Se per i vescovi francesi, l’incontro tenutosi ieri in Vaticano è stato un rendez-vous con la Santa sede, per papa Francesco, invece, aveva il sapore di un redde rationem. Davanti al presidente della conferenza episcopale francese, monsignor Éric de Moulins-Beaufort, ai suoi due vice-presidenti, monsignor Olivier Leborgne e monsignor Dominique Blanchet, e al segretario dell’episcopato, padre Hugues de Woillemont, Bergoglio ha voluto, così, scrivere la parola fine al capitolo aperto dal rapporto Sauvé, il documento lungo 546 pagine frutto del lavoro volontario di 22 commissari nominati da Jean-Marc Sauvé su richiesta dei vescovi francesi nel 2018.

Le cifre prodotte in 26mila ore di lavoro nell’arco di due anni sono impressionanti: ne esce un’immagine della chiesa inabile ad affrontare gli abusi in decenni.

La resa dei conti

Che fosse imminente una resa dei conti con i vescovi francesi era palese dal tono usato da papa Francesco sul volo di ritorno dalla Grecia lo scorso 6 dicembre: «Quando si fa uno studio su un tempo così lungo, c’è il rischio di confondere il modo di sentire il problema di un’epoca 70 anni prima dell’altra» aveva osservato, optando per un’interpretazione ermeneutica degli abusi, che tenesse conto della diversa sensibilità nei decenni passati.

«È proprio quest’approccio che i vescovi francesi hanno chiesto alla nostra commissione, ed esso emerge dall’analisi storica della società francese e della chiesa nelle pagine del rapporto» spiega a Domani un membro della commissione indipendente sugli abusi sessuali nella chiesa di Francia (Ciase), che preferisce restare anonimo.

In effetti, si parla di «studio che tenga conto del contesto delle epoche analizzate» nella lettera d’incarico con cui nel 2018 l’allora capo dei vescovi francesi, monsignor George Pontier, e suor Véronique Magron, presidente della conferenza dei religiosi di Francia, affidarono alla commissione presieduta dall’ex membro del consiglio di Stato, Jean-Marc Sauvé, il compito di sciogliere il groviglio di denunce e segnalazioni.

Ma secondo l’Académie catholique de France, che riunisce 200 intellettuali cattolici francesi, non si sarebbe tenuto conto del sostegno alle pratiche pedofile tra gli anni Cinquanta e Settanta, che vide intellettuali del peso di Jean-Paul Sartre e Michel Foucault avallarle dalle colonne di Le Monde e Liberation come atti di liberazione sessuale.

Un rapporto controverso

L’aspetto più controverso del rapporto Sauvé riguarderebbe la metodologia d’indagine, che ha portato a individuare almeno 330mila vittime di abusi in settant’anni. La cifra è stata generata da un questionario inviato dall’istituto di Sanità francese a 30mila persone: fra gli intervistati, 117 hanno affermato di essere stati abusati da un membro del clero con un tasso complessivo dello 0,17 per cento per le donne e dello 0,69 per cento per gli uomini.

Applicate a tutta la popolazione maggiorenne francese, le percentuali hanno prodotto una stima prudenziale, ritenuta controversa. Per l’Académie, si tratta di stime che divergono dallo studio dell’École pratique des hautes études, basato sull’analisi dei dossier relativi ai preti pedofili negli archivi diocesani e nei tribunali francesi, e che stimano tra le 4.832 e le 27.808 persone abusate dagli anni Cinquanta.

Le critiche degli accademici riguardano anche l’indagine realizzata attraverso sondaggi, ritenuti uno strumento tanto utile dal punto di vista pratico quanto poco verificabile nella sua veridicità. Quello delle survey con domande è uno metodo già utilizzato dai vescovi francesi per tracciare lo stato di salute delle diocesi, che la Ciase ha integrato con le ricerche negli archivi, sia ecclesiastici sia laici, e una linea telefonica che ha permesso di ascoltare circa 200 vittime in 14 diverse città francesi. Per proesta verso l’Académie, monsignor Moulins-Beaufort si è dimesso con altri 15 membri dell’istituto.

Duro colpo ai vescovi

Ma ad accusare il colpo maggiore degli abusi è il clero francese, la cui credibilità è minata già da diverso tempo. Quando monsignor Moulin-Beaufort ha fatto appello a tutti i cattolici del paese per sostenere i risarcimenti nei riguardi delle vittime «perché non abbiamo lingotti d’oro nascosti nelle cantine», Radio France usciva con un’inchiesta che quantificava il patrimonio edilizio della chiesa cattolica a 700 milioni di euro: «Conosciamo l’esigenza di trasparenza richiesta a imprese e fondazioni, non vedo perché la chiesa cattolica debba sottrarsi» aveva risposto indignato François Devaux, cofondatore de La parole libérée, l’associazione francese che supporta le vittime di abusi.

Secondo l’Académie catolique, però, un risarcimento a favore delle vittime può essere solo su base solidale, perché la responsabilità civile e l’indennità susseguente presupporrebbero una persona fisica detentrice di un patrimonio.

Sul tema, un membro della Ciase risponde all’obiezione: «Nel codice di diritto canonico non c’è il termine risarcimento, ma il canone 1.729 dà diritto alla vittima, nell’ambito di un processo penale giudiziario, di costituirsi parte terza per esercitare un’azione contenziosa di riparazione dei danni. Peraltro, il canone 128 specifica che chiunque illegittimamente con un atto giuridico, anzi con qualsiasi altro atto posto con dolo o con colpa, arreca danno a un altro, è tenuto all'obbligo di riparare al danno arrecato. Ciò significa che l’idea della riparazione dei danni è, a mio avviso, una responsabilità giuridica ben presente nel diritto canonico».

Ad aprire la strada a una soluzione è stato il vescovo di Créteil, monsignor Dominique Blanchet, che metterà in vendita la sua residenza episcopale per risarcire le vittime.

Eppure, il caso francese dimostra che l’idea di sinodalità, caldeggiata dal papa stesso, si scontra con una realtà diversa. Piacciano o meno gli esiti o i metodi, la lotta agli abusi imbracciata da quella un tempo nota come «la figlia prediletta della chiesa» è un modo, a torto o a ragione imperfetto, di camminare insieme. Stavolta, però, a dettare il passo sarà ancora Roma.

© Riproduzione riservata