La vittoria di Biden è stata accolta con soddisfazione da buona parte delle forze politiche che sostengono l’attuale governo, in particolare dal Partito democratico e dall’ex premier Matteo Renzi.

L’amicizia tra Italia e Stati Uniti non è stata mai messa in discussione negli ultimi quattro anni di presidenza americana di Donald Trump, anzi la parentesi della Lega di Matteo Salvini al governo ha offerto ai due paesi un comune allineamento nazional-populista e anti europeo.

Tuttavia non sono mancate forti tensioni come quando l’Italia nel marzo 2019 ha firmato il memorandum con la Repubblica popolare cinese, un’azione politica maldestra e poco preparata che non ha ottenuto veri vantaggi con la Cina ma ha finito per alimentare le tensioni intra-europee e con gli Stati Uniti.

È presumibile che l’amministrazione Biden voglia ricostruire almeno parzialmente le relazioni con l’Europa e riallacciare il legame transatlantico, anche se non è ancora chiaro su quali basi e con quali vincoli. Difficile pensare a un pieno ritorno al passato.

Non è facile pensare che Biden voglia però tornare a essere politicamente e militarmente attivo in medio oriente e nel Mediterraneo, da sempre aree centrali per l’Italia. Tuttavia, potrebbe venire meno il supporto incondizionato agli attori del Golfo e la ritirata strategica americana dall’area, che ha permesso l’ascesa di Turchia e Russia, potrebbe assumere altre caratteristiche, specialmente per quanto riguarda la crisi libica.

Roma potrebbe tornare ad avere un ruolo attivo sfruttando l’occasione di un duplice asse con Washington e Berlino, anche in funzione di contenimento delle spinte unilaterali di due attori Nato come Francia e Turchia che interpretano l’alleanza a proprio uso e consumo.

La realtà è che Roma è da almeno un ventennio una classica media potenza in declino. Durante tutta l’epoca bipolare l’Italia ha sostanzialmente vissuto di rendita all’interno del blocco occidentale: Roma era essenziale baluardo all’espansione sovietica in Europa e Washington aveva investito molto su di essa.

Persa questa centralità l’Italia ha faticosamente cercato di ricostruire la propria posizione, con alterne fortune. Le élite politiche raramente hanno percepito la necessità di spiegare all’elettorato perché l’Europa e l’Atlantico sarebbero rimaste fondamentali anche dopo la caduta del sistema bipolare. Si è finiti per sedimentare le posizioni pro e contro l’Atlantico così come quella pro e contro l’Europa sulla base di visioni ideologiche anacronistiche.

La vittoria di Biden frenerà probabilmente la frattura tra Europa e Usa e rallenterà il progressivo disfacimento del sistema multilaterale in corso da più di un decennio. Consentirà di affrontare con più calma e maggior distensione transatlantica il tema, tanto discusso quanto al momento ancora in fieri, di una autonomia o sovranità strategica europea.

Le picconate di Trump alla Nato e all’Europa avevano reso impellente un cambio di passo ma evidentemente la Ue non era pronta. Certo resteranno le richieste, in gran parte inevase, soprattutto dall’Italia, di un maggior contributo alla Nato, una costante dalla amministrazione Obama a quella attuale. Il ritorno a una visione più multilaterale potrebbe però favorire in Italia un nuovo europeismo, in quanto non evidentemente anti Atlantico.

Ridefinire l’interesse nazionale

Tuttavia, avere quattro anni in più non potrà esimere l’Italia dall’affrontare più chiaramente la questione del proprio posizionamento internazionale e di una definizione lucida di cosa sia l’interesse nazionale. Il concetto, piuttosto strumentalizzato, è riemerso con prepotenza nella retorica sovranista e non potrà essere derubricato a mero e formale ritorno al passato.

Per un paese che è una penisola nel Mediterraneo, che non dispone di un seggio permanente Onu, che non ha una forza nucleare propria, che è dipendente in gran misura da risorse energetiche all’estero così come dal commercio internazionale è evidente che un’accezione strettamente autarchica del concetto non possa essere sufficiente.

Ma è altrettanto vero che la classe dirigente dovrà evitare di riproporre atlantismi ed europeismi di facciata ma contribuire a fare percepire questi ambiti come chiaro interesse italiano.

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