fa da circa due mesi, che gli Stati Uniti, per evitare l’escalation, si oppongono a un’importante operazione di terra a Rafah perché metterebbe ulteriormente a repentaglio la sopravvivenza degli oltre 1,4 milioni di civili palestinesi che vi si sono rifugiati su indicazione dello stesso esercito israeliano e ha sottolineato che esistono alternative a una grande invasione di terra. Come in un dialogo fra sordi, Gallant ha risposto di aver detto a Blinken che «Israele non cesserà di operare a Gaza fino al ritorno degli ostaggi. Solo una vittoria decisiva porterà alla fine della guerra».

Il ministro della Difesa israeliano al termine dell'incontro con il segretario di Stato Usa ha ricordato che continueranno «le operazioni militari necessarie per distruggere l'autorità militare e di governo di Hamas nella Striscia».

Insomma Gallant, che potrebbe essere uno dei candidati a sostituire (insieme a Binyamin Gantz) il premier Netanyahu, resta fedele alla politica del governo di unità nazionale, peraltro già scosso dal tema delle esenzioni dal servizio militare obbligatorio per gli ultra-ortodossi, decisione che ha riaperto una profonda divisione nel paese.

Hamas a Teheran

Ovviamente Hamas è soddisfatta del risultato ottenuto al Consiglio di sicurezza e sottolinea l’isolamento di Tel Aviv. «Nonostante la risoluzione (dell'Onu che chiede il cessate il fuoco a Gaza) sia arrivata tardi e ci potrebbero essere delle lacune da colmare, la risoluzione stessa indica che l'occupazione di Israele sta subendo un isolamento politico senza precedenti», ha affermato il capo dell'ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh, durante una conferenza stampa a Teheran.

Il viaggio in Iran del leader sunnita di Hamas riapre le considerazioni che il regime di Teheran, centro degli sciiti, sia il “grande burattinaio” di tutti i nemici regionali di Israele.

Può la risoluzione dell’Onu bloccare le trattative per il rilascio degli ostaggi in corso in Qatar? Israele ha deciso di ritirare la delegazione dai negoziati in Qatar perché Netanyahu ritiene che, dopo il voto all’Onu, Hamas abbia aumentato l’entità delle richieste per il rilascio degli ostaggi.

Il portavoce del ministero degli Esteri del Qatar, Majed al Ansari, ha invece riferito ai giornalisti che i negoziati per una tregua a Gaza sono ancora in corso, ma non ha fornito ulteriori dettagli.

Ansari ha respinto le affermazioni israeliane secondo cui la risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che chiede un cessate il fuoco avrebbe avuto «un impatto immediato» sui colloqui. Difficile capire chi abbia davvero ragione.

Raid in Libano

Ma la tensione sul fronte settentrionale verso il Libano non accenna a diminuire. Aerei israeliani hanno compiuto raid vicino a Baalbek, nel Nord-Est del Libano. Lo riferiscono i media libanesi. Si tratta dell'attacco dell'Idf più lontano dal confine con il Libano, trovandosi la città colpita di al Ain, nel distretto di Baalbek, a più di 110 chilometri da Israele. Un segnale che il pericolo escalation è ancora possibile.

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