Diavolo d’un Bibi! Pareva finito all’angolo ed eccolo che rovescia il tavolo con una mossa furba. Prima bombarda il consolato dell’Iran a Damasco, poi profitta della (relativamente innocua) reazione degli ayatollah per stabilire la nuova regola del gioco, tutta a suo vantaggio: risponderà all’attacco iraniano, come è nel diritto di Israele, ma non scatenerà un conflitto regionale se gli occidentali gli saranno riconoscenti.

Sicché adesso ha ulteriori «leve per premere sugli Stati Uniti», come scrive il suo fido Israel Hayom. Pessima notizia per i palestinesi di Gaza. E cattiva anche per gli occidentali, la cui irrilevanza rischia di diventare ancora più teatrale col proseguire di una guerra barbara. Eppure non tutti i mali vengono per nuocere (forse). La somma di due crisi che bordeggiano l’apocalisse nucleare (vi allude Putin, pare accennarla Teheran quando minaccia l’impiego di armi inusitate, è l’extrema ratio di Israele se coinvolta in un conflitto esistenziale) potrebbe dare slancio a due eventi ormai prossimi, e con quelli ai tentativi di stabilire regole e assetti del mondo nuovo in gestazione.

Il primo evento è la conferenza di pace che si terrà in Svizzera a metà giugno, il secondo è il rapporto di Mario Draghi alla Ue, anticipato dallo stesso Draghi come proposta di «una ridefinizione della nostra Unione, non meno ambiziosa di quella che fecero i padri fondatori 70 anni fa». Peraltro l’occidente non pare in apprensione per quel che si prepara ai suoi confini. Non lo era neppure alla vigilia della Prima guerra mondiale, mentre l’orchestrina suonava musica allegra sulla plancia del Titanic, e in prima classe i vecchi stati europei si cullavano nell’illusione di una semi pace quasi eterna (fatto salvo per le solite carneficine di insorti e di indigeni nelle colonie).

Ma anche se oggi i governi paiono assorbiti dagli scontri anch’essi titanici all’orizzonte (elezioni europee, presidenziali Usa) nelle relazioni internazionali non tutto è stasi, proclami a uso interno, falso movimento. Una novità che induce a sperare: uscito da una lunga catalessi il tedesco Olaf Scholz ha chiesto la mediazione di Xi per inventare una pace in Ucraina. In sostanza Scholz, e con lui l’Europa maggiore, riconoscono che il mondo è ormai multipolare e la Cina non è soltanto uno scorretto competitor da ricondurre al rispetto delle regole, ma anche, quando è necessario, un partner strategico. Non è poco, se consideriamo che parte dell’occidente vede in Xi soltanto il subdolo alleato di Putin, l’eterno comunista che non ha smesso di operare per il tracollo delle democrazie (fanno testo in proposito i media italiani mainstream).

La richiesta di Scholz pare sufficiente per assicurare la presenza cinese al Global Peace Summit di Burgenstock (Svizzera, il 15 e 16 giugno), con l’ambizioso intento di abbozzare le modalità della partecipazione della Russia a trattative di pace. Mosca lo diserterà, eppure Zelensky si dichiara fiducioso: «Il summit può avviare un vero percorso verso una pace giusta». L’iniziativa di Scholz arriva con goffo ritardo, dall’inizio della guerra era chiaro che il vertice cinese avrebbe sostenuto Putin fin quando gli americani non ne avessero placato la sindrome dell’accerchiamento. Ora però le fiamme di una crisi globale investono anche l’area del petrolio e minacciano la logistica di un paese esportatore come la Cina.

L’allarme è generale. E Pechino potrebbe uscire dal ruolo, non più comodo, di spettatore interessato dei disastri altrui. Occorre stabilire con urgenza le regole del nuovo mondo multipolare. Si potrebbe cominciare da un principio accettato tanto da Pechino quanto dagli occidentali: nessuno stato può annettersi territori violando le leggi internazionali, si tratti di pezzi di Gaza, del West Bank o dell’Ucraina.

Se Pechino entrasse in scena avremmo un mondo multipolare nel quale l’Europa di fatto non c’è, se non come chiassosa accozzaglia di pesi medi sparsa intorno a un paio di litigiosi pesi medio-massimi. Anticipando il report richiesto dalla Commissione europea, Mario Draghi traccia i percorsi con i quali la Ue potrebbe impadronirsi del proprio destino. Ma le proposte di Draghi obbligherebbero la destra a rinunciare al sovranismo, la sinistra all’idea che una difesa comune si eserciti con un fitto sventolio di bandierine pacifiste. Meglio dedicarsi a temi che ci risparmino l’ispida, disorientante, odiosa complessità.

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